Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 13/5/2012, 13 maggio 2012
RITORNO ALLA DRACMA? NON CONVIENE A NESSUNO
Uno degli scenari peggiori tra quelli ipotizzati dai mercati sull’evoluzione della crisi del debito sovrano europeo è l’uscita della Grecia dalla moneta unica. L’ipotesi, dibattuta da due anni e oggetto di studio da parte degli investitori istituzionali, degli studi legali, degli operatori finanziari e degli accademici di tutto il mondo, viene data ad oggi ancora come "estremamente remota", per non dire totalmente improbabile. La perdita di un membro dei 17 dell’unione monetaria e la conseguente disgregazione dell’euro non è scontata nei prezzi, a giudicare dall’andamento del cambio tra euro e dollaro Usa, sterlina, yen e franco svizzero, dall’entità del recente allargamento dello spread tra BTp, Bonos spagnoli e Bund tedeschi e dalla discreta tenuta delle Borse nonostante un’Eurozona in recessione tecnica.
I mercati insomma stanno scommettendo sulla capacità della zona dell’euro di rimanere in piedi anche se la Grecia dovesse decidere di tornare alla dracma, e stanno puntando su una moneta unica europea capace di evitare il break-up scalando da 17 a 16 Stati membri. Il traguardo è ambizioso, non irraggiungibile: richiederà quella capacità di intervento fulminea e lungimirante che ha sfoderato recentemente la Bce ma che è mancata finora alla classe politica europea. Molti strumenti di intervento estremo esistono già, in Europa e nel mondo, altri sono in cantiere: i fondi salva-Stati Efsf e Esm, l’Fmi, la Bce e le altre banche centrali, i piani sugli union euro-bond e project euro-bond.
Il primo impatto immediato, negativo e violento, nel caso di uscita della Grecia dall’euro, colpirebbe duro un bersaglio debole, il sistema bancario europeo. Le banche sono stremate dalle ripercussioni del crack di Lehman Brothers, dal deleveraging e dal rafforzamento forzato dei ratios patrimoniali, dalla recessione con aumento delle sofferenze e dallo scoppio delle bolle speculative immobiliari, dai salvataggi di Portogallo e Irlanda e di numerosi istituti finanziari, dalle perdite pesanti subite con la ristrutturazione dei titoli di Stato greci. La crisi di fiducia tra banche è già a livelli elevatissimi, senza la complicazione del ritorno della dracma e del conseguente default "hard" greco dello Stato, delle imprese e delle banche. Qualsiasi operazione tra banche europee, anche overnight, richiede oramai l’uso di collaterali e questo ingessa oltremisura il mercato monetario e del credito. Le operazioni straordinarie a lungo termine (Ltro) sono servite soprattutto alle banche europee per rimborsare i propri bond senior in scadenza quest’anno e nel 2013: questo la dice lunga sullo stato di salute del settore. L’Euribor, il tasso interbancario crollato a livelli record, è un tasso teorico, uno "zombie rate", perché neppure lontanamente si avvicina al tasso di una operazione effettiva di prestito a tre, sei e dodici mesi tra banche primarie. Il mercato del pronti-contro-termine (repo), un tempo fonte rigogliosa di liquidità a basso costo, è per molti istituti di credito proibitivo per la qualità dei collaterali richiesta, per il pagamento di margini onerosi sugli asset più rischiosi a garanzia.
In questo contesto, aggravato dalle problematiche di Basilea 3 e Solvency II, l’euro a 16 potrebbe scatenare un flight to quality pericoloso, con il conseguente crollo dei depositi bancari. I risparmi delle famiglie confluirebbero sui beni rifugio più classici, dal materasso all’oro, dal franco svizzero ai Bund. C’è già chi prevede i rendimenti dei Bund decennali all’1,25% e questo senza contemplare l’uscita della Grecia dall’euro.
La Bce, con le principali banche centrali nel mondo, sarebbe chiamata a difendere in pool e in prima linea la tenuta del sistema bancario europeo e dell’euro dagli attacchi speculativi. È prevedibile che Eurosistema, Efsf e Esm intervengano pesantemente per evitare che i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli, contagiati dalla crisi greca, schizzino sopra le soglie dell’insostenibilità, tornando al 7-8 per cento: acquisteranno i titoli di Stato sul secondario e i fondi europei anche sul primario se vi fosse il pericolo di qualche asta periferica scoperta. Se il panico dovesse perdurare, sarebbe inevitabile il ricorso - anche temporaneo - a forme di union euro-bond.
Un altro impatto negativo dell’uscita della Grecia dall’euro, questa volta più strisciante, sarebbe il crollo della fiducia di imprese e consumatori. La recessione europea da tiepida diventerebbe grave e persino la locomotiva tedesca rischierebbe di fermarsi. Il calo del Pil e la riduzione delle entrate fiscali peggiorerebbero all’istante il deficit/Pil e il debito/Pil di tutti gli Stati dell’Eurozona, con il conseguente sforamento dei target sul pareggio di bilancio e sul surplus primario. L’Eurozona dovrà fare di tutto per evitare che il fiscal compact diventi inapplicabile prima ancora della sua entrata in vigore.
Nel peggiore dei casi, se la Grecia dovesse abbandonare l’euro, la sua uscita dovrà essere pilotata dai rimanenti 16 e i mercati rassicurati con un’accelerazione sull’unione fiscale e politica.