Aldo Grasso, Corriere della Sera 16/05/2012, 16 maggio 2012
QUESTA «NIKITA» E’ SOLO AZIONE
Quello della spia Nikita è un mondo narrativo complesso, in continua espansione, che tende a replicarsi in numerose forme e successivi adattamenti: c’è il film di Luc Besson, c’è la celebre canzone di Elton John («Hey Nikita it is cold, in your little corner of the world...»). E poi un remake del film di Besson, un telefilm canadese creato dal «papà» di «24», Joel Surnow, e infine una nuova serie americana, «Nikita», interpretata da Maggie Denise Quigley (la seconda stagione su Steel, Mediaset Premium, sabato, 21,15).
La storia di Nikita ormai la conosciamo bene: è una donna bellissima con un passato difficile alle spalle. Salvata dal braccio della morte, in cui è reclusa per omicidio, da una misteriosa agenzia di intelligence, la «Divisione», viene addestrata per diventare un sicario, una spia con licenza di uccidere e di usarla anche per obiettivi molto meno patriottici della difesa nazionale.
Quando scopre che la «Divisione» agisce in realtà per fini molto oscuri ed è coinvolta nell’omicidio del suo compagno, la sua unica ossessione diventa quella di vendicarsi e smantellare l’organizzazione, portandone alla luce tutti i crimini peggiori.
Tra tutte le versioni della celebre spy story, il telefilm in onda su Steel sembra quello che punta di più su una dimensione action: le soluzioni narrative sono spesso banali, i dialoghi molto scontati, ma quello che cattura è proprio il meccanismo di genere alla base del racconto, più importante del mistero che ammanta la figura di Nikita.
Certo, unire finezza degli intrighi spionistici, buona costruzione dei personaggi e spettacolarità d’azione non è impresa facile. C’è riuscito forse solo J.J. Abrams con il suo «Alias», dove i meccanismi perfettamente oliati dell’action e dalla spy story diventavano quasi pretesti per un racconto raffinato e complesso sul tema dell’identità, della fiducia, della sorveglianza.
Aldo Grasso