Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore 16/5/2012, 16 maggio 2012
SE “GREXIT” NON È PIÙ TABÙ
Grexit, in gergo l’uscita della Grecia dall’euro. Era un tabù intoccabile. Da qualche giorno invece non si sa se sia diventato un bluff, un ricatto o l’incubo dietro l’angolo che assilla i 17 della moneta unica. Il tedesco Wolfgang Schäuble prova a sdrammatizzare, «l’euro è in grado di assorbire l’uscita». Il presidente della Commissione Ue José Barroso rincara: «Se non si è in grado di rispettare le regole di un club, meglio lasciarlo». Il direttore dell’Fmi Christine Lagarde evoca «una possibile uscita ordinata» ma il capo della Bundesbank avverte: «Le conseguenze per i greci sarebbero peggiori che per il resto dell’eurozona». Bella consolazione. Jean-Claude Juncker, il presidente dell’Eurogruppo, si rifiuta invece di giocare con il fuoco: «Nessuno ne ha parlato alla riunione. Non lo prevedo neanche per un secondo. È un non senso, pura propaganda». Però si sa, non c’è miglior conferma di un’accorata smentita non richiesta. Del resto già circolano stime approssimative dei costi del divorzio. Proibitivi per Atene. Salatissimi però per tutti. Per la Germania dagli 85 ai 100 miliardi. In Francia ben oltre i 50 miliardi. Per l’intera area euro c’è chi parla addirittura di mille miliardi. Senza contare i costi politici. Una catastrofe. Grexit. La convocazione di nuove elezioni in Grecia in un attimo ieri ha fatto crollare le Borse, salire gli spread, scendere l’euro rispetto al dollaro. Non poteva essere altrimenti quando l’Europa, invece di offrire speranza ai greci sbandati nell’estremismo politico ma in maggioranza (75-80%) ansiosi di restare nella moneta unica, si limita a ripetere il suo gelido ritornello: le nostre condizioni sono chiare, sta a voi decidere se rispettarle e, quindi, se restare o no nell’euro. Facile da dire quando in Germania l’economia cresce (+0,5% nel primo trimestre secondo i dati Eurostat di ieri) e ci si finanzia sui mercati a tassi vicini allo zero proprio grazie all’eurocrisi. In Grecia invece il Pil continua a crollare (-6,2% nei primi tre mesi) e la recessione celebra il suo quinto compleanno. Peggio, sullo sfondo c’è un’Europa a crescita zero, come la Francia. L’Italia segna meno 0,8 per cento. Grexit. Appena insediato all’Eliseo, François Hollande ieri è volato a Berlino per incontrare Angela Merkel e cercare di convincerla che in queste condizioni «l’austerità non deve essere una fatalità, la crescita deve tornare in Europa insieme a una maggiore solidarietà di fronte alla preoccupante situazione della Grecia». Il neo-presidente francese auspica «un nuovo patto per l’Europa che concili la necessaria riduzione dei deficit con gli indispensabili stimoli all’economia». Hollande ha incontrato un cancelliere con le idee chiarissime sulla politica europea del rigore ma indebolito dalla recente e bruciante sconfitta elettorale. Incalzato dall’opposizione socialdemocratica il cui presidente, Sigmund Gabriel, ieri gli ha mandato a dire che «le misure di crescita devono andare oltre le riforme strutturali» anche in Germania. In breve, la sua linea è in sintonia con quella francese. Prevarrà il buon senso oscurando per una volta la logica degli egoismi nazionali? Riuscirà la retorica della crescita economica a essere spazzata da misure rapide e concrete per rimettere in moto l’economia europea? Dopo il tête-à-tête di ieri a Berlino se ne riparlerà il 23 maggio al vertice di Bruxelles, a 27 Paesi. Non sarà facile. Ma in campo non c’è solo Hollande. Anche Mario Monti sta facendo la sua parte. La stessa Merkel lancia da qualche giorni cauti segnali di apertura. Il tempo stringe. Questa volta l’Europa è davvero a un soffio dal precipizio. Né si può illudere di esorcizzare il cataclisma Grexit solo con belle parole e false promesse. Se i partner non riusciranno in qualche modo a lenirli, sconforto, umiliazioni e disperazione rischiano di trasformare il nuovo responso elettorale dei greci in un disastro senza ritorno. Però se la Germania della Merkel non ritrova la saggezza del vecchio europeismo tedesco, quello che si intendeva con la Francia riconoscendole la finzione della parità, quello che, memore delle tragedie della storia, coltivava con estrema attenzione l’equilibrio tra centro e periferia dell’Europa, disposto pur di conservarlo a pagarne il prezzo, finirà per trascinare non la Grecia ma tutta l’Unione nel baratro. Basta giocare con la pelle degli altri, anche se hanno sbagliato e sbagliano. Oggi crescita e solidarietà non sono una partita a somma zero o negativa. Sono la chiave della salvezza.