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 2012  maggio 15 Martedì calendario

Bollywood, il sorpasso del cinema indiano – Quando, giovedì scorso, Barack Obama si è seduto alla cena di fundraising elettorale organizzata per lui da George Clooney nella sua villa di Beverly Hills (15 milioni di dollari l’incasso a fine serata), nella mente dei presenti non c’era solo il via libera ai matrimoni gay che il presidente aveva appena annunciato ma il destino della stessa industria cinematografica americana

Bollywood, il sorpasso del cinema indiano – Quando, giovedì scorso, Barack Obama si è seduto alla cena di fundraising elettorale organizzata per lui da George Clooney nella sua villa di Beverly Hills (15 milioni di dollari l’incasso a fine serata), nella mente dei presenti non c’era solo il via libera ai matrimoni gay che il presidente aveva appena annunciato ma il destino della stessa industria cinematografica americana. Quell’industria che proprio lì, nel cuore di Hollywood, ha consumato i suoi indimenticabili trionfi, ma che adesso paga un prezzo pesante alla crisi del box-office, soppiantato da tutti i mezzi di fruizione online leciti o clandestini e anche dai costi assolutamente fuori controllo dei film. Problemi che riguardano solo in parte la rivale indiana Bollywood, 14 fusi e mezzo più ad est (o un giorno dopo se si vuole fare il giro dal Pacifico), che proprio quest’anno ha superato la patria del cinema americano per tassi di crescita e giro d’affari: sui mercati asiatici, mediorentale e africano, ancora reggono gli incassi al cinema e così Bollywood si sviluppa a due cifre. Nel mondo, secondo la Motion Picture Association, nel 2011 gli incassi dei cinema hanno raggiunto i 32,6 miliardi di dollari con un incremento del 3% sul 2010, ma in America il valore è stato di 10,2 miliardi, il 5% in meno dell’anno precedente. Negli Usa, sono stati venduti 1,28 miliardi di biglietti, il peggior risultato dal 1995. In Cina nello stesso periodo gli incassi sono aumentati del 35% e poco meno negli altri mercati dove Bollywood spadroneggia. Malgrado la forza dei cinque colossi - Paramount, Universal, Disney, Sony Pictures e Warner Bros - il giro d’affari dell’industria basata a Hollywood è stato di 11 miliardi, quello di Bollywood di quasi 12. Per quanto riguarda gli Usa, secondo l’analista Paul Dergarabedian di Hollywood. com, la colpa, oltre al cambio di abitudini degli americani che ora si guardano i film in casa, ricade sull’aumento del costo dei biglietti passati in media da 6,88 a 7,96 dollari negli ultimi 4 anni, e cresciuti dell’80% dal ’95. Lo stesso 3D, per quanto abbia riportato qualcuno al cinema, comporta un aumento del biglietto fra i 2,8 e i 4 dollari. Non a caso, il box-office del 3D è stato inferiore per 400 milioni rispetto al 2010, anno in cui c’era stato il fenomeno Avatar. Per il resto del mondo il verdetto è chiaro: i film indiani sono migliori e meno costosi. Va detto che oltre agli incassi al botteghino c’è il poderoso giro industriale dei diritti televisivi e via web, del marketing compresi i mille gadget connessi ai film più popolari, della vendita di dvd, cassette e ogni altro supporto, e anche tutto il giro d’affari collaterali connesso con le sponsorizzazioni dirette degli attori. E in tutto questo la macchina da guerra americana surclassa ancora i pur volitivi e crescenti indiani. Ma la linea di tendenza sembra delineata: il nuovo mondo di Bollywood, i Bric, i Paesi ex-emergenti e ormai affermati, sta sopravanzando la vecchia America sul suo terreno privilegiato, l’industria dell’entertainment. Hollywood cerca di reagire. Intanto ha messo a capo della Motion Picture Association, la confindustria delle major, una vecchia volpe come Christopher Dodd, il senatore democratico (resterà comunque al Congresso fino al 2013) che Obama incaricò tre anni fa di varare il progetto di riforma della finanza americana, in possesso evidentemente di un network formidabile di contatti. Il primo problema che Dodd ha risolto è stato la sponsorizzazione del teatro sull’Hollywood Boulevard dove avviene la cerimonia degli Oscar: si chiamava Kodak Theatre ma la casa fotografica ha pensato bene di fallire poche settimane fa, proprio in piena crisi di Hollywood, rescindendo il suo contratto da 70 milioni di dollari. Il teatro verrà ora ribattezzato Dolby Theatre dal nome dell’azienda che ha firmato la sponsorizzazione (per 5 anni), regina della sonorizzazione dei film (inventò il Dolby Stereo nel 1972 e poi ne ha accompagnato tutta l’evoluzione digitale). Oggi la Dolby sta rinnovando le sue fortune lavorando guarda caso con l’industria di Bollywood e ha aumentato del 3,7% i ricavi e del 9% i profitti nel 2011. La reazione di Hollywood si concentra sui contenuti commerciali con film confezionati apposta per essere successi di botteghino come The Avengers, un’operazione (costata 1 miliardo) di crossover, ibrido cinematografico incentrato sul supergruppo dei Vendicatori, i supereroi dei fumetti Marvel (da Ironman all’Incredibile Hulk). Distribuito dalla Walt Disney con superstar come con Robert Downey e Scarlett Johansson, il film sembra rispondere alle aspettative: in 7.500 cinema di tutto il mondo, Italia compresa, ha incassato 640 milioni di dollari dal 4 maggio ad oggi e 200 milioni di dollari nel primo weekend, di cui 7 in Italia (è un record assoluto strappato ad Harry Potter e i doni della morte-2 che nel luglio dell’anno scorso incassò in un fine settimana 169 milioni). Basterà? Bollywood risponde con operazioni enormemente meno ambiziose ma molto capillari e redditizie. Il film di queste settimane si chiama Agneepath, è un action dramacon un budget di 11,9 milioni di dollari: distribuito in 2.650 schermi in Asia, accolto benissimo dalla critica locale, ha già incassato 38,5 milioni. A realizzarlo è la Dharma Production di Bombay, uno dei più potenti gruppi di Bollywood creato nel 1976 da Yash Johar, personaggio fondante per l’intera industria paragonato dagli esperti a quello che era stato Marcus Loew (il fondatore della Mgm) ad Hollywood negli anni ’30. Lo stesso Johar promosse nello stesso anno la formazione della National Film Development Corporation, l’organizzazione comparabile con la Motion Picture hollywoodiana che si vale di un forte contributo statale (del resto la controparte americana come si è visto anche se non finanziariamente è vicina all’establishment politico). Johar è scomparso nel 2004 e oggi la casa è guidata dal figlio Karan, che sta progressivamente “occidentalizzando” le produzioni per ampliarne il mercato, sempre con attenzione a non urtare le morali hindu e islamista dominanti. I rapporti con le due religioni sono storicamente difficili: basti ricordare che i film indiani sono stati vietati in Pakistan (a maggioranza islamica) fino al 2007. Rivale storica della Dharma è la Celador Films, produttrice di The Millionaire, il più clamoroso successo di Bollywood vincitore nel 2008 di otto premi Oscar. Altri nomi importanti del panorama cinematografico indiano sono Gimmicks Productions, Cinedreams Adlabs, BR Films, Mukta Arts, Rajshri Pictures, Yashraj. Ci sono poi la case specializzate in produzioni in lingua hindi come la Aamir Khan Productions e la Excel Entertainment, e c’è poi il gruppo “distaccato” delle produzioni bengalesi (al confine con il Bangladesh) come la Arjoe Entertainment. Insomma, la competizione fra i due cinema, e i due mondi, è aperta. Soprattutto per conquistare la supremazia sui mercati terzi: in Africa per esempio, un miliardo di spettatori potenziali, dove però cresce il terzo incomodo. Si chiama ovviamente Nollywood, è l’industria fiorente del cinema che sta crescendo in Nigeria e che ha già raggiunto il fatturato di 500 milioni di dollari l’anno. Il film “The Avengers” della Walt Disney, basato sui personaggi della Marvel, su cui si basano le speranze di un 2012 che riscatti la magra prestazione delle case di Hollywood nel 2011