Valerio Cappelli, Corriere della Sera 15/05/2012, 15 maggio 2012
«I FISCHI AI CANTANTI LIRICI SONO COME LO STALKING» —
Angela Gheorghiu parla al telefono da una montagna della sua Romania: «Non sono come quelle colleghe che si sentono male se hanno due settimane libere, mai felici di dire che sono in vacanza, la ritengono una vergogna. Ma io, intendiamoci, mica sono in panchina: sto definendo gli impegni fino al 2016».
Angela, il soprano che rivendica «il diritto di essere diva», assapora la vita, la mangia la consuma, è avida di emozioni e parla in maniera diretta, giudizi molto personali. «Sempre libera», ci scrive dal cellulare il giorno dopo l’intervista. È la sua massima, il suo modo di vivere preso pari pari dalla Traviata, l’opera che le ha dato la gloria. Ma lei vuol sottrarsi da ogni possesso, anche quello di Verdi: «Non mi identifico in Traviata». In Italia torna a cantare cinque anni dopo quella Traviata alla Scala in cui furono contestati sia lei che il direttore Lorin Maazel. Canterà il 12 giugno al nuovo Teatro dell’Opera di Firenze in un concerto del Tuscan Sun Festival con l’Orchestra del Maggio. Poi il 26 settembre, diretta da Daniele Rustioni, torna alla Scala nella storica Bohème «di» Zeffirelli.
Angela, cosa rappresenta oggi l’Italia nel mondo dell’opera, e perché all’estero i nostri registi sono assenti nei grandi teatri e festival?
«Se non canto in Italia da cinque anni, non posso conoscere i nuovi registi. Io da quindici anni ho la possibilità di avere il regista che voglio, se faccio Traviata chiedo Richard Eyre, uno che non appartiene alle mode. È vero, c’è una corrente di registi anglosassoni e qualche francese che si chiamano fra di loro, sono amici: il problema della lobby. In Italia per i vostri direttori succede il contrario. Dopo Abbado, Muti e pochi altri, avete un buco. Avete fior di musicisti che dirigono solo all’estero. Evelino Pidò è perfetto per il belcanto. Poi c’è Marco Armiliato. Hanno un grande supporto da noi solisti, perché non proteggete i vostri talenti?».
Ma l’Italia è considerata centrale o marginale, portatrice di un gusto «estetizzante» che si ritiene superato o è la Bell’Italia?
«Io dico che le regìe più spinte e moderne invecchiano prima, quelle classiche come la Bohème di Zeffirelli possono restare nel tempo. Anna Netrebko non ha più voluto riprendere la sua Traviata salisburghese di Willy Decker».
Che è un ottimo spettacolo.
«La richiesta più assurde dei nuovi registi è quando mi chiedono di spostarmi sul palco di mezzo metro. Divento matta. Ma cosa ti cambia?»
Dunque, come viene percepito il nostro paese?
«Sempre più colleghi mi dicono: "Ah no, in Italia non metto piede". Siete il lupo nel bosco, pronto a mangiarci; venite associati a un’idea di negatività per i comportamenti sia dei teatri che del pubblico. Sai cosa ci diciamo per scherzo? Guarda che ti mando a cantare in Italia. Nel resto del mondo non esistono i buh».
Dissentire da uno spettacolo che non piace è un diritto: vuole dire che all’estero non si fischia?
«Sì ma di rado, non in quella maniera selvaggia, creando danni psicologici enormi negli artisti. Certi fischi per noi sono come lo stalking. L’Italia è rimasta indietro anche in questo. Ci sentiamo come tori nell’arena: però in Spagna la corrida ha sempre meno importanza. Il pubblico va a teatro e spende soldi per me, e io voglio dare tutto per conquistarlo».
Anna la diva.
«Cosa c’è di male nel divismo? Se tante cose le facciamo per capriccio, funziona. Non sono ipocrita. La gente a teatro è interessata ai capricciosi, che sorprendono, più che ai saggi, che annoiano».
Il nudo in scena è ancora provocatorio?
«Se hai un bel corpo, forse. Il fatto è che non si ingaggiano voci ma corpi. Se il giovane Pavarotti oggi andasse a un’audizione, lo manderebbero via dopo due secondi senza sentirlo. I teatri sono pieni di corpi straordinari e nessuno presta attenzione al timbro. Un cantante se è brutto e canta bene lo vedo bello; un cantante bello se canta male lo vedo brutto. Io la vedo così».
Chi è il tenore con cui preferisce andare in scena, il suo ex marito Roberto Alagna?
«C’è una novità, siamo tornati insieme, la riconciliazione è venuta da me. L’avevo lasciato io, è vero; non ho voluto buttare via tutto quello che avevamo costruito. Diciamo che è cambiato, mi ha fatto vedere che non è più possessivo. E la sua famiglia sta al suo posto, non è più invadente come prima, ha capito da sola. È stato più semplice di quello che si pensi. A Londra ci sarà per noi un Gala Bohème, l’opera che ci ha fatto conoscere. Il partner ideale non posso dirglielo, quando i miei colleghi mi hanno visto su Raiuno con Vittorio Grigolo, che mi faceva una corte spietata, si sono ingelositi».
Chi ha sentito come rivale?
«Non lo so, con Renée Fleming abbiamo cominciato insieme, non ci rubiamo la scena. I tenori sono più preoccupati della rivalità».
Woody Allen nel suo film «romano» fa cantare il tenore Fabio Armiliato sotto la doccia.
«Sotto la doccia cantano le persone normali. Ci sono tanti altri posti dove esercitare il nostro talento. Woody Allen ha fatto una parodia. Come Hollywood, che quando usa la lirica prende solo La Traviata o al massimo la donna è mobile».
A proposito di cinema, lei dice che dalle attrici impara molto.
«Solo da quelle brave. Un nome, Meryl Streep. Mi ha detto: se rinasco voglio essere te. Per me è lo stesso con lei. Mi hanno invitato a recitare al Teatro Nazionale di Bucarest. Se Roberto Benigni mi chiamasse al suo prossimo film, andrei in ginocchio».
Valerio Cappelli