Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 15/05/2012, 15 maggio 2012
«MILLS, LA LETTERA-CONFESSIONE NON VALE CONTRO BERLUSCONI» —
Se «il 15 febbraio 2012» è calata la prescrizione sul processo a Silvio Berlusconi imputato di aver corrotto con 600.000 dollari nel 1999 il teste David Mills, la colpa è anche dei giudici del 2008 del processo a Mills «presieduti dalla dott.sa Gandus», che all’entrata in vigore della legge Alfano (poi incostituzionale) separarono Mills da Berlusconi con «una scelta le cui ragioni, al di là della motivazione formale, restano sinceramente oscure» e che ha «posto una pesantissima ipoteca» sul processo all’allora premier: è il j’accuse contenuto nelle motivazioni scritte e firmate dalla sola presidente e relatrice Francesca Vitale, depositate ieri pomeriggio in anticipo sulla scadenza del 25 maggio e senza avvisare le colleghe Lai e Interlandi. Le 77 pagine definiscono «una montagna che ha partorito un topolino» la battaglia di perizie e controperizie contabili sui 600.000 dollari. E a sorpresa cancellano l’altro cardine dell’accusa, la lettera-confessione di Mills ai suoi fiscalisti inglesi nel 2004: benché abbia avuto valore di prova nel processo contro Mills (due condanne di merito prescrittesi infine in Cassazione nel 2009), Vitale sposa un’interpretazione procedurale per la quale la lettera non può invece avere valore di documento probatorio nel processo contro Berlusconi. Il quale, dunque, se per paradosso avesse rinunciato alla prescrizione, il 25 febbraio sarebbe stato assolto, seppure con il richiamo alla vecchia insufficienza di prove giacché «il quadro di incertezza non consente di affermarne l’assoluta estraneità ai fatti» e «non fornisce prova evidente dell’innocenza».
L’accusa sfiorisce un petalo alla volta. Già era scontato che l’interrogatorio di Mills nel luglio 2004, nel quale confermava ai pm De Pasquale e Robledo la lettera di febbraio 2004 («non ho mai mentito ma ho superato curve pericolose» per «tenere Mister B. fuori dal mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo»), non avrebbe potuto essere usato contro Berlusconi perché la sua difesa, dopo la separazione e l’inizio da capo del suo processo, non aveva prestato consenso. Restava però la lettera in sé, come documento bilanciato dalla successiva ritrattazione di Mills.
Ma ora Vitale, aderendo a una Cassazione del 2009, valuta che le dichiarazioni accusatorie verso altri, se contenute in un documento, non abbiano valore di prova «a meno che non siano accompagnate da una ulteriore illustrazione orale da parte dell’autore nella cornice dialettica garantita dal meccanismo orale di domanda e risposta». E qui il ragionamento della giudice si sdoppia. Pensa che Mills, «con un atto di contrizione (mal) recitato per tentare di allontanare da Berlusconi ogni sospetto», abbia dato una versione «infarcita di incongruenze, imprecisioni, inverosimiglianze». Ma ritiene che questa deposizione, in cui Mills «nega la veridicità di quanto rappresentato nella lettera», pur «in sé non credibile», però «svuoti di significato quale mezzo probatorio anche la lettera, e a cascata le stesse deposizioni dei fiscalisti Drennan e Barker, genuini e attendibili» ma che «perdono la loro forza probante».
Il risultato, per Vitale, è che «nessuna verità, neppure processuale, può dirsi raggiunta nonostante la profusione di energie di tutte le parti del processo»: sempre che, pare voler rivendicare, si osservi «il rispetto che si deve alle norme anche quando siano scomode e conducano a risultati insoddisfacenti non solo per la pubblica accusa ma anche per l’imputato».
Vitale critica «le inopportune e reiterate sollecitazioni del pm sulla fissazione del calendario»; e circa l’«accoglimento della disponibilità dell’imputato a celebrare i suoi processi il lunedì» in cambio della non opposizione di legittimi impedimenti, rimarca che questa linea — «con il dissenso ripetutamente manifestato dal pm», ma «condivisa dallo stesso presidente del Tribunale di Milano» Livia Pomodoro e da «tutti i giudici» dei 4 processi al premier, convocati da Pomodoro in una riunione il 7 marzo 2011 dopo l’offerta dei legali — «ha consentito un evidente risparmio di attività processuale».
«Certamente — aggiunge — la ricusazione proposta da Berlusconi il 27 gennaio e decisa dalla Corte d’Appello il 23 febbraio ha costituito l’ostacolo finale alla tempestiva definizione almeno in primo grado del processo», di cui colloca la prescrizione al 15 febbraio. Ma tra «le cause estranee a questo collegio» Vitale evoca «la lunghezza delle indagini» del pm; «i 4 mesi e mezzo tra il rinvio a giudizio nel 2006 e la prima udienza nel 2007»; e il fatto che i colleghi Gandus-Dorigo-Caccialanza, separando nel 2008 Mills e Berlusconi dopo l’incostituzionale lodo Alfano, a suo avviso non si siano curati di lasciare al futuro processo al premier «appena 351 giorni» di vita, quando «tre gradi di giudizio per Mills hanno occupato 3 anni».
Luigi Ferrarella