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 2012  maggio 15 Martedì calendario

LA SOLUZIONE (CHE FA PAURA): PERDERE ATENE - A

questo punto della crisi europea del debito, le parole vanno maneggiate con cura: per come si dicono e per come si leggono. Per la prima volta, infatti, tutta Europa parla della possibilità dell’uscita della Grecia dall’euro: ultimi arrivati, alcuni esponenti della Bce. È un cambiamento di posizioni, all’interno del sistema delle banche centrali europee, che non va preso alla leggera: ancora in dicembre, il presidente dell’istituzione di Francoforte, Mario Draghi, aveva sostenuto che l’uscita di un Paese dall’Eurozona avrebbe avuto conseguenze serie per tutta l’Unione monetaria. Il nuovo consenso che sembra svilupparsi tra i banchieri centrali, dunque, va letto con grande attenzione per evitare che la situazione, già delicatissima, finisca fuori controllo a causa di isterie di massa.
Il governatore della banca centrale irlandese, Patrick Honoan, durante una conferenza pubblica ha sostenuto che l’uscita di Atene dall’euro non è una prospettiva «attraente» ma «tecnicamente può essere gestita»: a suo avviso, non sarebbe «necessariamente fatale». In un’intervista, il Governatore belga Luc Coene si è espresso negli stessi termini: «Immagino che un divorzio amichevole, se mai dovesse essere necessario, sarebbe possibile» (ma a lui dispiacerebbe). L’influente presidente della tedesca Bundesbank, Jens Weidmann, ha sostenuto che l’uscita dall’euro di Atene avrebbe conseguenze più serie per la Grecia «che per il resto dell’Eurozona». Posizioni che fanno eco a quelle del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble e del commissario europeo Olli Rehn, secondo i quali la palla è ora nel campo greco e la scelta tra il rimanere e l’andarsene è solo ellenica: altre concessioni dall’Europa non arriveranno.
Si tratta di una serie di dichiarazioni che palesemente non sono dal sen fuggite. Ma che se non interpretate correttamente potrebbero creare panico. Se Atene decidesse di abbandonare l’euro e il resto d’Europa e i mercati non fossero più che convinti che si tratta di un caso speciale e unico — non ripetibile da altri Paesi —, la reazione non solo del mondo della finanza ma anche dei cittadini potrebbe sfuggire di mano. Molti penserebbero, a quel punto, che il contagio si potrebbe propagare a Portogallo, Irlanda, forse Spagna, forse Italia. In altri termini, che un euro in un Paese periferico dell’Europa vale meno di un euro in Germania, perché un giorno potrebbe essere trasformato in una moneta nazionale svalutata. Ciò provocherebbe fughe di capitali. Le parole di governi e Bce vanno dunque lette per quello che sono.
Da una parte, hanno lo scopo di mettere pressione sui greci, di avvertirli che i partner europei e la Bce non stanno scherzando quando chiedono il rispetto degli impegni presi da Atene, in termini di riforme e risanamento finanziario, in cambio del pacchetto di aiuti da 130 miliardi concordato in marzo. Dall’altra hanno però anche l’obiettivo di chiarire che la teoria sostenuta dal politico emergente ad Atene in questi giorni, Alexis Tsipras, non tiene. Tsipras parte dal presupposto che la Ue bluffi, che parli e minacci ma in realtà non abbia la forza o il fegato di costringere la Grecia ad abbandonare l’euro. In realtà, da qualche mese la possibilità di perdere Atene si è fatta spazio sul serio nelle cancellerie: come unica soluzione possibile a una crisi che non vede la fine. «Due anni fa — ha detto ieri un alto funzionario europeo al Financial Times — un’uscita della Grecia sarebbe stata catastrofica, delle dimensioni della crisi di Lehman Brothers. Anche un anno fa, sarebbe stata estremamente rischiosa in termini di contagio e di reazione a catena nel sistema bancario. Due anni dopo, siamo meglio preparati».
Nel frattempo, infatti, una serie di misure sono state prese: il fondo europeo di sostegno ai Paesi in crisi è stato incrementato a oltre 500 miliardi; la forza d’intervento del Fondo monetario internazionale in parte mobilitabile a difesa dell’Eurozona è cresciuta di 430 miliardi di dollari; la Bce è più flessibile che in passato; e Italia e Spagna hanno preso la strada delle riforme. Più di un governo ritiene che, in questa nuova situazione, la Grecia possa essere isolata come caso unico e lasciata in qualche modo a se stessa (e alle sue scelte elettorali), che il contagio possa essere evitato e che la paura che un euro valga di più a Berlino che a Madrid disinnescata.
Certo, l’idea che Atene abbandoni l’euro è meno digeribile a Madrid e a Roma che a Berlino, dal momento che quest’ultima incorrerebbe in costi elevati (un’ottantina di miliardi, secondo calcoli recenti) ma non rischierebbe una fuga di capitali, anzi ne potrebbe attrarre parecchi. Per questa ragione, Draghi e i banchieri centrali, assieme a Angela Merkel, François Hollande, Mario Monti, dovranno avere idee chiare ma anche usare parole precise e forti per convincere gli europei che, quando la situazione ad Atene dovesse precipitare, tutto si fermerà lì. Nelle crisi, la psicologia delle masse può contare più di un fondo salva Stati.
Danilo Taino