MARIO DEAGLIO, La Stampa 12/5/2012, 12 maggio 2012
LA MIOPIA DELLA GERMANIA PRIVA DI UN GRANDE DISEGNO
Nell’aprile 2011 le «previsioni di primavera» della Commissione dell’Unione Europea attribuivano all’Italia una crescita del prodotto interno lordo pari all’1 per cento nel 2011 e all’1,3 per cento nel 2012. L’analogo documento per il 2012, reso noto ieri, ammette che nel 2011 si è realizzato solo un aumento dello 0,4 per cento e per quest’anno prevede addirittura una forte decrescita (-1,4 per cento). Il tutto senza un’analisi dei motivi dell’errore, che non è certo il primo.
Tale errore sarebbe forse scusabile se si trattasse di un’esercitazione accademica. Questo documento è però alla base delle raccomandazioni, talora molto pressanti, che la Commissione rivolge ai governi dell’Unione per realizzare il pareggio di bilancio del settore pubblico. Bruxelles si basa quindi su un radar che fornisce indicazioni all’insegna dell’incertezza sulla rotta e sulla velocità della navicella economica dell’Europa; tanto che il commissario Olli Rehn si è ieri affrettato a precisare che all’Italia non serve una nuova manovra in quanto il deficit strutturale, ossia depurato della cattiva (e imprevista) congiuntura sarà comunque colmato.
L’incertezza, unita a una buona dose di nervosismo, trapela anche dalle dichiarazioni del cancelliere tedesco, Angela Merkel, la quale ripete che la Francia ha ormai firmato il «patto fiscale» e che non può tornare indietro, dimenticando che un documento siglato da un presidente battuto alle elezioni poche settimane più tardi e non approvato dal Parlamento è apertissimo ai cambiamenti. Perché entri in vigore, gli elettori irlandesi inoltre dovranno approvarlo con un referendum il prossimo 31 maggio. Nel 2008, rispondendo «no» a un referendum sul Trattato di Lisbona, ne avevano ritardato l’applicazione di circa un anno.
In realtà, Merkel sa benissimo che il patto dovrà e potrà essere migliorato o accompagnato da altri accordi ma più che al nuovo Presidente francese parla agli elettori della Renania Settentrionale-Westfalia, la regione più ricca e popolosa della Germania. Le elezioni locali di domani potrebbero, se i sondaggi sono affidabili, decretare la sua ennesima sconfitta alle urne e dalla gravità di questa sconfitta può dipendere il destino dell’attuale governo tedesco. Merkel però non è il solo leader a farsi guidare alla convenienza elettorale: è purtroppo molto deludente leggere sui giornali di ieri la denuncia del Presidente americano Barack Obama di un «contagio europeo» che potrebbe danneggiare l’economia americana. Anche Obama parla ai suoi elettori che tra sei mesi decideranno se confermarlo per altri quattro anni alla Casa Bianca e volutamente dimentica che la cosiddetta ripresa americana è un mezzo insuccesso e che la crisi è nata e cresciuta in America.
Merkel e Obama sono profondamente diversi tra loro ma risultano accomunati dalla miopia dei loro comportamenti. La Germania, in particolare, sta ricevendo un fiume di euro da parte di operatori del resto d’Europa che cercano per i loro capitali un impiego sicuro anche se non molto redditizio; tale spostamento facilita i tedeschi, che possono rinnovare il proprio debito a un basso tasso di interesse e rende più difficile il compito agli italiani, agli spagnoli e ai francesi, che pagano un interesse più che doppio per la medesima operazione.
Per essere davvero leader europei, i tedeschi dovrebbero utilizzare questi capitali per un qualche «grande disegno» a base di finanziamenti e investimenti nel resto d’Europa, come gli americani fecero dopo la seconda guerra mondiale con il piano Marshall. Invece del «grande disegno» l’Europa continua a ricevere da Berlino dei grandi consigli pressanti inviti a «fare le riforme» senza alcuna vera indicazione di quali riforme si tratta o di come le riforme - che rafforzano la struttura economica ma richiedono in ogni caso un tempo non indifferente per essere introdotte e per produrre effetti - possano contrastare una congiuntura negativa dalla quale derivano un crescente disagio sociale e una debolezza economica che rischia di auto-alimentarsi.
In questa situazione a francesi, italiani e spagnoli non resta che proseguire con avvedutezza nelle riforme, senza illudersi che queste possano modificare la congiuntura e inoltre introdurre nell’economia le poche gocce di «ricostituente» di cui dispongono, come ha fatto ieri il governo italiano con il «piano per l’equità» e l’altro ieri il governo spagnolo con i salvataggi bancari. Ed è presumibile che, nei suoi prossimi incontri con i tedeschi, il neo-presidente francese François Hollande accetti lo schema generale del patto fiscale firmato dal suo predecessore ma richieda parallele misure di rilancio con il coinvolgimento finanziario tedesco. E se Merkel non si fida degli eurobond dovrà probabilmente accettare i project bond, strumenti con cui finanziare programmi di investimenti infrastrutturali a livello europeo, non affidati ai governi nazionali ma gestiti dalla Commissione che, tra non molti giorni, ne esaminerà l’attuazione nella speranza di farli partire entro agosto.
Anche se questa speranza si realizzerà, prima che i project bond si trasformino in ordini alle imprese e in lavoro passeranno, nel migliore dei casi, diversi mesi. In questi mesi tutti i Paesi della zona euro di fatto potranno contare soltanto su se stessi in un orizzonte mondiale tempestoso e instabile.