MAURIZIO MOLINARI, La Stampa 15/5/2012, 15 maggio 2012
Severino in Connecticut lezione di svuota carceri - I pesanti cancelli d’acciaio del «Garner Correctional Institution» si aprono per il ministro della Giustizia, Paola Severino, arrivata in Connecticut per approfondire come sia riuscito meglio di altri Stati americani a sfoltire la popolazione carceraria
Severino in Connecticut lezione di svuota carceri - I pesanti cancelli d’acciaio del «Garner Correctional Institution» si aprono per il ministro della Giustizia, Paola Severino, arrivata in Connecticut per approfondire come sia riuscito meglio di altri Stati americani a sfoltire la popolazione carceraria. Ad accoglierla c’è Leo Arnone, titolare del Dipartimento alle carceri che, affiancato dal team di agenti alla guida del penitenziario, esordisce così: «Il Connecticut è uno Stati più liberal d’America ma le nostre leggi sono molto conservatrici perché quando un giudice emette una condanna assai raramente il condannato esce prima del termine». E’ una maniera per far comprendere al ministro italiano che lo sfoltimento dei penitenziari non è frutto di leggi lassiste bensì l’esatto contrario. «In Connecticut abbiamo 16 penitenziari e 16 mila detenuti che sarebbero il doppio senza le leggi sul reinserimento» aggiunge Arnone. Su tali premesse inizia un serrato botta e risposta con la Severino, che fa domande tecniche, prende appunti e si dimostra ferrata sulle leggi del Connecticut. «Siamo qui perché avrete il problema del sovraffollamento come noi ma siete anche un modello di successo negli Stati Uniti» dice il ministro, chiedendo «dettagli sulla rieducazione attraverso istruzione e lavoro» come anche sul modello della «probation» ovvero l’uscita dal carcere con la «messa alla prova» sotto stretta sorveglianza per i detenuti giovani e spesso anche per quelli adulti. «Senza la "probation" la nostra popolazione carceria sarebbe il doppio» spiega Arnone, vantando «una percentuale di successo del reinserimento del 58 per cento» con la precisazione che «l’esito in ultima analisi dipende dalla collaborazione da parte della famiglia e della comunità di provenienza». Più Arnone entra nei dettagli, più Severino si mostra e proprio agio. Lo scambio di informazioni è fitto. Severino mostra in particolare interesse quando l’interlocutore spiega che «il reinserimento dei detenuti adulti ha successo quando è pianificato con almeno sei mesi di anticipo» consentendo al carcerato di tornare fra parenti che lo accolgono e spesso anche in un posto di lavoro, grazie alla cooperazione fra Stato e imprese locali. La conversazione continua quando Arnone e Severino attraversano il carcere, dove fra i 642 detenuti ve ne sono anche 11 ancora nel braccio della morte sebbene il Connecticut abbia abolito il mese scorso la pena capitale. Severino visita il padiglione adibito al trattamento dei criminali con malattie mentali, entra nelle celle dei detenuti in massima sicurezza, sale le scale in ferro al centro del penitenziario e osserva la grande palestra che ospita i detenuti in attesa di giudizio che, non essendo ancora colpevoli, vivono in un ambiente senza restrizioni fisiche. Ovunque l’estrema pulizia dei luoghi si coniuga a un ferreo regime di sicurezza, con cani che cercano in continuazione le droghe e un sistema di sorveglianza elettronica che, nei venti anni passati dalla costruzione dell’impianto, ha consentito di scongiurare fughe e scoprire i piani di evasione orditi fuori. Lasciatasi alle spalle l’ultimo cancello massiccio Severino, accompagnata dal console generale a New York Natalia Quintavalle, ringrazia Arnone «per quanto ho visto e imparato» per poi raggiungere la vicina Hartford, dove ad aspettarla c’è il governatore Dannel Malloy. Lo saluta facendogli i complimenti per l’abolizione della pena capitale «perché sottolinea i valori che ci accomunano», soffermandosi poi su «reinserimento, rieducazione e cura dei criminali malati di mente» che sono alla base del funzionamento delle carceri. «Le prigioni devono servire a riabilitare, non a sfornare criminali come quelli che vi sono entrati» replica il governatore, secondo il quale «la collaborazione delle Chiese è determinante per il reinserimento, soprattutto di ispanici e afroamericani» ma ciò che più conta sono «i posti di lavoro che le aziende offrono» per chi esce dalla cella con la giusta preparazione. «Credo nel reinserimento dei detenuti, soprattutto se giovani, e quanto avviene in Connecticut dimostra che le prigioni si possono sfoltire con successo ma serve grande impegno politico perchè deve essere soprattutto la comunità pronta ad accoglierli» commenta il ministro, sottolineando come «il braccialetto elettronico e la sorveglianza vengono qui associati ad un programma di reinserimento che include il circuito virtuoso del lavoro in maniera analoga a quanto vogliamo fare in Italia». Al momento dei saluti, il governatore Malloy fa riferimento a quel 20 per cento di italiani che sono il gruppo nazionale più grande del Connecticut: «Siamo molto legati a voi, basti vedere quante 500 circolano nelle nostre strade».