Piero Ostellino, Corriere della Sera 17/5/2012, 17 maggio 2012
Forse, dovremmo tutti chiederci perché Equitalia, l’organismo preposto alla riscossione delle imposte, sia sotto tiro
Forse, dovremmo tutti chiederci perché Equitalia, l’organismo preposto alla riscossione delle imposte, sia sotto tiro. Poiché non siamo di fronte ad una rivolta del contribuente — che, ancorché illegale, avrebbe almeno una giustificazione etico-politica; la stessa che hanno avuto le storiche rivoluzioni contro le spese del Sovrano assoluto e le sue tasse e che hanno generato lo Stato moderno — ma a episodi di intolleranza da parte di singoli individui o di gruppuscoli antagonistici della democrazia, le ragioni vanno ricercate nella natura stessa di Equitalia; che non ne legittima la criminalizzazione e, tanto meno, giustifica le aggressioni cui è oggetto, ma spiega il caso. C’è una prima anomalia. Equitalia è una Società per azioni i cui azionisti sono l’Agenzia delle entrate, per il 51 per cento, e l’Inps, per il restante 49. Che senso ha l’esistenza di una Società per azioni, alla quale lo Stato ha, oltre tutto, delegato il massimo dei propri poteri autoritativi, preposta alla riscossione di imposte che «sono dovute» dal cittadino? In altre parole, quale è il «principio di legalità» che legittima Equitalia come S.p.a — istituto (tipicamente) privatistico; per sua natura esposto agli alti e bassi della domanda e dell’offerta, ma che, allo stesso tempo, opera qui in regime di monopolio — se la riscossione delle imposte la potrebbe esercitare direttamente lo Stato con l’Agenzia delle entrate? Veniamo, così, alla seconda anomalia. Equitalia percepisce una percentuale, per il servizio reso, sui soldi incassati. Ma quale è il «principio di legalità» che legittima tale percentuale — che pare un incentivo a spremere il contribuente — dato che il cittadino «è tenuto» a versare non un euro in più né uno in meno di quanto deve, e Equitalia è vincolata da «una obbligazione di comportamento» a riscuotere le imposte, non da una «obbligazione di risultato», cioè a incassare più che può? Entrano in ballo, qui, sia il concetto di «validità» sia il principio di «effettività» della norma. Il cittadino non è «costretto» a pagare le tasse come accadrebbe — l’esempio è di Kelsen, il padre del Diritto positivo — se a costringervelo fosse un bandito di strada che gli punta addosso una rivoltella intimandogli di consegnargli il portafogli; «è tenuto» a pagarle, così come Equitalia a riscuoterle, per una norma «presupposta... non posta, esistente solo nella coscienza giuridica» sulla quale si fonda il riconoscimento dei governi legittimi. Le due anomalie spiegano, dunque, l’animosità nei confronti di Equitalia — colpevole solo di fare ciò che le impone la legge — perché generano il sospetto che sia stata creata dallo Stato per stornare da sé, non mettendoci la faccia, il risentimento popolare. Una versione di «vai avanti tu, che a me viene da ridere»; che concentra su un falso scopo — invece che su un sistema fiscale fra i più oppressivi — il disagio sociale. postellino@corriere.it