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 2012  maggio 15 Martedì calendario

Lo Stato deve vivere di donazioni volontarie - Voilà. Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk prende la rincorsa e tira una bel­la sassata nella finestra, scuotendotutteleposizioniconso­lidate sull’argomento scottante per eccellenza in tutta Europa: le tasse

Lo Stato deve vivere di donazioni volontarie - Voilà. Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk prende la rincorsa e tira una bel­la sassata nella finestra, scuotendotutteleposizioniconso­lidate sull’argomento scottante per eccellenza in tutta Europa: le tasse. Come spesso gli accade, nel saggio Lamano che prendee la ma­no che dà ( Cortina, pagg. 138, euro 13) riesce a risultare irritante per tutti:socialisti di ritorno,sostenito­ri assortiti del Welfare, fans liberali dello Stato minimo. Il pamphlet in libreria in questi giorni riprende e sviluppa una du­rissima polemica nata sui giornali tedeschi a partire da un articolo di Sloterdijk stesso pubblicato dalla FrankfurterAllgemeine Zeitung nel 2009.Ecconeunassaggio:«GliStati fiscali organizzati reclamano ogni annolametàdeibeneficieconomi­ci delle proprie classi produttive per poi riversarli al fisco, senza che le persone coinvolte tentino di sal­varsi con la sola reazione plausibi­le, la guerra civile antifiscale». Apriti cielo.Inizia una battaglia a colpi di editoriali in cui Sloterdijk rincara la dose: la tassazione non hafondamentademocraticheesia-modunquenel­lemanidiunaclep-tocraziachedeprimeloslancioim-prenditorialeealimentailclienteli-smocona sunzioni irresponsabili nel settore pubblico; l’Europa non viveinunregimeliberalemaassog­gettata a una forma appena ma­scherata di socialismo reale; l’im­posta progressiva sul reddito è una formadiespropriodegnadelcomu­nismo; levecchiecategorie disfrut­tatori e sfruttati sono completa­mentesuperate, ancheseiprogres­sisti, rimastiindietro dimezzoseco­lo, fingono il contrario: oggi i primi coincidonoconlecategorieimpro­duttive che campano, grazie al fi­sco, su quelle produttive;il Welfare ha dato vita a uno Stato mammo­ne, iperprotettivo,che priva di ogni spirito d’iniziativa i suoi figli,in lar­ga parte aspiranti dipendenti pub­blici; la sinistra,un tempo portavo­ce di interessi discutibili ma nobili, oggicoincideconlarichiestadipor­tare il prelievo al 60 per cento e ol­tre; ilgovernoelamacchinadellari­scossione neppure più si chiedono se il loro operato sia lecito:pagare è un atto dovuto. Ce n’è abbastanza per scatenare un putiferio.Ma non è tutto. Infatti Sloterdijk riesce a scontentare (moltissimo)anche la parte libera­le. Lo Stato minimo non pare tra i suoi obiettivi principali. Il suo sco­po è piuttosto accrescere il senso di responsabilitàdeicittadini.Lasolu­zione indicata ha fatto sganasciare dalle risate i critici. Per il filosofo va abbattuta l’imposizione fiscale: le tassedevono essereun donospon­taneo delle classi più agiate a quel­le meno abbienti. Tu chiamala se vuoi filantropia. Prevedibili le rea­zioni: l’uomo è avido e meschino, mai sarà solidale con i suoi simili se una forza esterna (lo Stato) non lo obbliga. Sloterdijk disprezza que­sto punto di vista che considera un insiemedi«stereotipiclas­sisti antiborghesi in vigore nel XIX se­colo e negli anni Venti e Trenta del Novecen­to, riciclati do­po il 1967 dal­l’ala leninista delmovimento studentesco.Se­guono i binari or­mai inculcati di una sociologiasbagliata,secon­do la quale una società borghese non sarebbe altro che un mosaico di soggetti rapaci». Misantropia si­nistrorsa, in sintesi. Ma come can­cellare questo tipo di mentalità? E quiarriviamoalversanteinaccett­a­bile per un liberale del pensiero del filosofo: attraverso una capillare opera di istruzione che«rimodelli» la testa dei cittadini, educandoli al culto del bene comune. Il ministe­ro del Tesoro dovrebbe diventare una sorta di ministero dell’Educa­zione specializzato in Antropotec­nica( concetto allabasedelle opere maggiori di Sloterdijk, come Sfere , che qualcuno considera troppo vi­cine all’eugenetica). Aldilàdellemoltepolemiche,re­stano alcune analisi fulminanti. A esempio, Sloterdijk riconduce lo scetticismo dei ceti medi nei con­fronti dello Stato, la dissoluzione dellaborghesia,la scomparsadella fedeltàcheinpassatolegavaiparti­ti all’elettorato, il crescente disgu­stoperla politicaallamedesimara­dice: «unnumerocrescentediindi­vidui non può evitare di nutrire l’impressione che non abbia alcun senso impegnarsi per la collettivi­tà ». Colpa della «mano che pren­de », quella dello Stato, che ci tratta come debitori fin dalla nascita.Nel nome del bene pubblico.Che stra­namente coincide sempre con quello dell’apparato statale, e non col nostro.