Pierluigi Battista,Corriere della Sera 15/05/2012, 15 maggio 2012
I PARTITI E L’ARREMBAGGIO DEI PIRATI - I
partiti sono lenti, i movimenti sono rock. Ma è la stessa democrazia, con tutto il peso delle sue complicate procedure, ad essere lenta. Allora deve essere rock anche il leaderismo sfrenato, il dispotismo del Capo, lo spontaneismo etero-diretto da un’oligarchia di autonominati?
Oggi è rivolta in Europa contro i partiti della tradizione e dell’alternanza ordinata, contro gli apparati, l’establishment politico, i mastodonti della politica fondata sull’imperativo della «governabilità». In Germania i «pirati» oramai hanno raggiunto un successo stabile. In Francia Marine Le Pen ha fatto della creatura politica ereditata dal padre una forza più duttile e anche più minacciosa, capace di parlare a fette più ampie di società, non riducibili alle vecchie etichette. Ad Atene la sinistra radicale anti-europea demolisce a colpi di voto la tradizionale egemonia socialista sulla sinistra greca. In Italia è la deflagrazione del grillismo, una piccola frangia che oggi cavalca l’onda esasperata della protesta. Sono fenomeni diversi tra loro, ma spesso accomunati da quello stesso astio contro i partiti oggi ribattezzato con l’orrendo neologismo di «antipolitica». Non solo contro la «linea» dei partiti, ma contro la loro stessa esistenza, per la farraginosità delle loro procedure, per la decrepitezza dei loro messaggi, per la voracità predatoria della loro presa sulla società. Ma i «movimenti» stanno forse inventando qualcosa di meglio, di più leggero, di più aperto? Oppure dietro il volto dinamico e seducente dello spontaneismo si annidano le forme di una gestione manipolatoria dei movimenti «nuovi»?
La storia italiana, anche più recente, dimostra che l’alternativa alla pesantezza burocratica dei partiti di vecchio conio è ipotecata da un leaderismo assoluto dove la discussione è bandita, il dissenso non è tollerato, la decisione è prerogativa arbitraria del Capo e del suo cerchio magico. È stato così per Forza Italia, che liquidava come «teatrino della politica» ogni espressione pubblica di elaborazione di una linea politica. I vituperati congressi di una volta sono stati sostituiti dalle conventions in cui l’unico spazio di espressione pubblica è rappresentato dall’inno encomiastico per il Capo. È stato così per la Lega, dove la fedeltà al leader ha conosciuto la degenerazione calcistica e familistica affiorata in questi mesi. Tra i movimenti antipartitocratici italiani, solo il Partito radicale, tuffandosi nell’esperienza della democrazia diretta referendaria, ha arginato l’inclinazione debordante e solipsistica di un leader carismatico. I partiti personali sono diventati emanazioni di una singola figura che esercita dispoticamente una funzione direttiva unica e incontrastata in cui la qualità della classe dirigente è mediocre e raccogliticcia (il partito di Di Pietro) o molto legata agli schemi e al lessico della vecchia politica (il partito di Fini). È proprio così sicuro che i vecchi partiti, così ingombranti e prepotenti, non abbiano incarnato un’idea di democrazia superiore a quella dei nuovi movimenti dell’«antipolitica»?
Oggi, due grandi opportunità hanno spalancato prospettive insperate per i nuovi movimenti in tutta Europa, dai «pirati» in Germania fino a Beppe Grillo. La prima è la dimensione elefantiaca di partiti che hanno perduto la loro funzione storica per trasformarsi in truppe di capillare occupazione di ogni segmento della vita nazionale e locale delle istituzioni. La seconda è l’illusione di libertà illimitata generata dalla Rete, la sensazione di poter partecipare in una grande piazza virtuale scavalcando tutte le mediazioni. Un’opportunità. E un’illusione. L’ideologia dello spontaneismo non si interroga su chi prende le decisioni, su chi sceglie il modo di impostare le battaglie. Non riconosce la decisione come frutto di gruppi dirigenti invisibili, non selezionati da meccanismi democratici collaudati. Chi decide per i manifestanti di Occupy? Come nel ’68: chi riconosceva i grandi strateghi dell’assemblearismo, che dietro il paravento antiautoritario e iperdemocratico dell’assemblea rendeva invisibili i centri della decisione politica? La democrazia è lenta, tortuosa, talvolta inconcludente. La velocità rock dei movimenti è più elettrizzante. Che sia migliore di ciò che intende sostituire, questo non è affatto certo.
Pierluigi Battista