Ferdinando Camon, Avvenire 17/05/2012, 17 maggio 2012
Riuscirà Mladic lo sterminatore a tornare a essere uomo? - Entra nell’aula del processo il generale Mladic, responsabile di alcuni fra i più mostruosi stermini del dopoguerra
Riuscirà Mladic lo sterminatore a tornare a essere uomo? - Entra nell’aula del processo il generale Mladic, responsabile di alcuni fra i più mostruosi stermini del dopoguerra. È nel tribunale dell’Aja, imputato, e davanti a sé ha la Corte. Qui non è un generale, non indossa l’uniforme militare. È un uomo, indossa la giacca, celeste chiaro, camicia quasi bianca, e cravatta. È importante vedere da vicino un uomo che ha commesso decine di migliaia di omicidi: guardare come si siede, come si muove, come parla, come sorride, e a chi. È un maxi-omicida, ha un’altra psiche, altri nervi, altro cervello. Ci sforziamo di capirlo. In internet appaiono otto foto, una sequenza breve ma interessante. Foto numero uno. Mladic è in piedi, ha la testa un po’ abbassata, sta parlando (suppongo) con un avvocato. Gli vediamo il cranio. Pochi capelli, e tutti bianchi. Sguardo malinconico, si direbbe pacifico. La bocca accenna a un sorriso. È magro, non è più l’uomo corpulento che comandava un esercito, e si faceva obbedire (ed era obbedito) come un dio. Ha perduto, è uno sconfitto, è stato catturato, è prigioniero, i giudici stanno decidendo il suo destino. Lui sorride mitemente. Foto due. È seduto, davanti a sé ha un computer, identico agli altri computer distribuiti lungo il tavolo. Guarda con attenzione qualcuno che gli parla. Ha un aspetto ’umano’, ma è accusato di crimini contro l’umanità. Foto tre. Inquadratura ravvicinata, un primo piano, i capelli sono corti e bianchissimi, con uno scottex si sta sfregando il naso, non vediamo gli occhi, si direbbe che stia piangendo, se non fosse un generale. Anzi, il generalissimo, comandante supremo di un esercito. Pare che pianga, ma di certo non è così. Foto quattro. E infatti eccolo, sorride di un sorriso ironico, divertito. Parla. Non sappiamo cosa dica, a cosa risponda. Sarebbe interessante saperlo. Si può avere questo sorrisino, dopo decine di migliaia di vittime? Foto cinque. Primo piano, è voltato verso di noi, testa un po’ abbassata. Ma sì, sta sorridendo, un sorriso divertito. Noi sappiamo che le donne bosniache gli chiedono: «Generale, pèntiti». Questo sorriso ironico è la risposta. Foto sei. È teso, tiene gli occhi sul computer, ma sta parlando, e gesticola con la mano destra, per dar forza al discorso. Pare imbronciato. Foto sette. Ha in mano qualcosa di plastica, forse una bottiglietta d’acqua. L’ha chiesta, gliel’hanno portata. La osserva. Lo trattano da uomo. La sua colpa è di non aver mai trattato così i suoi nemici. Foto otto. In fondo, la sua colpa si chiama razzismo. Uccideva i nemici di razza, di altra origine, di altra religione. Adesso è seduto, e un poliziotto lo controlla. Il poliziotto è un nero, con la camicia d’ordinanza, a maniche corte, color celeste chiaro. Il poliziotto non ha gradi, né sulle spalline né sul colletto, è un soldato semplice. Un soldato semplice ha poteri di controllo su un generalissimo. Entrando in aula, aveva salutato alzando la mano col pollice in su. Non credo che volesse dire «vittoria», qui non può vincere niente. Forse voleva dire che lui ha già vinto, quand’era onnipotente, e che nessuno gli può togliere quella strapotenza. L’accusa lo incolpa dei morti di Sarajevo e del massacro di Srebrenica, dove ha fatto eliminare oltre ottomila musulmani. «Generale, pèntiti» gridano le madri delle vittime. Guardo un’ultima volta le foto: nessun pentimento, semmai indifferenza. C’è in questa sequenza tutto quello che abbiamo sempre visto nella vita dei massacratori: chi va verso i grandi delitti, oltrepassa una linea, la linea della nostra morale, ed entra in un’altra morale, la morale degli assassini, che hanno un’altra visione dell’uomo e della vita. Si sentono superuomini. Perché il superuomo torni uomo ci vogliono anni, tanti anni, ci vuole una vita, e a volte non basta neanche una vita.