al. fer., il Fatto Quotidiano 16/5/2012, 16 maggio 2012
SCOLA: “IL PAESE È FINITO IN MANO A BRUNO” - PER LUI SONO BRUNO E ROBERTO
Non sono personaggi di un film. No, li tratta come simboli. Come un qualcosa che lui aveva visto, intuito. Con il passare degli anni si sono modellati prima, definiti poi. Ricorda ogni istante, immagine, battuta. “Anche se non amo rivedere le pellicole che ho diretto o nelle quali ho lavorato. Solo perché i film vanno vissuti al cinema, non sui piccoli schermi”. Ettore Scola ha compiuto 81 anni giovedì scorso. Nel curriculum ha, tra gli altri, Un americano a Roma, I mostri, C’eravamo tanto amati, Una giornata particolare, La famiglia. Quando ti accoglie, la prima cosa che fa è ribaltare i piani: è lui che “intervista” chi ha di fronte. Vuole sapere, capire. Perché, da sempre, ascolta, sintetizza, e poi traduce in scrittura prima, in immagini poi.
“Pensi, mi è appena arrivato un libro su Castiglioncello: sembrano passati cento anni, non solo cinquanta...”
Bruno Cortona ha sul vetro della macchina un cartello finto con su scritto “Camera dei deputati”. In questo caso non sembrano passati cent’anni
Lui è il campione dell’individualismo. Se ne frega degli altri. È esattamente un italiano.
Rimpianti per la l’Italia di allora?
Anche se attraverso tante crisi e il sacrificio di valori, la società è andata comunque avanti e democraticamente. Certo, le classi privilegiate lo sono ancora più di prima. Però siamo cresciuti.
Nel film il popolo festeggia Ferragosto in mezzo alla strada...
Era l’Italia del cocomero, della colazione al sacco, del panino. Era l’Italia che iniziava ad apprezzare i ristoranti. Fino ad allora non si andava a mangiare fuori. Saremo anche peggiorati sul piano morale, ma ci sono state delle conquiste elementari.
Un film dissacrante. Cinico. Attaccavate miti come Antonioni e la Loren...
La realtà si annunciava così. Poi dovendo tratteggiare un personaggio estremo, abbiamo calcato la mano. Ammiravamo Antonioni, però lo spirito collettivo era contro perché lui rappresentava quello che poteva disturbare di più.
In che senso?
Si era inventato una classe che non esisteva: la borghesia italiana. Ma vede, il discorso è un altro.
Quale?
Bruno vuole omologare tutto. Livellare. Appiattire. Questo è il suo obiettivo verso il compagno di viaggio, che rappresentava il suo opposto.
In particolare cosa?
Roberto era l’Italia migliore. Non ha il nerbo, la personalità per imporsi. Quindi subisce e piano piano si arrende. E forse merita anche la sua fine”.
Il finale fu avversato dai produttori.
Eccome! Ci dicevano: ‘Non è possibile concludere così una commedia che fa tanto ridere. Rischiamo di fare un film moralistico e patetico’. Invece...
Nel film avete anche parlato di adulterio, reso l’omosessualità una macchietta...
Occhiofino! Lì con la volgarità, l’irruenza di Bruno abbiamo tirato fuori la realtà
Ma in quegli anni...
Pensi a una pellicola come la Grande guerra, che faceva giustizia di tutti i luoghi comuni, le retoriche sulla Patria. Sono voci “stonate” arrivate dal cinema molto più che dalla letteratura italiana. Il nostro successo all’estero è dato proprio da questo, dalla denuncia delle nostre debolezze.
Ma qual è la presunta Italia migliore impersonata da Roberto?
Penso a tutte le aspirazioni della sinistra che non sono venute fuori. Alla sua pavidità. Al suo essere borghese e piena di pregiudizi. Bacchettona. Il gioco tra il Pci e la Dc era proprio questo e rappresentava la dualità dell’animo italiano.
Insomma, non era un’Italia tanto migliore. Come mai avete scelto la via Aurelia?
L’avvento dell’autostrada ha cambiato, di molto, lo Stivale. Ha distrutto delle tradizioni. Ha fatto dimenticare paesi perché tagliati fuori dalla sua linea. Linee tracciate secondo interessi politici, tra capitalisti e uomini di destra. Con l’obiettivo di proteggere l’automobile. Noi abbiamo scelto l’Aurelia perché era un tracciato affiancato dall’autostrada. Una realtà minacciata.
Obiettivo, denunciare...
Certa commedia italiana ha avuto la sua piccola etica, in un paese che non ne aveva. Anche se, a volte, ha anche affiancato il peggio dell’italiano. Lo ha celebrato grazie a grandissimi attori, nei quali il pubblico si identificava. Questo era un pericolo.
Ne parlavate tra voi?
Spesso con Sordi. Un uomo tutt’altro che superficiale. Mi diceva: ‘Cavolo, stiamo rendendo simpatico questo personaggio abietto dell’italiano. Forse può servire come piccolo specchio’...
In alcuni momenti del film Gassman sembra imitare proprio Sordi...
Sì, era un gioco diffuso. Manfredi faceva lo stesso. Ma Vittorio restava il riferimento per tutti, forse perché era il più colto, l’attore con la personalità più forte. Il più problematico
Perché Castiglioncello?
Il Tirreno, rispetto al lato Adriatico, rappresentava maggiormente l’Italia spensierata, punto di riferimento della borghesia italiana. E fin dai tempi dei gerarchi.
Il punto di forza del film?
Dino (Risi). La sua leggerezza è il valore aggiunto. Se lo avesse girato Pietrangeli sarebbe stato più problematico, più preoccupato dagli equilibri.
Bruno nel film esibisce la sua cultura.
Approssimativa. Confonde un po’ tutto. Va a orecchio. Gli piace Garcia Lorca, ma non si pone i problemi sulla vita del poeta. Mischia Antonioni con Modugno. Omologa. Un atteggiamento tipico borghese: abbassa tutto al suo livello, per distruggere quello che non capisce.
Insomma, ha vinto lui...
...credo che gente come Berlusconi sia figlia di Bruno Cortona.
Rivede mai un suo film?
Preferisco di no. Anche perché amo il cinema.