Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 13/5/2012, 13 maggio 2012
LA CRISI NON PORTERÀ GUERRE, MA ATTENTI AL RISCHIO VIOLENZA
Siamo Davide ed Edoardo della quinta della scuola Primaria BES di Milano. In questi ultimi mesi di scuola ci siamo occupati di un’indagine su un argomento che a noi due interessava particolarmente: la crisi economica può portare alla guerra e la guerra può portare alla crisi economica? Oggi la crisi economica è un argomento di grande attualità e per poterla eliminare abbiamo capito che non serve stampare più denaro, ma avere più ricchezza come materie prime, industrie e oro. Oggi però le materie prime stanno diminuendo, i loro prezzi stanno aumentando e gli Stati si stanno impoverendo. Per evitare che gli Stati più poveri dichiarino guerra a quelli più ricchi bisognerebbe imparare a distribuire in modo equilibrato le ricchezze fra tutti i popoli della Terra. Noi abbiamo un sogno: che le organizzazioni internazionali, i capi di Stato e soprattutto tutti gli uomini possano dimenticare le armi e insieme collaborare per un mondo migliore e un mondo di pace. E allora ... forza!
Davide ed Edoardo
Caro Davide, caro Edoardo,
in questi tempi di tensioni, delusioni e disperazioni è bello leggere la vostra lettera e sentire che ci sono dei ragazzi come voi che si preoccupano di come va il mondo e che sognano un mondo diverso e migliore. Le domande che voi ponete sono domande semplici e sincere, quelle cui è più difficile rispondere. Perché vanno diritto al cuore dei problemi e non lasciano spazio a risposte vaghe e vestite di belle parole. Farò del mio meglio.
Voi dite: «La crisi economica può portare alla guerra?». Sì, almeno nel passato le crisi economiche hanno portato alla guerra o almeno favorito gli istinti guerreschi. Quando la disoccupazione dilaga, quando cresce il divario fra ricchi e poveri, la tentazione della violenza è forte. E nel passato questa tentazione ha portato a guerre, sia a guerre civili che a guerre fra Paesi.
Ma oggi? Sarebbe possibile che la crisi economica porti a guerre? No, guerre non ci saranno, ma violenze sì: vedi le manifestazioni, con morti e feriti, o la violenza contro se stessi (suicidi per disperazione).
La seconda parte della domanda è: «La guerra può portare alla crisi economica?». Beh, dipende se la guerra l’abbiamo vinta o persa. E dipende dalle penalità imposte ai perdenti. Per esempio, dopo la prima guerra mondiale i vincitori imposero alla Germania le cosiddette "riparazioni", per una somma enorme (oggi sarebbero 400 miliardi di euro). La Germania pagò in parte in natura: quasi tutta la flotta commerciale, 5mila locomotive, 136mila vagoni ferroviari, 130mila macchine agricole, 135mila bovini, 50mila cavalli, 24 milioni di tonnellate di carbone e 15 milioni di tonnellate di sostanze coloranti. Queste riparazioni erano più di quanto la Germania potesse sopportare, e l’umiliazione sofferta ebbe una parte non piccola in quel revanscismo nazionalistico che portò al potere Hitler, con tutte le terribili conseguenze.
Se la guerra invece è stata vinta, pur con molte sofferenze, la crisi economica è di breve durata perché prevale la volontà di dimenticare, la voglia di ricostruire... Anche per i perdenti: dopo la Seconda guerra mondiale i Paesi vincitori non fecero lo stesso errore fatto dopo la Prima; al contrario, con il Piano Marshall aiutarono Germania e Italia a rimettersi in piedi.
Voi dite che oggi la crisi economica è un argomento di grande attualità e «per poterla eliminare abbiamo capito che non serve stampare più denaro, ma avere più ricchezza come materie prime, industrie e oro». È vero, stampare denaro non è il rimedio per tutti i mali. Ma «avere più ricchezza come materie prime, industrie e oro» è più facile a dirsi che a farsi: dipende dai doni della natura e non da noi. E, in ogni caso, avere risorse naturali in abbondanza non è necessariamente un bene. Abbiamo parlato (sul Sole Junior dell’8 ottobre 2011) della "maledizione delle risorse": se la ricchezza di un Paese sta solo nelle materie prime e nell’oro, questo Paese rischia di adagiarsi nell’abbondanza e non si dà da fare per migliorare le fonti vere della ricchezza: il capitale umano, la conoscenza, la ricerca, le istituzioni e i servizi pubblici che funzionano... Ma non disprezziamo il semplice «stampare denaro»: in caso di crisi può essere utile, per dare una spinta a un’economia prostrata, stampare denaro, purché questa misura sia temporanea.
Scrivete ancora: «Oggi però le materie prime stanno diminuendo...». È vero, anche se le nuove scoperte e i progressi della tecnica ci dicono che passerà molto tempo prima che le cosiddette "risorse non rinnovabili" si esauriscano. «... I loro prezzi stanno aumentando...». Sì, ma i loro prezzi reali, cioè tenendo conto dell’inflazione, nel passato erano scesi (vedi il grafico). Anche i Paesi produttori di materie prime devono vivere ed è giusto che anche loro ricevano i soldi giusti per i loro prodotti.
Voi dite: «...e gli Stati si stanno impoverendo. Per evitare che gli Stati più poveri dichiarino guerra a quelli più ricchi bisognerebbe imparare a distribuire in modo equilibrato le ricchezze fra tutti i popoli della Terra». Non credo che gli Stati più poveri dichiareranno guerra a quelli più ricchi. Ma la vostra preoccupazione è giusta: la crisi ha approfondito le diseguaglianze all’interno di ogni Paese e queste iniquità nella distribuzione del reddito portano sofferenze sociali, tensioni, conflitti.
La comunità internazionale ha una grande responsabilità. Siamo tutti nella stessa barca e bisogna ritrovare le vie della crescita e della solidarietà. Avete scritto: «Noi abbiamo un sogno: che le organizzazioni internazionali, i capi di Stato e soprattutto tutti gli uomini possano dimenticare le armi e insieme collaborare per un mondo migliore e un mondo di pace». Grazie Davide, grazie Edoardo: è il sogno di noi tutti.