Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 12/5/2012, 12 maggio 2012
“QUANTO È STRACULT IL CINEMA CHE PIACE A ME”
Non porto mai le mutande, questo mi permette di muovermi con maggiore attenzione. È un azzardo che mi rende più guardinga”. Perle di saggezza che non appartengono a Nicole Minetti, ma a Sabrina Ferilli. Ventiquattro anni fa, Il frullo del passero. Film dimenticabilissimo, ma non per Marco Giusti, che ne ha riproposto qualche stralcio a Stracult. Seconda serata, ogni lunedì su RaiDue. Va in onda da 12 anni. Presentatori avvicendati (Fabio Caressa il picco negativo), format cambiato. Ora si svolge in una casa (finta) di Giusti. Un salotto, qualche ospite, alcuni comici (Lallo Circosta, Rosanna Sferrazza, Andrea Perroni, Francesco Scimemi, Nicola di Gioia). Il presentatore storico, Gmax, c’è ma defilato. Lo ha sostituito Paolo Ruffini, attore-veejay livornese troppo leccato per un contesto che anela al tamarrismo. La penultima puntata era dedicata al poliziottesco, l’ultima al nuovo cinema comico. Da una parte la chiacchierata, disinteressandosi (per fortuna) dei tempi televisivi. Dall’altra immagini di repertorio e spezzoni sporcaccioni (tipo Gianfranco D’Angelo con Marina Lothar). Irricevibili e dunque venerabili.
LA FORTUNA di Marco Giusti, oltre alla nascita di Blob con Enrico Ghezzi, risiede nella capacità di elevare il gusto personalissimo a nuovo genere. Imponendolo addirittura in tivù. Giusti sbaglia – e lo sa benissimo – quando si impone di sdoganare ogni schifezza per il solo gusto di infastidire la critica cattedratica, ma ha non pochi meriti. Stracult recupera professionisti sottovalutati, tributa categorie fondamentali (gli stuntman), celebra i caratteristi (Salvatore Baccaro, Ennio Antonelli). È una sorta di Anima mia postmoderna, con Giusti nel ruolo di un Fabio Fazio che non si innamora di Richie Cunningham ma di Lino Banfi. Era così anche da ragazzo, quando disegnava fumettacci goderecci con il fratello Giulio (scrittore di biografie sportive, da Bagnoli a Scopigno). Fin dall’inizio, l’idea che il cinema dovesse inseguire la contaminazione tra alto e basso. Come C’era una volta il West: “Sergio Leone chiama Bernardo Bertolucci che scrive una piccola storia, si mette insieme a Dario Argento e fanno un copione. Si forma, in qualche modo, quello che sarà il nostro cinema. Con tutti i suoi sottogeneri”. Il concetto di stracult è un paradosso inseguito, poiché traduzione maccheronica di “cult movie”: film migliore che in realtà non lo è affatto. “Il cinema cult italiano è tutto quello che va fuori certe regole. È quello che spacca, citando il Piotta: o ti piace o non ti piace. Volutamente un po’ comico, da ridere a basso costo, fatto con quattro soldi ma molta inventiva. Contemporaneamente c’è il rifiuto di Nanni Moretti, del cinema ideologico o comunque più alto. Siamo sempre in pochi ad amarlo: il grande gruppo adora Benigni, non Bombolo”. Giusti è alla continua ricerca di film che spacchino: a volte li trova, in altri casi si spacca lui. E se nessuno può togliergli lo sguardo innocentemente adolescenziale (nemmeno Aldo Grasso, che pure lo schiaffeggia spesso), l’autoderagliamento è dietro l’angolo.
QUANDO difende il cinepanettone; quando deifica Jerry Cala; o quando, conversando con la Ferilli in studio, sentenzia: “Tu e Christian De Sica siete una delle coppie più belle del cinema italiano”. Paolo Mere-ghetti lo ha accusato di essere responsabile dell’involgarimento della commedia, “dove gusto goliardico ed elogio del disimpegno, piacere dell’oltraggio e voglia di provocazione finiscono per mescolarsi in un nuovo (e più subdolo) populismo cinefilo”. Giusti gli ha dato del “dinosauro”, stupendosi – ma un po’ compiacendosi – del ruolo di cattivo maestro che incarnerebbe: abile orchestratore di “operazioni ambigue e pericolose”. Vanta sodali insospettabili, su tutti Quentin Tarantino, innamorato di Barbara Bouchet e giustamente attratto dal cinema violento dei Settanta (l’epoca d’oro, secondo Giusti). Il suo fastidio per i critici “de sinistra” è evidente. Anche su Twitter (1135 followers): “Premio Cazzullo a Cazzullo che intervista Fazio e Saviano. ‘Inviteremo Scola, Avati e Olmi’. Aiuto!!!!!”; “Beh, credo che Curzio Maltese su Hunger Games ancora una volta non ci abbia capito nulla. Si prepara per Garrone e Bertolucci a Cannes”, “Premio Cazzullo a Dario Cresto Dina per l’incipit più noioso della storia del cinema”.
LA SUA GUERRA santa – anzi apocrifa – agli espertoni è solo all’inizio. La teorizzazione è a volte capziosa, ma il programma di pregio. Tra il cazzeggio e il meritorio. Giusti è il protagonista del Caimano che, a differenza di Silvio Orlando, si ostina a credere nelle Tope al vento e non si ricicla come regista di biopic su Berlusconi: tutta la vita a dirigere, o celebrare, Mocassini assassini. Ha tramutato in postulato il paradosso per cui, se sei scettico con lo stracult, appari snob: ricatto geniale. Non si è però accorto che, ormai, è diventato snob perfino lo stracult. Una specie di “trash d’essai”. E questo, un Monnezza o un Pierino, non possono accettarlo.