Marcello De Cecco, Affari e finanza 15/5/2012, 15 maggio 2012
Bolla immobiliare, banche in tilt in Europa è “febbre spagnola”– In Spagna, a mostrare una relativa virtù finanziaria in confronto ad altri paesi europei è solo lo stato centrale, che esibisce ancora un rapporto debito/Pil attorno al 70%
Bolla immobiliare, banche in tilt in Europa è “febbre spagnola”– In Spagna, a mostrare una relativa virtù finanziaria in confronto ad altri paesi europei è solo lo stato centrale, che esibisce ancora un rapporto debito/Pil attorno al 70%. Tutti gli altri dai privati alle istituzioni finanziarie, alle imprese, soffrono al contrario di un sovraindebitamento che pone il paese ai primissimi posti al mondo per debito totale. Ma anche la virtù finanziaria pubblica sembra avere i giorni contati. La scorsa settimana il governo ha deciso di entrare nella compagine azionaria di Bankia, la quarta banca del paese, risultato di una recente fusione tra alcune casse di risparmio. Ed è una partecipazione superiore al 40%. Poi, ampiamente anticipato da quelli che avevano visto il governo irlandese prendere a suo tempo una decisione simile, ha annunciato la creazione di una bad bank per farvi confluire tutte le attività dubbie delle banche più disastrate. Poi dovrà ricapitalizzare la cosiddetta parte sana delle banche. Questo vuol dire che il governo dovrà, in un futuro assai vicino, vendere debito pubblico per finanziare questa iniziativa che, partita come evento straordinario per salvare Bankia, si è generalizzata all’intero sistema bancario. Così la forte crescita del rapporto tra debito pubblico e Pil nei prossimi mesi è inevitabile, anche se si cercheranno cosmesi varie per mascherarla e se resta possibile un intervento di sostegno della European Financial Stability Facility. Ne sono convinti i mercati, che hanno da parecchi mesi ormai fatto salire lo spread spagnolo al disopra di quello italiano, anche se non di molto, con un ritorno alla tradizionale posizione relativa tra i due paesi che gli spagnoli speravano capovolta per sempre. Cosa ha portato a fondo le banche spagnole è facile comprendere, quando si guardano le cifre dell’indebitamento del settore immobiliare. E’ bene notare che i debiti più cospicui sono quelli delle imprese di costruzioni e delle imprese immobiliari e che il pur molto elevato indebitamento immobiliare dei cittadini è minore, anche se molto elevato rispetto a quello di paesi come l’Italia, che fa storia a sé quanto a mutui immobiliari alle famiglie, ma anche di Francia e Germania. Coi debiti, nell’ultimo decennio, le società di costruzioni spagnole sono divenute, da realtà provinciali di un paese ancora poco rilevante a livello mondiale, degli autentici colossi, assai presenti con le loro attività nei maggiori appalti di opere pubbliche del mondo e capaci anche di grandi acquisizioni in settori diversi da quello delle costruzioni. Come si è gonfiata la bolla immobiliare spagnola negli anni del nuovo secolo si comprende se si considera che il circolo che ha legato in quegli anni la crescita impetuosa dell’economia all’aumento del gettito fiscale, e quindi ai sempre più grandiosi programmi di infrastrutture dei governi prima di Aznar e poi di Zapatero, è restato a lungo virtuoso e solo all’arrivo della crisi mondiale si è invertito. Il governo ha dovuto interrompere il suo programma di infrastrutture, togliendo fondi alle grandi imprese di costruzioni, e queste a loro volta si sono trovate a fare improvvisamente i conti con la difficoltà a onorare i propri enormi impegni con le banche. Queste hanno cercato di proteggersi incamerando le proprietà immobiliari su cui avevano acceso mutui e tentando di collocarle sul mercato. I prezzi delle case sono così precipitati ma sono ancora parecchio più alti che all’inizio della bolla. Ci si aspetta dunque che dovranno scendere ancora. Deflazione privata e deflazione pubblica si sommano, in un contesto di essiccamento delle fonti estere di credito, che certo non dipende solo dalle responsabilità spagnole, ma che colpisce la Spagna, come ha colpito gli altri paesi della periferia meridionale europea, in maniera particolarmente grave. Non migliora le prospettive vedere come l’Irlanda, che ha qualche anno prima della Spagna deciso di salvare le banche accollando i loro enormi debiti allo stato, non solo ha in questo modo rovinato i propri conti pubblici chissà per quanto tempo. E’ stata anche costretta a ricorrere all’aiuto della Ue, della Bce e del Fmi, aiuto costosissimo in termini di rigore imposto all’attività economica dello stato, e non sembra dopo qualche anno essersi in alcun modo ripresa, se guardiamo allo spread sui suoi titoli di stato e all’andamento del Pil. Tanto che si parla apertamente di un prossimo nuovo ricorso alla stessa Troika da parte del governo irlandese. Intanto i giornali riportano dall’Isola di Smeraldo notizie di una aperta rivolta fiscale contro una tassa patrimoniale sulla casa, che una cospicua parte dei cittadini ha deciso di non pagare. La insolvenza effettiva di molte banche spagnole, rimediata con iniziative come quella che ha creato la Bankia, entrate in crisi poco dopo la loro assunzione, come mostra la decisione del governo spagnolo di comprare più del 40% della nuova banca, si comunicherà quasi inevitabilmente agli altri settori dell’economia, minandone la salute finanziaria, visto che anche i loro debiti bancari sono enormi. Abyssus abyssum vocat, diceva Raffaele Mattioli a proposito della crisi bancaria italiana degli anni ‘30. La distanza tra deflazione da debiti e aperta crisi sociale sarebbe stata in Spagna già coperta senza le due provvidenziali “Operazioni di rifinanziamento a lungo termine” della Banca centrale europea, che hanno offerto alle banche dell’area euro la possibilità di scontare la loro carta finanziaria alla Bce, per il ragguardevole importo di quasi mille miliardi di euro. Senza di esse la illiquidità del mercato finanziario europeo sarebbe divenuta un vero rigor mortis. Le banche spagnole ne hanno fruito per 200 miliardi di euro, il 20% del totale, destinandone una notevole quantità all’acquisto di titoli di stato spagnoli. Cosa che hanno fatto anche le banche italiane. E’ una provvista di liquidità a basso costo, che ha permesso alle banche di lucrare un eccellente differenza tra il modesto tasso di interesse richiesto dalla Bce e i rendimenti dei titoli di stato. Ma è una soluzione di corto respiro, coscientemente attivata per interrompere temporaneamente la spirale del mercato finanziario europeo verso la illiquidità. Dopo tre anni il denaro deve essere restituito e il meccanismo mostra la corda se non torna la fiducia sui mercati. A giudicare dagli andamenti degli spread, la sua efficacia è già fortemente diminuita, e a farne le spese è stata la Spagna, seguita dal nostro paese e dagli altri paesi della periferia meridionale europea. I difetti dell’iniziativa della Bce vengono ripetutamente denunciati dal governatore della Bundesbank, con toni sempre più concitati e ultimativi. Secondo i calcoli degli esperti, le risorse necessarie a mettere in maggior sicurezza i conti delle banche spagnole sono ancora enormi. Più del doppio di quelle finora messe a disposizione. Le banche spagnole hanno prestiti in atto per circa 1500 miliardi di euro. I crediti in sofferenza sono più o meno l’otto per cento, ma nel settore immobiliare essi crescono enormemente, e se si crede che la corsa al ribasso dei prezzi di case e terreni non sia affatto finita, ci si deve aspettare una veloce estensione delle difficoltà alle maggiori società di costruzione spagnole, a quei nuovi giganti che negli anni prima della crisi hanno fatto irruzione sul mercato internazionale, come fecero negli anni ottanta i “cavalieri di ventura” italiani. Di molte delle attività estere esse ora dovranno disfarsi a prezzi di saldo, per la gioia di coloro che, avendogliele vendute, potranno ora riacquistarle per quattro soldi. Ultima considerazione: molte delle risorse finanziarie utilizzate per sviluppare tanto velocemente le proprie attività, le banche spagnole, come quelle irlandesi, le hanno prese a prestito negli anni d’oro da istituzioni finanziarie straniere e dai mercati internazionali. Le banche inglesi e quelle francesi, in particolare, sono state con loro assai generose e ora si trovano nella probabile necessità di dover svalutare severamente tali crediti, danneggiando i propri bilanci e rendendo inevitabili ulteriori ricapitalizzazioni. Meno esposte sono le banche tedesche e quelle italiane mentre, da un ulteriore crollo delle importazioni di paesi come la Spagna, saranno danneggiate le imprese tedesche e quelle italiane, grandi esportatrici verso quei mercati. Come ho scritto in parecchie occasioni, siamo in presenza di un gioco non a somma zero. Il male dell’uno è anche quello degli altri giocatori. Ma le autorità nazionali dei paesi del Nord Europa non sembra se ne siano accorte e continuano ad attivamente incentivare le difficoltà di quelli della periferia Sud. All’elettore del Nord Reno Westfalia non è stato spiegato che se crolla il sistema finanziario spagnolo crolla anche quello italiano e che a lui da questi crolli non possono venire benefici, ma solo disgrazie. Anzi, i propri rappresentanti politici gli stanno dicendo il contrario, per un angusto e colpevole opportunismo politico ampiamente istigato dalla stampa popolare. E’ un parossismo di irresponsabilità, che riporterà l’Europa agli anni trenta e poi, Dio non voglia, agli anni quaranta. Il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy La crisi immobiliare, su cui era basato il boom economico, mette a dura prova le banche Il cancelliere tedesco Angela Merkel