Fabrizio Peronaci, Corriere della Sera 15/05/2012, 15 maggio 2012
2 articoli – ANALISI SU TUTTI I RESTI UMANI TROVATI NELLA CRIPTA DEL BOSS — Una scena mai vista: gli esperti della polizia scientifica, con le tute integrali bianche e il kit per il prelievo del Dna nelle valigette, entrano a passo svelto dentro un luogo sacro
2 articoli – ANALISI SU TUTTI I RESTI UMANI TROVATI NELLA CRIPTA DEL BOSS — Una scena mai vista: gli esperti della polizia scientifica, con le tute integrali bianche e il kit per il prelievo del Dna nelle valigette, entrano a passo svelto dentro un luogo sacro. Il portone di Sant’Apollinare è transennato. Schiere di agenti tengono alla larga giornalisti, teleoperatori, i furgoni con le antenne satellitari, passanti e turisti esterrefatti. «My God, what’s happening?». Nel cortile del grande complesso dell’Opus Dei è stata montata una tenda. Adesso dalla cripta, con qualche fatica perché il posto è angusto, la bara viene issata e portata all’esterno. Parte l’ordine: aprite il triplo sarcofago, uno in rame, uno in zinco e la cassa di legno. Basta uno sguardo: «Sì, è lui. E non ci sono altri scheletri...». Sollievo sui volti dei presenti: dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo al capo della Mobile Vittorio Rizzi, dagli anatomopatologi agli avvocati della vedova del defunto e della famiglia Orlandi (il fratello, Pietro, è stato ammesso ma tenuto a distanza). Così, 22 anni dopo l’omicidio di Enrico De Pedis detto «Renatino» (e a 29 dalla scomparsa di Emanuela Orlandi), l’anomala sepoltura del capo della banda della Magliana in una importante basilica è stata definitivamente consegnata al passato. A una storia da non ripetere. La Procura, con la collaborazione del Vaticano, ha finalmente aperto la bara per verificare che dentro ci fosse davvero il temuto gangster che terrorizzò la capitale negli anni 80 e ricevette un tale privilegio in quanto «grande benefattore dei poveri», secondo l’allora rettore di Sant’Apollinare. Vestito blu e camicia bianca ingiallita: la salma era ben conservata, è stato sufficiente l’esame delle impronte digitali. Ma ecco che un altro scherzo beffardo incombe su queste spoglie: «Renatino» nei prossimi giorni verrà sepolto al Verano ma in incognito, sotto falso nome. Troppa è la fama postuma del Dandi di «Romanzo criminale» per non temere profanazioni da parte di esagitati. Così ha deciso la moglie, Carla Di Giovanni, impiegata in un ente pubblico. Conclusa l’ispezione più attesa, però, verso le 13 il lavoro, a sorpresa, è proseguito. Nella stessa cripta, oltre una parete abbattuta con il martello pneumatico, è infatti iniziata l’identificazione dell’intero ossario di Sant’Apollinare, che risale all’epoca pre-napoleonica, quando le chiese erano anche cimiteri. La scientifica e la squadra guidata da Cristina Cattaneo, una delle antropologhe forensi più famose d’Italia, analizzeranno i resti umani contenuti in tutte le 200 cassette. Ci vorrà almeno una settimana. In cerca di cosa? E perché? È stato il procuratore capo, Giuseppe Pignatone, a chiarirlo: «L’attività investigativa è finalizzata alla ricerca dei resti di Emanuela Orlandi». E qui il giallo sull’«indegno sepolcro» s’incrocia con quello della figlia del messo pontificio scomparsa nel 1983, proprio all’uscita di questa basilica che ospitava una scuola di musica. Una delle migliaia di ossa potrebbe essere di Emanuela? Nel dubbio verranno controllare tutte: quelle sicuramente ultracentenarie saranno scartate, ma se dovessero saltarne fuori di recenti, o di dubbia datazione, si farà l’esame del Dna. Il collegamento De Pedis-Orlandi era emerso nel 2008 dopo le rivelazioni di una ex amante del boss, che aveva accusato «Renatino» di aver rapito e ucciso la ragazza quindicenne con la complicità di monsignor Marcinkus, allora presidente dello Ior. Quella pista, battuta per anni, segna il passo. «La magistratura può contare sulla piena collaborazione delle autorità ecclesiastiche», ha fatto sapere ieri padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. Giallo riaperto con un nuovo impulso, dunque. «Oggi la speranza si è riaccesa», ha detto Pietro Orlandi all’uscita, nella piazza trasformata, da ore, in circo mediatico. Fabrizio Peronaci «SI TORNI ALLA PISTA DEL RICATTO AL PAPA» — Quattro mesi fa era in questa stessa piazza con circa 400 persone del gruppo Facebook da lui fondato per chiedere «chiarezza» sulla sepoltura di «Renatino» nella basilica. Adesso, Pietro Orlandi appare sullo stesso portone da cui uscì per l’ultima volta Emanuela 29 anni fa, dopo la lezione di musica. Sorride, nonostante lo stress di trovarsi per 5 ore a pochi passi dalla bara riaperta di De Pedis, dove qualcuno immaginava potessero esserci anche i resti di sua sorella. E, dopo aver risposto a decine di giornalisti, accetta di fare due passi verso casa sua, dove l’attendono la moglie e i sei figli. Temeva una brutta sorpresa? «No, non ho mai pensato che in quella bara ci fosse Emanuela. Sono contento che finalmente, grazie alla collaborazione tra Vaticano e magistratura, si sia messo un punto fermo su questa pista. L’essenziale ora è che le indagini vadano avanti in tutte le altre direzioni». Cosa si aspetta? «Ammesso che la banda della Magliana abbia avuto un ruolo, questo è stato di manovalanza. Mia sorella fu rapita in quanto cittadina vaticana, per esercitare un ricatto: fu lo stesso papa Wojtyla, in visita a casa nostra, a dirci che si trattava di terrorismo internazionale». Altri indizi? «Nel suo primo appello il pontefice parlò di "sequestratori", segno che in Vaticano avevano elementi in questo senso. Forse per i fondi versati a Solidarnosc in chiave anticomunista, o per i soldi sporchi transitati nello Ior: su questo bisognerebbe indagare». All’inizio parve prevalere l’ipotesi dello scambio Emanuela-Agca, che ha spostato l’inchiesta in Germania, dove erano attive cellule dei Lupi grigi. Riscontri? «Due mesi dopo la scomparsa, mia sorella fu vista vicino Bolzano da una testimone che parlò di un particolare sconosciuto: una collanina "non metallica", che Emanuela davvero indossava. Si trattava di un tessuto intrecciato, giallo e rosso, cucito da mia madre. Questo dimostra che è stata portata al Nord. Da quell’avvistamento nacque un’indagine che coinvolse un funzionario del Sismi, poi archiviata». Passeggiata finita, Pietro Orlandi suona al citofono di casa. Sullo sfondo si intravede il Cupolone. Oggi la speranza è cresciuta, dunque? «Sì, e l’impegno prosegue: il 27 maggio ci sarà una marcia per la verità e la giustizia dal Campidoglio a San Pietro, alla quale hanno aderito centinaia di autorità e semplici cittadini. Credetemi: tutto ciò che faccio è solo per amore di mia sorella». F. Pe.