ELIO PIRARI, La Stampa 12/5/2012, 12 maggio 2012
Processo in lingua sarda per l’ultimo indipendentista - Vittoria!». I baffoni bianchi dell’indipendentista Salvatore Meloni sembrano più esplosivi del solito
Processo in lingua sarda per l’ultimo indipendentista - Vittoria!». I baffoni bianchi dell’indipendentista Salvatore Meloni sembrano più esplosivi del solito. Tre giorni fa il presidente del Tribunale di Oristano Luigi Mastrolilli, favorendo l’introduzione della lingua sarda come forma di tutela delle minoranze linguistiche nei tribunali della penisola, ha preso una decisione che farà storia. Finora il ricorso alla «limba» era previsto solo nei dibattimenti penali. Il giudice ha stabilito che l’uso del sardo deve essere ammesso anche quando l’imputato mostri dimestichezza con l’italiano. In due parole, Meloni potrebbe produrre sintesi più folgoranti di Gadda, ma la legge ha il compito di tutelare le minoranze, non il singolo. L’11 giugno Meloni, detto Doddore, si difenderà dunque in campidanese (la variante linguistica scelta), dall’accusa di aver occupato l’isola di Mal di Ventre sventolando la bandiera dei quattro mori e autoproclamandosi presidente de «Sa Repubblica indipendente de Malu Entu». Alla sua conclusione il giudice, «Unu continentale», sottolinea Meloni, è giunto a furia di esplorare enigmi e probabilmente con un forte mal di testa, perché Doddore, tenutario di una grande sapienza aforistica, in aula stava trasformando in repertorio i suoi guai giudiziari calandosi nella doppia veste di imputato e interprete di se stesso, deponendo in logudorese e poi traducendo in italiano. La storia di Mal di Ventre (81 ettari mozzafiato affioranti a 5 miglia dalla costa tra Cabras e san Vero Milis), sembra evasa da una pellicola neorealista. Nel ‘70 una eccentrica marchesa ligure la perde a poker con lo scozzese John Miller. Dopo un grottesco tentativo di speculazione edilizia, non avendo la più pallida idea di cosa fare Miller torna in patria con la sensazione di aver preso un bidone. Nel ‘72 gli 81 ettari risultano proprietà della «Turistica Cabras», una srl napoletana. A quel punto entra in gioco Meloni. Nel ‘74 imbarca in un gozzo cinque compagni del Partidu indipendentista Sardu, si impossessa dell’isola e da uno scoglio lancia il primo comunicato ufficiale: «Malu Entu tornerà ai sardi. Per usucapione». L’ultima spedizione è del maggio 2008. Cinque mesi dopo Guardia Forestale e Capitaneria di Porto sbarcano in forze a Malu Entu. Il reggimento (otto persone), sloggia gli occupanti, smonta il palazzo presidenziale, una canadese due posti sita (la toponomastica viene concepita nottetempo dallo stesso presidente), in via Lungomare, e mette fine all’autoproclamata Repubblica. Mette fine?, grosso modo. Meloni scrive al presidente Berlusconi e si appella all’Onu. Il sindaco di Cabras, Trincas, fa spallucce: «L’usucapione? Non ci sono gli estremi». Ma Doddore lo gela: «Trincas, zelala de biere» (Trincas, smettila di bere). Sessantanove anni, moglie, tre figli e tre nipotini, Meloni ha girato il mondo, conosciuto gente, collezionato denunce e frequentato galere patrie. L’ultimo intralcio è di pochi giorni fa: a Cabras i poliziotti gli sequestrano due bottiglie di vino dall’etichetta inequivocabile «Nieddu indipendentista» (Nero indipendentista). Ma l’orizzonte di Meloni non si ferma a Cabras. L’altro ieri a Cagliari l’uomo ha depositato le 27.347 firme raccolte per il referendum: «Pro s’indipendentzia de sa Sardigna. Mi stanno chiamando corsi, baschi e catalani. E i leghisti stanno impazzendo». Firmatari risultano anche il presidente del Consiglio provinciale del Medio-Campidano, Fabrizio Collu, e Giuseppe Marras, capogruppo del Pd di Oristano.