Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 14 Lunedì calendario

Il titolo più pazzo del mondo Mancini campione al 94’ - Estasi e delirio. Baratro e delusione. Due campi, un titolo che rimbalza

Il titolo più pazzo del mondo Mancini campione al 94’ - Estasi e delirio. Baratro e delusione. Due campi, un titolo che rimbalza. Il nostro 5 maggio, roba da dilettanti delle emozioni forti. Manchester e Suderland, Etihad Stadium e Stadium of Light: cuori deboli, meglio starne alla larga. Tutta una città in attesa: gioisce una metà, poi l’altra, infine la freccia della felicità cambia bersaglio. E’ qui la festa, ben 44 anni dopo. All’Etihad Stadium, erede del vecchio Maine Road. Due hit, tra storia e attualità. Blue Moon, lo storico inno del City. E Volare, riadattato nel testo, in onore di Roberto Mancini, il condottiero, ebbro di gioia, fiero del suo essere italiano, con tanto di tricolore sulle spalle, proprio come Mario Balotelli, sua croce e delizia. Sembrava una formalità, è diventato il titolo più pazzo del mondo. Vinto, perso, rivinto. Un’altalena durata nove mesi. E poi condensata in novanta minuti più recupero. Il recupero, appunto. Che cambia le carte in tavola e il padrone della Premier League. Due gol, in quello che gli inglesi chiamano injury-time, per il grande salto, dal dramma (sportivo) al trionfo. Ultimi, decisivi sussulti di un pomeriggio al cardiopalmo. Il City aveva il destino nelle proprie mani, lo United doveva affidarsi a quelle altrui. Fatto il proprio dovere, ai Red Devils non restava che attendere. Pratica risolta subito: gol di Rooney, per mettere la testa avanti. Per poco, però. Zabaleta, il goleador che non t’aspetti, diventa il Rooney del City e punisce il Qpr, che pure ha la sua gatta da pelare. Incrocio pericoloso all’Etihad: Mancini su una panchina, Hughes, suo polemico predecessore, sull’altra. Intervallo: City campione, Qpr retrocesso. Storia ordinaria, quella di metà partita. Il bello deve venire, e si materializza in avvio di ripresa. L’ex laziale Cissé trova il pari: stadio ammutolito, cugini in festa. C’è tempo, fin troppo. Nessun timore. Qualcuno, un ex, si premura di dare una mano al City: Joey Barton, teppista del football, spara una gomitata in bocca a Tevez: rosso. Gara in discesa, malgrado l’1-1. Impressione errata. Un contropiede apre il baratro sotto i piedi dei Citizen: Traore crossa, Mackie realizza. Pianti in tribuna, canti in quella dei cugini. Tensione alle stelle, parte l’assedio. Dentro Dzeko, pure Balotelli. Mentre a Sunderland sta per finire e a Manchester è iniziato il recupero (e il Qpr sarebbe salvo comunque), Dzeko semina speranze e timori. Quando a Sunderland è già finita, Aguero, servito da SuperMario, manda in estasi uno stadio e in depressione un altro. L’Etihad esplode, Mancini si esalta. Ferguson chiama i suoi, li manda a salutare i tifosi. Due gol nel recupero li ricorda bene. Ci aveva vinto una Coppa dei Campioni, ci ha perso un campionato. E’ il giorno dell’altra metà di Manchester, 44 anni, tante delusioni, 930 milioni (di sterline) dopo. E’ il giorno di Mancini, l’ultimo degli emigrati vincenti. Aveva detto: «Lo meritiamo». Forse così è ancor più bello: «Mai visto un finale del genere. L’abbiamo meritato, vincere così è incredibile». Campionato folle, chiusura di più: «E’ stata una stagione pazza, è stato un finale pazzo. Nel modo più incredibile, ma giustizia è fatta. Era giusto che vincessimo un campionato in cui siamo stati i più forti e che abbiamo condotto per 20 giornate». Certezze quasi svanite: «A 5 minuti dalla fine non ci credevo più». Ora ci crede persino Balotelli: «Siamo stati i migliori, abbiamo vinto. Grande club, grande squadra, grandi compagni. Voglio restare qui». Non senza un’uscita delle sue: «Ora chi ha parlato male di me chiuda il becco».