MICHELE BRAMBILLA, La Stampa 15/5/2012, 15 maggio 2012
Paura e dolore Tra i dannati del mesotelioma - Tutte le finestre dell’Hospice Zaccheo si affacciano su un magnifico giardino: il verde - assicurano molti studi - ha un valore terapeutico
Paura e dolore Tra i dannati del mesotelioma - Tutte le finestre dell’Hospice Zaccheo si affacciano su un magnifico giardino: il verde - assicurano molti studi - ha un valore terapeutico. All’ingresso e nei corridoi ci sono poi piccole fontane, perché è provato che anche l’acqua rasserena. L’Hospice Zaccheo è la casa dei «terminali» di Casale Monferrato. Una struttura pubblica, con la decisiva collaborazione dei volontari di Vitas, un’associazione nata nel 1996 per accompagnare nella sofferenza e nel lutto i malati e i loro familiari. Solo dal primo gennaio di quest’anno qui a Casale ci sono stati trentacinque nuovi morti per mesotelioma pleurico. Trentacinque morti che vanno ad aggiungersi ai milleottocento calcolati a partire dagli Anni Sessanta, cioè da quando medici e popolazione hanno cominciato ad avere contezza della strage provocata dalla Eternit. Dei morti di prima - la produzione delle «indistruttibili tettoie ondulate» era cominciata all’inizio del Novecento - è impossibile fare un conto. Insomma la strage continua, benché «la grande fabbrica che dava lavoro a tutta la città» sia chiusa dal 1986, e benché i suoi due ultimi proprietari siano stati ormai condannati al carcere. Trentacinque è, oltretutto, un dato per difetto, perché tiene conto solo di coloro che sono morti all’Hospice, oppure a casa propria assistiti dai volontari di Vitas e del servizio di cure palliative: ma ci sono altri nomi e altre croci contabilizzati in vari ospedali, in cliniche private, ad Alessandria. Il dato che fa più impressione non è però quello sui morti, ma quello sui nuovi malati. Dal primo gennaio a oggi, e solo a Casale, le nuove diagnosi di mesotelioma pleurico sono state tredici. Dal 13 febbraio, giorno in cui il tribunale di Torino ha pronunciato la sentenza di condanna contro Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier, i casalesi che hanno scoperto di essere colpiti dal tumore dell’amianto sono otto. Ecco perché la sentenza di Torino non è la parola fine a questo film dell’orrore. La dottoressa Daniela Degiovanni, oncologa, è il primario dell’Hospice Zaccheo. Ci riceve nel suo studio. Alle sue spalle un vecchio dipinto raffigura la morte a casa, nel proprio letto e attorniata da figli e nipoti, di una donna anziana: la filosofia dell’Hospice è proprio questa, cercare di far sentire i malati, per quanto si possa, a casa propria. «Da cinque o sei anni a questa parte - ci dice - nel Casalese ci sono una cinquantina di nuove diagnosi di mesotelioma pleurico all’anno. Fino a una decina di anni fa erano la metà: venticinque o al massimo trenta nuovi malati». Eppure, la fabbrica è chiusa, le bonifiche sono cominciate. «Il fatto è - spiega - che il mesotelioma ha un tempo di latenza lunghissimo: anche cinquant’anni. I malati di oggi sono i bambini degli Anni Sessanta che respiravano concentrazioni altissime di polvere d’amianto quando la Eternit era al massimo della produzione». Solo in minima parte i nuovi malati sono figli degli operai che portavano a casa le tute imbiancate. Tutti gli altri non avevano alcun familiare alla Eternit, ma senza saperlo sono cresciuti avendo come compagno di giochi il micidiale «polverino», il materiale di scarto con cui si coprivano le buche dei campi di calcio e si rifacevano quelli di bocce; con cui si sistemavano le aiuole, si coibentavano i tetti. Qualcuno ha ancora dei dubbi sul fatto che il mesotelioma sia provocato da tutto questo? «Dove non c’è stata esposizione diretta all’amianto - dice la dottoressa Degiovanni - c’è ogni anno un caso di mesotelioma pleurico ogni centomila abitanti. Qui ci sono cinquanta nuovi casi all’anno su novantamila abitanti». Ma a Casale vive male anche chi non è malato. Basta un colpo di tosse, o un po’ di mal di schiena, per far materializzare il fantasma. Si corre dal medico, ci si fa fare una lastra, se l’esito è negativo ci si rassegna per un po’, ma poi i pensieri neri ritornano: la possibilità di un mesotelioma pleurico è uno spettro che avvelena la vita. Nel 2008 la psicoterapeuta Antonella Granieri dell’Università di Torino ha condotto un studio sulla popolazione di Casale. Ha concluso così: «Dallo studio emergono elementi utili a configurare un disagio psicologico conosciuto dagli specialisti come PTSD, Disturbo Post Traumatico da Stress». È il disturbo che per la prima volta fu diagnosticato ai reduci del Vietnam; poi alle popolazioni del Vajont, di Cernobil, dello tsunami. Del resto anche il Tribunale di Torino, nella sentenza di febbraio, ha riconosciuto il «danno da paura». «Si vive male - ci racconta ancora l’oncologa primario dell’Hospice perché si ha la sensazione di potersi ammalare in ogni momento. E perché la generazione che si sta ammalando adesso è la più sensibilizzata e la più informata. Paradossalmente il know-how che abbiamo diventa qualcosa che fa vivere con molto più dramma il dramma. Tutti sappiamo che questa malattia, in media, lascia un anno di vita. E tutti sappiamo che non arriva per una fatalità: sappiamo a chi dare la colpa, sappiamo che poteva essere evitata, e tutto questo aumenta la sofferenza». Chi ha avuto un familiare morto di mesotelioma racconta che il momento peggiore è quello in cui il medico, guardando gli esami, emette la terribile sentenza: «Da quel momento - assicurano - anche se fisicamente non stai ancora male, cominci a spegnerti». Le cure sono poi efficaci solo per ridurre il dolore: la ricerca è partita, anche grazie alla battaglia dei casalesi, ma è ancora ai primissimi passi. Per questo, a differenza che in altri tumori, la diagnosi precoce non allunga l’aspettativa di vita ma solo il tunnel dell’angoscia. Questo è dunque l’incubo che a Casale Monferrato, a tre mesi dalle condanne di Torino, continua. Ma non tutta la città sembra rendersene conto, e non tutta è solidale. Ieri c’erano in giro molte delle bandiere tricolori con scritto «Eternit giustizia» fatte fare nel 2008 quando è cominciato il processo di Torino. Ma non a tutti quelle bandiere sono gradite. Quando i familiari delle vittime hanno fatto il giro dei negozi chiedendo di esporle, a volte si sono sentiti rispondere no grazie, «non ci occupiamo di politica», oppure «non vorrei che qualcuno pensasse che abbiamo un malato in famiglia». C’è stato anche chi, con una certa schiettezza, ha fatto presente l’aspetto commerciale: «Non vorremmo mettere in imbarazzo i nostri clienti». Eppure è una storia di tutti. Gli epidemiologi dicono che il picco di ammalati ci sarà nel 2020. Poi ci saranno 15-20 anni di stabilità, quindi la curva comincerà a decrescere. Nessuno, neanche chi non si ammalerà mai, può rimuovere questo dolore pensando che certe cose succedono solo agli altri.