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 2012  maggio 15 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. LA GRECIA VERSO NUOVE ELEZIONI


REPUBBLICA.IT - CRONACA
ATENE - Si è conclusa con un nulla di fatto la riunione tra il capo dello Stato Karolos Papoulias e i leader dei partiti eletti in Parlamento. Fotis Kouvelis (Sinistra Democratica), uscendo ha dichiarato che i colloqui sono finiti, lasciando intendere che si sono conclusi con un nulla di fatto.
"Purtroppo la Grecia va verso nuove elezioni per colpa di qualcuno che ha messo i propri temporanei interessi politici al di sopra degli interessi della nazione", ha detto il leader socialista Evangelos Venizelos. Il riferimento è alla coalizione della sinistra radicale Syriza, superfavorita in caso di nuove elezioni e che si è rifiutata di entrare in un governo di coalizione.
Si terrà domani nel primo pomeriggio una riunione al palazzo presidenziale per decidere la formazione di un governo ad interim per portare la Grecia alle prossime elezioni previste per il 10 o 17 giugno.
Per quanto riguarda le voci sulla possibile uscita della Grecia dall’Eurozona, il presidente dell’Ecofin e primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker fa un po’ di chiarezza. "Il nostro fermo desiderio - ha detto a Bruxelles durante la conferenza stampa conclusiva dell’Eurogruppo - è di mantenere la Grecia nell’Euro, e faremo di tutto perché sia così". Non si sarebbe mai parlato, quindi, di un abbandono della moneta unica da parte di Atene. "È un’assurdità, è solo propaganda", ha continuato Juncker, smentendo così le dichiarazioni ambigue di alcuni ministri dell’Ue, tra cui l’austriaca Maria Fekter, il tedesco Wolfgang Shaueble e lo stesso presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. "Siamo 17 Stati membri, co-proprietari della nostra moneta comune. Bisogna evitare di offendere la democrazia greca".
La notizia di un nulla di fatto al termine dell’incontro tra i maggiori leader politici in Grecia, affossa i listini europei. In una manciata di minuti, gli indici incrementano le perdite. Milano, maglia nera, cede il 2,18% a 13.363, mentre lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi tocca un massimo infraday di 440 punti. In rosso anche Parigi (-1,16%), Francoforte (-1,39%), Londra (-0,94%), Madrid (-1,11%) e Lisbona (-1,57%). Annulla i guadagni Atene: il listino principale lascia sul terreno lo 0,96%. L’euro scivola a un nuovo minimo da 4 mesi, sotto quota 1,28 dollari, dopo la notizia del mancato accordo in Grecia. La moneta europea passa di mano a 1,2770 dollari.
(15 maggio 2012)

REPUBBLICA.IT - LE BORSE
MILANO - La Grecia affonda e trascina l’Europa con sé. I mercati del Vecchio continente hanno virato in territorio negativo dopo l’annuncio che Atene dovrà tornare alle urne. E così la seduta che si era aperta all’insegna dell’ottimismo in scia alla parole del presidente dell’Eurogruppo si trasforma in un calvario. Jean Claude Juncker aveva detto: "Faremo di tutto per tenerla nell’Euro". Ma le buone intenzioni non bastano. Così come non basta la crescita della Germania.
E così a Milano, Piazza Affari, che pareva avere già scontato il downgrade di 26 banche deciso da Moody’s, si muove in deciso ribasso a -1,9%, appena meglio Londra che perde lo 0,3%, Francoforte (-0,4%) e Parigi (-0,2%). E la Grecia alimenta la tensione sul debito sovrano: lo spread Btp/bund è in rialzo a 433 punti. I Btp rendono il 5,7% (in linea con la media dell’ultimo anno), mentre i bund scendono ancora all’1,47% (largamente al di sotto del rendimento medio degli ultimi 12 mesi al 2,13%). Si impenna lo spread con i titoli greci il cui rendimento è volato oltre il 27%. E soffre anche l’euro sceso sotto quota 1,28 dollari, ai minimi da gennaio.
Contrastata
Wall Street: il Dow Jones è invariato, il Nasdaq recupera lo 0,2%, mentre l’S&P 500 perde l’1%. Non basta quindi che l’indice Empire State, che misura l’andamento delle attività manifatturiere nel distretto di New York, a maggio sia salito a 17,09 punti dai 6,56 punti di aprile. Il dato è migliore delle attese degli analisti, che si attendevano un progresso meno forte a quota 8,5 punti. Le vendite al dettaglio sono aumentate dello 0,1% in aprile, in linea con le attese degli analisti. I prezzi al consumo sono rimasti invariati ad aprile mentre la componente core ha fatto registrare un rialzo dello 0,2%. Le attese degli analisti erano per un incremento dello 0,3% dell’indice headline e dello 0,2% al netto di prodotti alimentari ed energetici. Per l’indice si tratta della primo dato invariato dopo tre rialzi consecutivi. Alla luce di questa performance, l’inflazione su base annua è cresciuta in aprile del 2,3%, l’incremento tendenziale più modesto dal febbraio 2011.
Sul fronte macroeconomico l’Istat ha confermato la recessione italiana (-0,8% il Pil nel primo trimestre), mentre l’Europa è ferma. Brilla ancora una volta la Germania: l’economia tedesca ha, infatti, segnato una crescita congiunturale dello 0,5% nel primo trimestre, riprendendosi dalla contrazione dello 0,2% registrata il trimestre precedente. Un dato che sebbene preliminare è migliore delle attese degli economisti che avevano previsto un rialzo di appena lo 0,1%: su base annuale si registra una crescita dell’1,7%, in accelerazione rispetto al +1,5% del quarto trimestre 2011 e meglio del +0,8% previsto.
L’indice Zew, che misura la fiducia delle imprese tedesche, a maggio è invece sceso a 10,8 punti dai 23,4 punti del mese scorso. Il dato è peggiore del consensus degli analisti pari a 19,5 punti: secondo l’istituto tedesco il peggioramento è dovuto all’esito delle elezioni in Grecia e in Francia che avrebbe aumentato i timori tra gli imprenditori di una minore determinazione di alcuni paesi dell’Eurozona a risanare i conti pubblici e contrastare così la crisi debitoria. La Francia, intanto, ha registrato una crescita zero per il Pil nel primo trimestre in linea con le attese degli analisti. Tuttavia l’inflazione ha rallentato ad aprile dopo il balzo dello 0,8% registrato a marzo: i prezzi al consumo sono saliti dello 0,1% rispetto al mese precedente e del 2,1% sullo stesso mese del 2011. Buone le notizie sul fronte del lavoro dove sono stati creati 10.200 nuovi impieghi (+0,1%) nel primo trimestre del 2012: dopo due trimestri negativi (-22.600 nel quarto trimestre e -31.500 nel terzo trimestre) la Francia ha quindi ricominciato a creare occupazione.
In mattinata la Borsa di Tokyo ha chiuso la seduta in calo risentendo ancora delle incertezze della zona euro e, in particolare, della Grecia. Il Nikkei ha ceduto lo 0,81% e il Topix l’1,23% muovendosi in scia alla brutta giornata registrata ieri sui listini europei e su Wall Street. Male, in particolare, i titoli bancari che hanno risentito anche del downgrade di Moody’s su 26 banche italiane. Pesa anche il calo degli investimenti esteri diretti in Cina che ad aprile sono scesi dello 0,7% a 8,4 miliardi di dollari mostrando il sesto mese consecutivo di flessioni: il calo è dovuto soprattutto alla flessione del contributo proveniente dall’Europa. Complessivamente, nei primi quattro mesi dell’anno, gli investimenti esteri in Cina sono stati pari a 37,9 miliardi di dollari, in calo del 2,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Apertura in lieve rialzo per il petrolio a New York, dove le quotazioni salgono di 7 cent a 94,85 dollari al barile. In discesa l’oro: il lingotto consegna immediata viene scambiato a 1.555,85 dollari l’oncia, il livello più basso dal 30 dicembre del 2011.
(15 maggio 2012)

REPUBBLICA.IT - SCENARIO
ATENE - L’Europa si prepara ad alzare il sipario sulla madre di tutte le tragedie greche: l’addio di Atene all’euro. Il Partenone in crisi viaggia verso le elezioni-bis. E il vecchio continente allaccia le cinture di sicurezza in vista di un’Apocalisse finanziaria di cui tutti conoscono il copione ma nessuno è in grado di prevedere il finale. Unica certezza: il ritorno della dracma, se mai succederà, "non sarà indolore né per la Grecia né per la Ue", ha garantito Per Jansson, numero due della Banca di Svezia. E tra corse agli sportelli, crac da brividi, dazi, effetto-contagio (occhio all’Italia) e disordini sociali potrebbe costare all’Europa "100 miliardi in un anno", come ha vaticinato il presidente del Fondo salva-Stati Klaus Regling.
IL PRIMO ATTO
Il primo atto del possibile Calvario è già scritto: un fine settimana, a mercati chiusi, Atene formalizzerà a Bruxelles la sua uscita dalla moneta unica. Poi sarà il caos. La Banca di Grecia convertirà dalla sera alla mattina depositi, crediti e debiti in dracme, agganciandoli al vecchio tasso di cambio con cui il Paese è entrato nell’euro nel 2002: 340,75 dracme per un euro. Si tratta di un valore virtuale: alla riapertura dei listini, prevedono gli analisti, la nuova moneta ellenica si svaluterà del 40-70 per cento. Per evitare corse agli sportelli (i conti correnti domestici sono già calati da 240 a 165 miliardi in due anni), Atene sarà costretta a sigillare i bancomat, limitare i prelievi fisici allo sportello e imporre rigidi controlli ai movimenti di capitali oltrefrontiera.
IL PIL GIU’ DEL 20%
L’addio all’euro costerà carissimo ai greci: il Prodotto interno lordo, calcolano alcune proiezioni informali del Tesoro, potrebbe crollare del 20 per cento in un anno. I redditi andrebbero a picco, l’inflazione rischia di balzare del 20 per cento. Il vantaggio di competitività garantito dal "tombolone" della dracma sarà bruciato subito. La Grecia - che a quel punto non avrebbe più accesso ai mercati - sarà costretta a finanziare le sue uscite (stipendi e pensioni) solo con le entrate (tasse) senza potersi indebitare. E non potrà più contare né sui 130 miliardi di aiuti promessi dalla Trojka, nei sui 20,4 miliardi di fondi per lo sviluppo stanziati da Bruxelles. Di più: i costi delle importazioni (43 miliardi tra petrolio e altri beni di prima necessità nel 2011) schizzerebbero alle stelle mettendo altra pressione sui conti pubblici. Un Armageddon che

REPUBBLICA.IT - DIFFERENZE CON JP MORGAN
Vale più un paese di 10 milioni di abitanti o il portamonete di una banca? Nel mondo a rovescio di oggi, dove la finanza è sovrana, non ci sono dubbi: gli spiccioli di JpMorgan valgono di più del futuro della Grecia e della vita dei suoi cittadini. Il colosso Usa, per la precisione, batte Atene 269 miliardi di euro a 266. La prima cifra è l’argent de poche che la merchant bank a stelle e strisce ha messo nel salvadanaio destinato alle operazioni finanziare in proprio (poca roba rispetto ai 2.600 miliardi di asset del gruppo, 1,5 volte il Pil italiano). Un gruzzoletto che - almeno in teoria - servirebbe a coprire i rischi dell’azienda sulle perdite dei portafogli dei clienti. I 266 miliardi sono invece i debiti totali della Grecia dopo l’accordo con i creditori previsti, la bomba ad orologeria che in queste ore potrebbe far saltare tutta l’Europa.
Atene, nessuno lo nega, con quei soldi ha un po’ pasticciato: la politica ellenica ha nascosto il deficit per anni, i greci si sono tappati tutti e due gli occhi godendo di un welfare al limite della beneficienza e di un fisco malato di miopia cronica. Pure le banche Usa, però, qualche peccatuccio ce l’hanno. JpMorgan è fresca fresca di uno strafalcione finanziario sui derivati che le è costato, per ora, 2 miliardi di dollari (ma inspiegabilmente non il posto del suo numero uno). Da Lehman in poi la finanza spericolata è costata miliardi ai risparmiatori, garantendo invece bonus da brividi a banchieri e gestori di hedge fund. Eppure per Wall Street ed Atene si usano due pesi e due misure. Buffetti per le banche (sotto forma di riforme mai approvate e lacrime di coccodrillo quando i derivati colpiscono ancora) e bastonate per la Grecia. Accompagnati da una pioggia di aiuti a fondo perduto per i colossi del credito contro gli euro distribuiti con il contagocce a una nazione dove il 27,5% degli abitanti, dice Eurostat, vive sull’orlo dell’esclusione sociale. Il Partenone ha ottenuto negli ultimi due anni prestiti per 210 miliardi di euro, di cui tra l’altro meno del 50% sono stati già sborsati da Ue, Bce e Fmi. E in cambio ha dovuto garantire riforme e tagli pesantissimi sotto l’occhio vigile e severo della Bundesbank e di Angela Merkel. "Riapriremo il portafoglio solo se Atene continuerà a fare i suoi compiti a casa", ha ribadito ieri il Cancelliere tedesco.
Per le banche, invece, si è usata un po’ più di indulgenza e molta più generosità. I prestiti e le garanzie netti dei governi europei al mondo del credito - in sostanza un salvagente per non farli fallire sotto il peso dei loro errori - era a gennaio secondo i calcoli tradizionalmente molto accurati dell’Ufficio Studi di Mediobanca di 1.231 miliardi. Cui vanno aggiunti i mille miliardi di finanziamenti low cost garantiti senza batter ciglio al sistema dalla Banca centrale. Il salvagente lanciato da Washington ai suoi istituti valeva invece a inizio anno 914 miliardi.
Ora è chiaro che se non funzionano le banche non funzionano i paese. La logica del "too big to fail" (troppo grande per fallire) però ha fatto perdere al mondo il senso delle misure. Tanto da prendere sotto gamba i 296 miliardi che JpMorgan gioca ogni giorno sulla roulette dei mercati mentre la Grecia affonda sotto il peso di 266 miliardi. I cittadini ellenici si devono mettere il cuore in pace. Sono le leggi del mercato. E Atene è troppo piccola per non poter fallire.
(15 maggio 2012)