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 2012  maggio 14 Lunedì calendario

DA BAKUNIN A GIULIANI. QUEL CAOS DELLE CITAZIONI DOPO GLI ATTENTATI

La citazione più scontata è l’ultima. In epigrafe al comunicato che rivendica il ferimento dell’ingegner Roberto Adinolfi campeggia una frase di Michail Bakunin sul governo della scienza «disumano e crudele».
Nominare in uno scritto anarchico il rivoluzionario e filosofo russo, padre dell’anarchismo moderno, equivale a parlare di Karl Marx in un simposio sul comunismo. Come se per il suo documento più importante, quello del salto di qualità, la Fai avesse cercato una soluzione semplice, alla portata di tutti. Se vogliamo, in linea con il debutto della federazione, che firmò la sua prima azione con la sigla «Narodnaja Volja» Fai. Tradotto dal russo significa «Volontà del popolo». Era una associazione clandestina di fine Ottocento che cercò di unificare i diversi gruppi che volevano rovesciare il potere zarista.
Altre volte, in questi dieci anni di attentati piccoli e grandi, le scelte e le citazioni sono state molte e diverse tra loro, non sempre così «commerciali» come quella di Bakunin. A voler ricomporre un Pantheon dell’anarco-insurrezionalismo italiano, ci si imbatte per nel francese Emile Henry, ghigliottinato nel 1894 a soli 21 anni, responsabile della bomba alla stazione di Saint Lazare e di altri attentati dinamitardi. La rivendicazione dell’attentato alla caserma del Ris di Parma, avvenuto nel 2005, si apre con un suo pensiero. «Che dire di questi rivoluzionari che sono vili ragionatori e che meditano quando occorre colpire. La sfera delle idee generali ha preso per essi il posto del mondo della contemplazione».
L’elogio dell’azione diretta, una costante dei documenti dalla Fai, viene fatto anche con il ricordo di una figura piuttosto controversa dell’anarchismo francese, quella di Francis Koenigstein detto Ravachol, anch’egli bombarolo, ma pure assassino a sangue freddo che uccise donne e anziani durante le sue rapine. In un passaggio del documento che «firma» il plico esplosivo recapitato nell’ottobre 2005 ai vigili urbani di Torino, viene citato un passo della canzone anarchica ispirata alle sue gesta, la Ravachole. «Ci son borghesi ben nutriti/ ci sono i poveri, che han la pancia vuota/ quelli hanno i denti lunghi/ viva il suon, viva il suon dell’esplosion».
In altre due occasioni, l’attentato al Centro di permanenza temporanea di Modena dell’aprile 2005 e quello del dicembre 2009 all’università Bocconi di Milano, viene profanato Fabrizio De Andrè, con epigrafi tratte da Storia di un impiegato, il disco più politico del grande cantautore genovese. La prima, un classico, è il «per quanto voi vi sentiate assolti siete per sempre coinvolti», dalla Canzone del maggio. La seconda è tratta da Il bombarolo: «Chi non terrorizza si ammala di terrore».
L’elogio del gesto solitario e disperato contro la società, della ribellione contro l’ordine costituito, sembra essere il filo che tiene insieme storie e personaggi ben diversi tra loro.
In quasi tutti i documenti che firmano gli attentati genovesi (2002, 2004 e 2005) viene citato Carlo Giuliani, il ragazzo del G8. Nei primi cinque anni di attività del Fai prevalgono le dediche di natura più sociale.
Il documento sull’attentato contro il Cpt cita tre migranti morti a Torino mentre tentavano di sfuggire a controlli di Polizia, episodi avvenuti tra il novembre 2004 e il maggio 2005. Quello sulle bombe alla caserma genovese di Sturla ricorda Edoardo Massari, l’anarchico torinese arrestato per gli attentati in Val di Susa, suicida in carcere nel 1998, e Fabio Halilovic, un giovane nomade slavo ucciso dalla Polizia a un posto di blocco.
La campagna «Viva Villa» del 2005, comprensiva di attentati contro le caserme di Genova e di un fantomatico attacco al Festival di Sanremo, inaugura la stagione delle dediche ai detenuti di riferimento nelle celle spagnole e greche, e non solo in quelle. In quell’elenco compare per la prima volta anche il nome di Marco Camenisch, detto Martino, destinato da quel momento a diventare una costante fonte di ispirazione e citazione per la Fai. La predilezione per la figura dell’ecoterrorista svizzero, considerato la massima espressione dell’ecologismo radicale e della lotta antinucleare, può forse spiegare la recente svolta della Fai e l’allargamento dei suoi potenziali obiettivi.
«Continuo a rivendicare la necessità di una lotta radicale antiautoritaria contro il dominio e lo sfruttamento sempre più aggressivo e distruttivo del capitale tecnologico e della sua guerra totale contro gli individui, le società, le culture e l’ambiente della comunità terrestre».
La frase è presa da un documento dalla Fai apparso su Internet nel 2009. Camenisch, personaggio unico nel suo genere, non risponde certo alla figura ortodossa dell’anarchico. Incarna piuttosto una filosofia dove, parole sue, la protesta violenta nel nome della tutela dell’ambiente diventa lo strumento per la distruzione del capitalismo. Ma nell’album di famiglia della Federazione c’è posto per tutti.
Marco Imarisio