Morya Longo, Il Sole 24 Ore 15/5/2012, 15 maggio 2012
LA VIA D’USCITA? MENO DEBITI E SCAMBI PIÙ TRASPARENTI
Dal 2000 a oggi gli Stati di tutto il mondo hanno aumentato il debito pubblico del 106%. Oggi sono zavorrati – secondo i dati di Moody’s – da circa 52mila miliardi di dollari di debiti. Questo fardello non è distribuito in modo uniforme, ma l’84% è concentrato nei 28 Paesi più industrializzati del mondo: per loro il debito pubblico è mediamente pari al 104% del Pil. Tra tutti si "distingue" l’Italia, che – notizia di ieri – ha sulle spalle dello Stato un peso da 1.946 miliardi di euro. Gli 83 Stati considerati in via di sviluppo, per contro, hanno un debito pubblico pari ad appena il 38% del loro Pil.
Discorso simile per il debito privato: è gigantesco (anche se in alcuni casi un po’ calato) e in gran parte concentrato nei Paesi che, quasi ironicamente, continuiamo a ritenere "forti". Negli Stati Uniti dal 2000 al 2011 – calcolano i Flow of Funds – le famiglie hanno aumentato i debiti dell’89%: oggi la loro esposizione verso le banche è di circa il 119% del reddito disponibile (dati Bce). Nell’area euro il rapporto è al 100%. Ma anche in certi Paesi europei il fardello è enorme: il debito totale (pubblico più privato) in Irlanda è quasi 7 volte più grande del Pil (dati Rbs), in Gran Bretagna è oltre 5 volte, in Olanda
oltre quattro volte.
Di fronte a questi dati non bisogna stupirsi se alcuni Paesi occidentali siano sotto la «dittatura dello spread», come dice il presidente della Consob Giuseppe Vegas: avere così tanti debiti, significa infatti che qualcuno ha prestato tanti soldi a Stati e privati. Quel "qualcuno" è rappresentato in gran parte dai mercati finanziari: investitori che hanno comprato i titoli di Stato (cioè il debito pubblico) e che hanno sottoscritto tanti bond aziendali, bancari o legati ai mutui. Ebbene: quel "qualcuno" oggi non si fida più, oppure prova ad approfittare delle nostre difficoltà per speculare un po’.
Questo è ovviamente intollerabile. Ed è ingiusto che la speculazione e la sfiducia si concentrino solo su alcuni Paesi (Italia e Spagna) e non su altri che hanno problemi diversi ma comunque grandi (Stati Uniti e Gran Bretagna). Ma la colpa è principalmente nostra: se oggi subiamo la «dittatura dello spread» è perché in passato ci siamo affidati ciecamente ai mercati finanziari. Ci siamo fatti prestare troppi soldi. E nessuno, in nessuna parte del mondo, ha mai provato a regolamentarli veramente. Per cercare di risolvere il problema, di questo bisogna essere coscienti: per decenni abbiamo preso in prestito il nostro benessere
(sprechi inclusi).
Per uscire da questa «dittatura dello spread» bisogna dunque ridurre i debiti (pubblici in Italia, privati altrove) e riformare quei mercati finanziari lasciati a briglie sciolte per troppi anni. Bisogna circoscrivere i derivati e gli strumenti (come gli Etf) che esasperano la volatilità e l’isterismo, rendendo più fertile il terreno della speculazione. Bisogna fare quelle riforme strutturali che per anni, grazie alle migliaia di miliardi di dollari presi in prestito, sono sembrate inutili. Solo quel giorno dalla «dittatura dello spread» passeremo alla democrazia. E, speriamo, al buon senso.