Ilvo Diamanti, la Repubblica 12/5/2012, 12 maggio 2012
Diario di un uomo tradito dalla politica – Nel mezzo delle elezioni amministrative – le prime consultazioni dopo la fine del governo Berlusconi – spicca, nelle analisi e nei commenti, l´assenza di un attore, in teoria, fondamentale, più che importante
Diario di un uomo tradito dalla politica – Nel mezzo delle elezioni amministrative – le prime consultazioni dopo la fine del governo Berlusconi – spicca, nelle analisi e nei commenti, l´assenza di un attore, in teoria, fondamentale, più che importante. Il sindaco. Non se n´è quasi parlato, in questi giorni. Tutta l´attenzione si è concentrata sui partiti, le coalizioni, Monti, la Ue. Berlusconi e Bossi. Grillo. Bersani e perfino Casini. Molto meno sui sindaci. Con rare eccezioni. Tosi, ad esempio, ri-eletto a Verona, con un larghissimo consenso. Ma lo spazio che ha conquistato dipende soprattutto dalla sua polemica contro Bossi e i bossiani. Molto meno, appunto, dal suo ruolo di sindaco. Quasi vent´anni dopo l´approvazione della legge sull´elezione diretta che, nel 1993, ne aveva fatto i protagonisti del rinnovamento politico e istituzionale in Italia, i sindaci sembrano essere rientrati nell´ombra. Comprimari, perfino comparse, di uno Stato e di un sistema politico largamente centralizzati. Per comprendere ragioni e sentimenti che hanno prodotto questo esito è, certamente, utile la testimonianza di Roberto Balzani: Cinque anni di solitudine, in uscita per il Mulino. Sottotitolato, in modo esplicito ed eloquente: "Memorie inutili di un sindaco". Lui, appunto. Sindaco di Forlì, una città media dell´Italia felix, recitata dalle cronache e dagli studi degli ultimi vent´anni. La Terza Italia, immersa nei distretti e nelle buone relazioni associative. Avvolta da un benessere diffuso. Balzani racconta la propria esperienza di sindaco, divenuto tale quasi per caso. Nel 2009. Lui, professore universitario, storico di politica contemporanea noto. Da sempre coinvolto nella vita pubblica. Ma non un militante e tanto meno un professionista politico. Si ritrova sindaco, dopo aver vinto le primarie del Centrosinistra nella sua città. Sperimenta in fretta la distanza fra le idee, i modelli e la realtà. In particolare, verifica subito quanto fosse velleitario il suo proposito "illuminista". Interpretare una leadership "di governo legale-razionale, trasparente e soprattutto, a tempo", per citare le parole dell´autore. In base a progetti e programmi, fondati sulla comprensione analitica e approfondita della realtà sociale e istituzionale. Balzani si accorge subito di quanto sia difficile agire in questa prospettiva. Per chi amministra le città, i programmi sono "ricapitolazioni del passato". Il futuro: un riassunto e una narrazione storica che riproduce l´auto-immagine e la visione della città. Il Sindaco. Costretto a muoversi in un contesto istituzionale e di relazioni al tempo stesso "presentificato" e "provvisorio". Ma non per la consapevolezza che ogni incarico pubblico sia temporaneo. Un servizio civile, non in-finito. Per riprendere l´autore: «L´offerta gratuita (e provvisoria) di sé, della propria famiglia, della propria carriera». No. La presentificazione è il segno di un´attività condotta da «una classe dirigente e politica da tempo disabituata a ragionare in termini prospettici restando schiacciata sul presente». Una condizione a cui molti sindaci si sono adeguati, agendo come "politici posizionali". Alla ricerca di un "posizionamento" per mantenere e riconfermare il proprio ruolo o per "fare carriera", in altre "posizioni" istituzionali e politiche. Regionali o nazionali. Balzani auto-descrive questa condizione in modo diretto, con molti esempi, derivati dalla sua esperienza. Lamenta, in particolare, la distanza enorme che separa la retorica del tempo con la "prassi" reale. Ironizza sul presunto Federalismo, professato, a parole, dal governo di centrodestra, e in primo luogo dalla Lega, come una bandiera. Nella realtà, uno «strumento per simulare che il baricentro del potere andava spostandosi verso la periferia». Mentre, nella prassi, l´autonomia dei comuni è divenuta sempre più residuale. I sindaci: costretti a battersi contro molteplici tensioni centraliste. Nella burocrazia e nella politica. Moltiplicate dalla crisi. Che produce alcuni paradossi curiosi quanto sgradevoli, per i sindaci. I quali, da un lato, promuovono e professano la tutela del territorio e dell´ambiente, di fronte ai cittadini. Ma, in effetti, sono indotti a incentivare l´espansione immobiliare. Il principale mezzo di autofinanziamento, per gli enti locali. Perché questo finto federalismo dà ai comuni l´autonomia di allargare le finanze in modo "aggiuntivo". Cioè: imponendo nuove tasse, dopo averle, in parte, riscosse per conto dello Stato. (Come dovrebbe avvenire per l´Imu). Tre anni di governo locale, in questo modo, valgono cinque. E generano un profondo senso di "solitudine". Quella che il sindaco prova, nonostante sia in una fitta rete di contatti quotidiani. Che, tuttavia, lo lasciano solo. "Solo", perché costretto a sacrificare, all´impegno amministrativo, i rapporti con la famiglia. Ma anche con i "vecchi amici". A trascurare i legami che contano. "Solo", perché i partiti non garantiscono più le relazioni con lo Stato e con la società. Sono divenuti estranei. Alla società, ma anche allo Stato. "Soli", perché Roma è lontana, ma andarci non serve, visto che «i ministeri sono scatoloni vuoti» e, in questi tempi di crisi, non hanno nulla da darti. "Soli", perché la società dei distretti e delle mille associazioni si è frammentata in mille interessi e in mille spinte individuali. Attraversata da mille conflitti. "Soli", infine, perché c´è «un luogo della responsabilità e della decisione che non è condivisibile con alcuno…e, fatalmente, fa percepire al sindaco la sua unicità». Da ciò, il dubbio: se, oggi, non sia "inutile" un impegno pubblico "temporaneo" e "gratuito". Fare il "sindaco a termine", senza mirare a un posto nel ceto politico e nel "Parlamento dei nominati". La risposta di Balzani, a questo proposito, è netta. Dedicare una parte della propria vita al "bene pubblico": è "utile". Ma è anche un´esigenza, per molti uomini di buona volontà. L´autore evoca, per questo, la sindrome di Renato Serra, classe 1884, brillante intellettuale della provincia di Cesena. Nel 1915, all´inizio della Grande Guerra, sente «l´urgenza di essere partecipe, anche nella tragedia, del proprio tempo». In nome di un destino collettivo. Per cui sente il bisogno – e decide – di partire. Morirà presto, nel 1915, al fronte. Ma io, sinceramente, spero che al sindaco intenzionato a porsi al servizio dei cittadini, dello Stato e del bene pubblico non sia richiesto un sacrificio così grande.