Morya Longo, Il Sole 24 Ore 16/5/2012, 16 maggio 2012
BANCHE, CONTI APERTI SU MATTONE E DERIVATI
Se si guardano i crediti in sofferenza attualmente in bilancio, le banche italiane mostrano tutto il loro affanno. Se però si cerca di guardare al futuro, e di stimare l’effetto del possibile calo dei prezzi immobiliari, allora in panne ci finiscono gli istituti francesi e inglesi. Se si prendono in esame i titoli di Stato nei bilanci, sono le banche spagnole e italiane a soffrire di più. Ma se invece si guardano i titoli un tempo chiamati "tossici", allora nei guai maggiori ci finiscono le banche tedesche, inglesi o svizzere.
Insomma: a seconda di quale angolo degli immensi bilanci bancari si guardi, si scopre che ogni sistema creditizio del Vecchio continente è vulnerabile. Chi soffre per gli immobili, chi per la congiuntura. Chi per i vecchi fasti della finanza, chi per le nuove speculazioni. Chi per la crisi del proprio Stato, chi per quella degli altri. È vero che gli istituti italiani oggi soffrono particolarmente e sono più vulnerabili, come sostiene Moody’s, ma a ben guardare il problema è ben più vasto: il male bancario è comune a tutta Europa. Il virus della crisi ha colpito, o potrebbe colpire presto, tutti. Soprattutto ora che la Grecia minaccia di uscire dall’euro.
Il peso dei crediti dubbi
Se si guardano gli effetti dell’economia sui bilanci bancari, allora l’Italia è effettivamente tra i Paesi più inguaiati. A guardare i dati attuali sui crediti deteriorati, quelli che nei bilanci bancari vengono catalogati come «non performing», la situazione dell’Italia appare infatti la più pesante tra i principali Paesi. Peggiore persino di quella spagnola. Secondo i dati Bankitalia, aggiornati a dicembre 2011, i crediti di difficile recupero ammontano infatti al 10,8% del totale impieghi. Cifra che supera anche il 7,6% delle banche spagnole (a dicembre 2011). L’Italia, secondo le stime del Fondo Monetario, ha anche effettuato minori accantonamenti rispetto agli altri Paesi: questo significa che, oltre ad avere più crediti dubbi in rapporto al totale, ha "messo da parte" minori fondi per far fronte alle perdite. Brutto segno: significa che altre perdite potrebbero presto emergere da questo fronte.
Infatti il team bancario di AlixPartners (che sta preparando uno studio su questo tema intitolato «Bankaround») raggiunge proprio questa conclusione: se le banche italiane portassero a «fair value» i loro crediti deteriorati (cioè se li portassero a un valore equo di mercato) registrerebbero d’un colpo 23 miliardi di euro di perdite. Per le spagnole, invece, il buco sarebbe limitato a 6 miliardi ulteriori, mentre le tedesche "brucerebbero" 12 miliardi. Per «fair value» AlixPartners considera la media tra il valore dei crediti non performing in bilancio e i prezzi che gli investitori sono disposti ad offrire per comprarli.
Se però si guarda anche all’effetto del mercato immobiliare sui crediti in sofferenza, allora cambia tutto. Considerando il calo dei prezzi delle case già avvenuto dal 2007 ad oggi, e dunque le ulteriori sofferenze che presto potrebbero emergere proprio per lo scoppio della bolla del mattone, sono Spagna e Gran Bretagna a tremare di più: presto nei bilanci delle loro banche potrebbero arrivare 44 e 82 miliardi di nuovi crediti in sofferenza. Più al riparo – questa volta – le banche italiane. «Gli accantonamenti addizionali necessari per tenere conto della discesa dei valori immobiliari avvenuta dal 2007 sono valutabili in ulteriori 65 miliardi di euro complessivi», calcola Claudio Scardovi, managing director responsabile per l’offerta alle banche europee di AlixPartners.
E la classifica delle vulnerabilità cambia ulteriormente se si calcola (prendendo le stime dell’Economist) quanto potrebbe deprezzarsi il mercato immobiliare nei prossimi anni. Qui siamo nel campo delle proiezioni, ma se si verificassero – secondo AlixPartners – il verdetto sarebbe completamente ribaltato: uscirebbero con le ossa rotte le banche francesi (che registrerebbero perdite fino a 140 miliardi) e inglesi (110 miliardi). Le banche italiane, invece, in questo scenario futuribile avrebbero problemi limitati. Per un motivo semplice: il mercato immobiliare nella Penisola è meno sopravvalutato che altrove.
La zavorra dei titoli «tossici»
Le banche italiane, insieme alle spagnole, sono invece più vulnerabili a causa degli investimenti in titoli di Stato dei loro Paesi. Secondo i dati della Bce, aggiornati a marzo 2012, gli istituti di credito nel nostro Paese hanno in pancia 323,9 miliardi di euro di titoli di Stato (principalmente italiani): si tratta del 7,78% del totale attivi. Solo le banche spagnole, con titoli di Stato in bilancio pari al 7,06% degli attivi, sono altrettanto zavorrate. Tutte le altre hanno meno titoli di Stato, pari al 3-4% degli attivi. Per di più gli istituti italiani e spagnoli sono esposti sui titoli di Stato che più di tutti rischiano di deprezzarsi: i BTp e i Bonos. Questo le espone a potenziali perdite, legate alla crisi del loro stesso Paese.
Se però si guardano altri titoli, quelli che fino a poco tempo fa chiamavamo «tossici», allora la classifica dei buoni e dei cattivi cambia radicalmente. Secondo le ultime analisti di R&S Mediobanca (aggiornate a giugno 2001 quindi ormai un po’ vecchie) gli istituti che ancora devono smaltire quelle obbligazioni illiquide legate a mutui o quant’altro sono quelli inglesi, tedeschi e svizzeri. Credit Suisse a giugno aveva 37miliardi di euro di titoli "tossici": è vero che si tratta di poca roba rispetto agli 81 miliardi di dicembre 2008, ma ugualmente questi titoli ammontano al 111% del patrimonio netto e al 93% del patrimonio di vigilanza. Abbastanza esposta anche la tedesca Deutsche Bank: sebbene oggi abbia la metà dei titoli "tossici" del 2008, ne ha in bilancio comunque 45 miliardi. Cifra pari all’88% del patrimonio netto. Le banche italiane e spagnole, invece, hanno cifre risibili: Intesa il 4,8% del patrimonio e UniCredit il 15%.