Federico Fubini, Corriere della Sera 16/05/2012, 16 maggio 2012
SE LA BCE STUDIA NUOVI INTERVENTI SUL FRONTE DEBITI
Diventano ogni giorno più schiaccianti le forze che spingono la Bce esattamente dove non vorrebbe andare. La Banca centrale europea era nata nel 1998 sulla promessa solenne che non avrebbe mai dovuto risolvere i problemi di debito degli altri, imprese o governi che fossero.
Quattordici anni più tardi, rischia di non poterne fare a meno. Il peso del ghiacciaio di debiti che si è accumulato durante questo periodo su alcuni Paesi europei lascia poche alternative ai banchieri centrali di Francoforte. Secondo le stime di Bridgewater, l’esposizione totale della cosiddetta «periferia» dell’euro è di circa diecimila miliardi di euro, sommando i debiti del settore pubblico a quelli privati. Di questi, circa 3.500 miliardi sono prestiti a suo tempo offerti a Italia, Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo dall’estero; gli investitori stranieri servirebbero dunque a finanziare il funzionamento di questi cinque Paesi, invece continuano a liberarsi dei loro crediti cercando di venderli non appena possono. Una fonte di finanziamento vitale per l’Europa del Sud sta venendo meno. Bridgewater calcola che, dall’inizio della crisi, la riduzione del credito privato all’Italia (meno 19%) o alla Spagna (meno 15%) è stata minore di quella subita dalla Grecia, dall’Irlanda e dal Portogallo (meno 50%).
Ma anche così il buco nelle esigenze di raccolta di prestiti per le imprese, le famiglie e i governi, in Italia e in Spagna, è molto grande: ai ritmi attuali solo nei prossimi sei mesi rischiano di mancare all’appello 330 miliardi.
Solo la Bce può sostituire ciò che gli investitori privati non vogliono più non vogliono più concedere. Ha già iniziato a farlo quest’inverno quando, a condizioni privilegiate, ha concesso alle banche mille miliardi in cambio di garanzie (a volte) piuttosto deboli.
Fra gli interventi della Bce e i salvataggi a favore di autorità pubbliche in Atene, Lisbona e Dublino, ora le autorità pubbliche in Europa sono già creditrici per 1.400 dei diecimila miliardi di euro di debiti della «periferia». Ma proprio perché gli investitori privati esteri non si fidano più e non è possibile ridurre in fretta una simile massa di debito, questa cifra di crediti pubblici è destinata a salire ancora. Ciò significa una sola cosa: la Bce dovrà continuare a concedere prestiti straordinari anche nei prossimi mesi, oppure il sistema rischia di cedere. Ma per l’Eurotower non è semplice decidere di farlo, né sul piano tecnico né su quello politico.
Quando quest’inverno lanciò le due maxi aste di liquidità, per esempio, lo fece solo al termine di un lungo negoziato: la Germania ottenne le nuove regole di bilancio del «fiscal compact» e la promessa che l’Italia avrebbe fatto sul serio sulle riforme; in cambio, non si oppose ai prestiti straordinari della Bce. Ora qualcosa del genere dovrà accadere di nuovo. La Bce aspetta che in giugno emerga un nuovo equilibrio fra Francia e Germania e che l’esito della Grecia diventi, se non altro, meno insondabile. Poi l’Irlanda dovrà votare sul «fiscal compact». A quel punto l’Eurotower potrà iniziare a chiedersi che fare: con i prestiti facili che ha lanciato a febbraio, molte banche hanno comprato titoli di Stato di Roma o di Madrid ma ora sono già in perdita sul loro investimento. Non sarà facile indurle a ripeterle il gioco. Ma le alternative, per ora, non sono né molte né, soprattutto, facili politicamente.
Federico Fubini