Luciano Canfora, Corriere della Sera 17/5/2012, 17 maggio 2012
«Non solo democratici e socialisti, ma gli stessi comunisti, non sono necessariamente illiberali, come vorrebbe l’utopia che essi vagheggiano, e come son diventati nel fatto sotto l’efficacia materialistica del marxismo, che neppur esso era tale nella logica dei suoi concetti economici» scriveva Benedetto Croce nell’aprile 1943 (L’idea liberale, Bari, Laterza 1944, p
«Non solo democratici e socialisti, ma gli stessi comunisti, non sono necessariamente illiberali, come vorrebbe l’utopia che essi vagheggiano, e come son diventati nel fatto sotto l’efficacia materialistica del marxismo, che neppur esso era tale nella logica dei suoi concetti economici» scriveva Benedetto Croce nell’aprile 1943 (L’idea liberale, Bari, Laterza 1944, p. 12). Questa notevole riflessione ci sovviene nel leggere l’ultimo, scattante, pamphlet di Paolo Flores d’Arcais: Democrazia! Egli compie, nel corso di tale opuscolo, una operazione che potrebbe anche definirsi un esperimento filosofico-politico: provare a studiare le condizioni sostanziali necessarie affinché possa essere effettivamente (non cioè in modo truffaldino o apparente) attuato il presupposto minimo sul quale è difficile non dirsi d’accordo, e cioè «una testa, un voto». Presupposto che qualcuno potrà anche sgradire in cuor suo ma che nessuno più oserebbe contestare apertamente, frontalmente. Affinché quel presupposto — così universalmente assodato — non venga svuotato, impegnative pre-condizioni di carattere economico-sociale e culturale sono imprescindibili. Il concetto è sintetizzato, del resto, magistralmente nell’articolo 3, comma 2, della nostra Costituzione, là dove si parla di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che «limitano di fatto la libertà» dei cittadini (cioè, nella fattispecie, la loro possibilità di esprimere la volontà politica attraverso il voto in condizioni pari: cioè di pari libertà da condizionamenti culturali, economici o mafiosi etc.). Il liberale Epicarmo Corbino s’inalberò e disse, nel dibattito alla Costituente su quell’articolo: «Che cosa significa rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale?». E Meuccio Ruini, che non era certo un bolscevico, autorevolmente gli replicò: «Anche un liberista dice e sostiene che bisogna rimuovere gli ostacoli alla libera concorrenza!». Flores d’Arcais approda, al termine del suo ragionamento, ad una formula interessante: la democrazia consiste (o si attua con) la lotta per la democrazia. Piero Calamandrei nel celebre suo discorso sulla Costituzione elogiò precipuamente l’articolo 3 proprio per quella «direttiva» di battaglia costante («rimuovere gli ostacoli»): battaglia che non può essere intermessa mai, pena il deperimento della democrazia stessa. A me piace di più un’altra formulazione (che credo di aver adoperato in più occasioni): la democrazia è prodotto chimico instabile, c’è o invece arretra a seconda dei rapporti di forza in campo tra i ceti e gruppi sociali (tra ricchi e poveri, avrebbe detto Aristotele). John Dewey diceva l’analogo in altro modo quando poneva l’accento sul nesso indispensabile tra democrazia ed educazione ininterrotta alla consapevolezza della sua necessità. Ecco in che senso l’osservazione crociana che riconduce, in nuce, al principio di libertà non solo la democrazia ma anche il comunismo mi è parsa — leggendo il pamphlet di Flores — meritevole di ricordo e di apprezzamento.