Gianluca Di Donfrancesco, Il Sole 24 Ore 16/5/2012, 16 maggio 2012
SE LA GRECIA ESCE DALL’EURO - 1
La Grecia vuole uscire dall’Eurozona?
Molti si sono chiesti se i greci vogliono uscire dall’euro, dopo le elezioni politiche del 6 maggio, che hanno punito severamente i partiti che hanno sostenuto gli sforzi fatti dal Governo Papademos per restare nell’Unione monetaria, mentre il 70% dei voti è andato ai movimenti politici che rifiutano le condizioni imposte ad Atene in cambio degli aiuti Ue-Fmi. Stando a questi risultati, si potrebbe concludere che i greci, stanchi delle manovre di austerity, vogliono uscire dall’Eurozona. Tuttavia, i sondaggi mostrano che, se lo si chiede apertamente, il 78% dei greci desidera restare nel club. Forse, allora, quello che vogliono i greci è continuare a far parte dell’Unione monetaria, ma pagando un prezzo meno salato. Che poi è quello che dice lo stesso leader del partito sorpresa, la formazione di sinistra radicale Syriza: Alexis Tsipras vuole rinegoziare le condizioni del piano di salvataggio, ma finora non ha mai sostenuto che Atene deve uscire dall’euro. E nei sondaggi, Syriza continua a guadagnare consensi (oggi sarebbe al 20%, dal 16,8% del 6 maggio).
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Cosa significherebbe
per la Grecia uscire?
In primo luogo, nessuno Stato membro dell’Unione monetaria può uscirne, a norma dei Trattati istitutivi. Per farlo deve denunciare il Trattato di adesione all’Unione europea, dalla quale al contrario si può uscire.
Ammesso che ciò accada, il Governo dovrebbe varare una nuova legge per istituire una moneta, la dracma, nella quale dovrebbe ridenominare tutti i rapporti economici nazionali (stipendi pubblici, pensioni, contratti), imporre controlli valutari, chiudere le frontiere per evitare fughe di capitali. Dovrebbe poi stampare e distribuire la nuova moneta, l’operazione apparentemente più banale, ma tutt’altro che semplice. Come ricordava due giorni fa il Financial Times, il precedente più recente è l’Iraq del 2003, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti fece la stessa cosa. Servirono tre mesi, potendo contare su un dispiegamento di forze imponente.
Per garantire l’equilibrio della bilancia commerciale, la nuova dracma dovrebbe entrare sui mercati monetari con un valore del 15-20% più basso rispetto all’euro, ma data la tendenza delle valute a iper-reagire, potrebbe scendere fino a -30% sull’euro. Esistono però stime più pessimistiche. Il Wall Street Journal ieri ricordava che, all’indomani del default, Argentina e Russia subirono una svalutazione del 60-70 per cento.
Nella migliore delle ipotesi, un Governo responsabile dovrebbe varare un piano di austerity e dopo alcuni anni di recessione il Paese potrebbe riprendere a crescere. Ma è proprio di sacrifici e tagli che i greci non vorrebbero più sentir parlare. Altrimenti, il Governo potrebbe continuare a svalutare la moneta, rischiando di accendere una iper-inflazione che eroderebbe il potere d’acquisto dei greci, impoverendoli ancora di più.
Dopo l’uscita dall’Unione europea, Atene dovrebbe rinegoziare i propri rapporti commerciali con gli ex partner, a loro volta alle prese con gli effetti collaterali dell’operazione e che pertanto potrebbero anche non essere troppo ben disposti nei confronti dell’ex-socio, che, dopo aver scatenato la crisi, ora tenterebbe di risollevarsi puntando su svalutazioni competitive della propria moneta per sostenere le proprie esportazioni.
L’uscita dall’euro, inoltre, manderebbe di nuovo in default la Grecia, che non sarebbe in grado di rimborsare i prestiti ricevuti da Ue, Bce ed Fmi (tra l’altro, finora, solo Zimbabwe, Somalia e Sudan non hanno rimborsato gli aiuti del Fondo monetario).
La Grecia andrebbe comunque incontro al collasso del sistema bancario, che lascerebbe le aziende senza liquidità, condannandone molte al fallimento, con distruzione di posti di lavoro.
Secondo uno studio Ubs di inizio settembre, l’uscita costerebbe in media tra i 9.500 e gli 11.500 euro a ciascun greco (contro redditi medi di 20mila euro) nel primo anno.
C’è poi il capitolo dei debiti che il Governo ha nei confronti dei detentori di obbligazioni pubbliche e che le banche hanno nei confronti della Bce. Andrebbero tutti ristrutturati e il debito domestico sarebbe ridenominato in dracme.
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L’Eurozona vuole
che la Grecia esca?
I leader europei stanno di sicuro preparando piani d’emergenza per far fronte a un’eventuale uscita della Grecia dall’euro (il direttore dell’Fmi Christine Lagarde ieri ha addirittura parlato di «un’uscita ordinata»). E aumentano le dichiarazioni aggressive nei confronti di Atene. Difficilmente qualcuno si augura davvero questa soluzione. Lo scudo da 500 miliardi costruito potenziando l’Esm potrebbe a fatica proteggere il resto del club dall’effetto contagio.
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Cosa significherebbe per l’Eurozona perdere Atene?
Il problema è il contagio. Gli effetti sarebbero contenuti solo se i leader europei riuscissero a convincere i mercati che l’uscita della Grecia rimarrebbe un caso isolato. E quindi che Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia non sarebbero investiti dal contagio. Compito difficile, se prima tutti questi Paesi non avranno risolto i rispettivi problemi di finanza pubblica e crescita. Vedendo i conti correnti greci trasformati d’imperio in dracme, i risparmiatori degli Stati in crisi di debito correrebbero a trasferire i propri depositi in Paesi più sicuri, innescando una fuga di capitali che metterebbe alla frusta il sistema bancario europeo, già colpito da una grave crisi di fiducia. I risparmi delle famiglie confluirebbero sui beni rifugio classici: bund, oro, franco svizzero. La Bce dovrebbe scendere in campo direttamente per difendere il sistema bancario e l’euro dagli attacchi speculativi. Eurosistema, Efsf ed Esm sarebbero chiamati a intervenire per impedire ai rendimenti dei bond italiani e spagnoli di schizzare sopra la soglia di sostenibilità del 7-8 per cento. Secondo Fitch, Francia, Italia, Spagna, Cipro, Irlanda, Portogallo, Slovenia e Belgio rischierebbero un immediato declassamento del debito. Il crollo della fiducia di imprese e famiglie trasformerebbe da leggera a pesante la recessione nell’Eurozona. Il calo del Pil e delle entrate fiscali renderebbe irrealistici i programmi di riduzione del deficit, vanificando gli sforzi già fatti e moltiplicando le pressioni per l’abbandono del fiscal compact. Il collasso del sistema bancario greco renderebbe carta straccia i titoli di debito emessi dagli istituti di credito e in possesso della Bce: 160 miliardi.
Esiste una stima, elaborata dall’Institute of international finance (450 istituzioni finanziarie), del danno globale causato dall’uscita: mille miliardi di euro.