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 2012  maggio 16 Mercoledì calendario

IL SORPASSO DEL 1962 ALL’ITALIA DEL 2012 - IPOCRITA. BIGOTTA. INTRALLAZZONA

Spergiura, pronta al tradimento, così come alla connivenza. A tutti i costi spensierata. Spende, o spreca, anche il domani. È l’Italia del 1962, è l’Italia del Sorpasso descritta da Risi, Scola e Maccari. È l’Italia che correva a 130 chilometri orari lungo la via Aurelia, alla faccia di limiti umani o strutturali; è l’Italia del boom economico, delle prime lavatrici, dei frigoriferi, del televisore dentro casa vissuto con orgoglio: status symbol, conquistati a colpi di rate. È il paese dei quasi novantamila immigrati l’anno nella sola Milano. Sono passati cinquant’anni esatti da quel 15 agosto, quando Bruno Cortona, alias Vittorio Gassman, conosce, coinvolge e stravolge la vita del giovane Roberto Mariani, alias Jean-Louis Trintignant. Trentasei ore vissute su una Aurelia cabrio (sì, stesso nome della strada) per percorrere circa 315 chilometri, dalla Balduina, zona nord-ovest della Capitale, rifugio della borghesia baldanzosa, verso Santa Severa, quindi Civitavecchia, Capalbio, Castiglioncello. Fino all’ultima curva verso destra prima del castello del Boccale, a pochi passi dal cartello “Livorno”, dove in un incidente stradale muore “Roberto e sopravvive Bruno – racconta Ettore Scola – Lì finisce l’Italia seria, quadrata, che studia, si prepara. Ma ha un ‘neo’: non ha gli strumenti per combattere la parte cialtrona del Paese, si fa sedurre, fino a soccombere”.
Anno 2012. Il boom economico è lontano. È il momento della recessione, dell’inflazione. Della paura per il futuro. Tutto va molto più piano. Abbiamo fatto lo stesso percorso. Cercato i medesimi posti. Lì ci siamo fermati. Tappa su tappa.
Roma
Silenzio. Deserto. Negozi serrati, strade vuote, nessuna zona pedonale. Il Ferragosto del 1962 veniva comunemente definito “paesaggio lunare”. Al mare, collina, montagna, ma la maggior parte ancora tornava al suo paese di origine. Le fabbriche chiuse, la turnazione era differente. Bruno corre con la sua cabrio per la città, cerca un telefono, gettone in mano, in un bar aperto. Non esistono ancora le cabine. Non esistono più i gettoni. Niente da fare. Via del Tritone, piazza di Spagna, piazza del Popolo fino alla Balduina. Pochissime auto in circolazione. Allora i mezzi immatricolati nello Stivale era di circa otto milioni di veicoli per cinquanta milioni di abitati, il sogno della classe media si chiamavano Seicento o Millecento. Oggi sono 48 milioni per una popolazione di 61.
Roberto studia in casa. Camicia e pantaloni lunghi. Niente infradito. Ha la finestra aperta. Si incontrano. Offre a Bruno il telefono. Si parte...
L’Aurelia è rimasta identica solo nel tracciato. Intorno è un’altra Italia. Qualche capannone, molti erano abusivi, la costeggia. Sono comparsi i guardrail, le rosse case cantoniere sono state affogate dalle nuove costruzioni. Bruno sgomma volentieri. Quando accelera da fermo, spavaldo, ama far slittare le gomme della sua auto. Ha gioco facile: ai bordi della carreggiata c’è polvere. Quella polvere non c’è più, si è mischiata ad acqua, calcina, cemento. Correre? Meglio di no. I 110 chilometri orari fissi sul tachimetro ora sono una scommessa per chi non teme le multe. Tra Santa Severa e Grosseto è una serie infinita di autovelox dichiarati e no. Di pattuglie che fermano. Dati alla mano il tragitto voluto da Scola e amici era ed è uno dei più pericolosi d’Italia, con decine di morti l’anno. Prostitute ai lati. Oggi sono rumene, senegalesi. Si mettono ai bordi della strada riparate da ombrelloni da mare. Sedute sulla seggiola. Spesso in gruppo, si proteggono. Sono vittime di furti, aggressioni, agguati di gang e baby gang. Periodicamente arrestate dalle forze dell’ordine. Parlano a stento l’italiano, giusto le quattro cinque frasi di rito, un “bagaglio” impartito in un paio di lezioni. In tasca pochi euro al giorno, il resto va ai magnaccia.
Roberto è travolto da Bruno. Non capisce il senso del viaggio. Non ne ha voglia, lui era a casa per preparare un esame di Giurisprudenza. Lotta con se stesso, ma non sa come fermare l’avventura. Intorno a loro vacanzieri improvvisati per il Ferragosto. Chi non è al mare si è fermato sulla strada. Ha aperto i tavolini, imbandito la tavola. È l’ora del pranzo, della pasta al forno, del vino nei fiaschi. Del cocomero.
La cabrio si ferma verso Palidoro, poche decine di chilometri fuori dal Raccordo Anulare di Roma. Allora aperta campagna. Oggi no. Oggi è un’appendice di Roma. Della Capitale subisce la puzza, l’inquinamento, il danno territoriale, la beffa: non lontano incide la discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, esaurita da anni, e da altrettanti tenuta aperta perché nessuno è in grado di trovare un’alternativa. Fino a quest’anno. La governatrice del Lazio, Renata Polverini e il sindaco Gianni Alemanno hanno ipotizzato un nuovo sito tra Fregene e Fiumicino, sempre a due passi da Palidoro. Qui è un proliferare di striscioni di protesta, di lenzuoli bianchi “sporcati” da slogan e appesi sopra i ponti. La paura e la rabbia di chi ci abita, ci vive, ci è cresciuto.
I ristoranti sono pieni. Bruno arriva a Civitavecchia, “con la mia macchina è un attimo”. Sorride fiero. Si fermano in un’osteria davanti al porto, sotto i portici. Zuppa di pesce. Allora scalo importante, considerato la Porta di Roma. Oggi fondamentale con un traffico passeggeri di oltre 300 mila unità l’anno tra “di linea” e “croceristi”. È il primo in Italia. Roberto tenta la fuga dal suo carnefice. Prova a prendere il pullman per raggiungere la sua famiglia. Fallisce. Di nuovo in macchina. Verso Capalbio.
Maremma Toscana. Spiagge vip. Rifugio di parte dell’intellighenzia di sinistra. Vicino il parco dell’Uccellina, riserva naturale. Zona minacciata. Altri striscioni, altre lenzuola. Diversi timori. Qui oltre alla rocca, al paesaggio, agli ulivi, alle pecore e al mare, risiede la Sacra, un’azienda agricola di 1500 ettari che, per decenni, ha salvaguardato il paesaggio. Non più. Adesso vuole “fare profitto”. Come? Con un impianto biomassa per la produzione di energia rinnovabile. Tradotto: sarebbe la fine della zona per il suo inevitabile, ininterrotto, traffico di camion e trattori per alimentare la centrale. Per il suo odore nauseabondo. Per il danno alle falde acquifere e lo scarico di ciò che si elimina dalla poltiglia. Addio a una delle poche zone ancora incontaminate.
La famiglia di Roberto ha un castelletto nel-l’entroterra, a Rota. C’è. Esiste. Bruno svela al ragazzo tutte le piccole omissioni della sua infanzia. Le piccole bugie nelle quali è cresciuto. Suo cugino è il frutto della relazione tra la zia e il fattore. Lo zio sapeva. Il tuttofare è soprannominato occhiofino, “nel senso di finocchio! Ma che non l’avevi capito?!”. E ancora, e ancora. La naturalezza di ieri, vissuta con imbarazzo oggi. Meglio riprendere il viaggio. Chilometro centonovanta. Sempre lenzuoli. Questa volta tocca a coloro che temono l’arrivo dell’autostrada, difendono l’Aurelia. Per far passare il “casello”, è necessario abbattere, allargare le carreggiate, intaccare l’economia locale, danneggiare la costa. Se ne discute da decenni, adesso sembra arrivate il momento.
È quasi notte.
Tappa a Castiglioncello. Rifugio di attori, sceneggiatori e registi. Lunghe partite a Canasta, party, cocktail. Prime foto di gossip, in posa, senza troppe ansie. Alle porte di Livorno avevano il loro buen retiro, stelle come Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Clara Calamai, Paolo Panelli e la moglie Bice Valori. Gite in barca e sfide a ping pong. L’atmosfera si è mantenuta per anni. L’appendice alla fine degli ‘80, con l’arrivo della Milano da bere, dei Jerry Calà protagonisti delle notti nella discoteca storica di Castiglioncello, il Ciucheba. Puff. Sono morti i protagonisti di allora, con loro è sfumata quell’atmosfera. I prezzi delle ville sono ancora alti, ma non è difficile vedere delle strutture non più curate, con gli infissi screpolati, l’intonaco invecchiato. La spiaggia è stata mangiata dalle mareggiate. Gli stabilimenti sono ancora lì, ma è stato necessario mettere delle barriere per salvare un po’ di arenile.
Ultima tappa. Direzione Viareggio. Da Castiglioncello a Livorno è lo stesso film, solo a colori. Tutto è identico. La roccia è talmente impervia che sarebbe stato impossibile intervenire. Curva a destra, di nuovo a destra. Bruno accelera. Roberto lo incita. È con lui. È diventato la sua brutta copia. Novanta chilometri orari. Cento. Di più . Un sorpasso. Un altro. L’ultimo. Giù nel burrone, dopo il Romito, prima del Boccale. Roberto muore, una delle settemila vittime l’anno di allora. Oggi sono quattromila. Bruno si catapulta dall’auto. Guarda la scena. È annichilito, ma non riesce a piangere. “Lo conoscevo appena...”.