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 2012  maggio 12 Sabato calendario

«SONO FALLITI, NE ABBIAMO PARLATO ANCHE TROPPO» — E’

a rischio l’euro a causa della Grecia?
«La Grecia è fallita, dovremmo perfino smettere di parlarne troppo. Se Atene vuole uscire dall’euro, può farlo. E’ stato un errore dall’inizio, ammetterla nella moneta unica. Ma da qui a far fallire l’euro per causa di Atene ce ne corre. Perché per Atene possiamo pagare, mentre non possiamo farlo per Italia e Spagna o altri paesi».
Parlando con il Corriere nel suo ufficio di Francoforte, Roland Berger non ha peli sulla lingua. A 74 anni, il fondatore e partner dell’impero di consulenza che porta il suo nome ha lasciato gli incarichi operativi, ma segue ancora — ad esempio come consigliere di Fiat — i grandi gruppi cui è affezionato. Ed è uno dei maggiori esperti di relazioni politiche ed economiche italo-tedesche, e non solo.
Tuttavia, prosegue con una punta di ottimismo, «se mettiamo in pratica il patto di bilancio, la Bce continua a sostenere le banche, si controlla l’inflazione, e attuiamo riforme e programmi di infrastrutture con denaro pubblico ma soprattutto con investimenti privati, riusciremo a superare le difficoltà attuali».
Ma il patto di bilancio incontra resistenze. Bisogna rinegoziarlo e sviluppare un piano B per la crescita?
«Se l’Europa vuole rimettersi in piedi non c’è alternativa al patto di bilancio e alle riforme strutturali avviate, decise fra l’altro anche dal governo Monti. Perché, nonostante temporanei rallentamenti, queste portano nel medio termine a una crescita sana. Ma l’intenzione di Hollande, di voler rinegoziare il patto, porta incertezza nei mercati. E avrebbe conseguenze catastrofiche se altri governi condividessero in pubblico le sue idee. Abbiamo bisogno urgente di raggiungere una crescita sostenibile attraverso le riforme, con mercati liberi, concorrenziali, l’abolizione di privilegi, di rigidità nei mercati del lavoro, dei prodotti finanziari, ma anche attraverso il consolidamento delle banche europee».
E il patto per la crescita si aggiunge alle riforme?
«Sì, impiegando fondi privati, o "riciclando" danaro ancora inutilizzato, presso la Ue, la Bei (Banca europea di investimento) o le rispettive Casse dei depositi nazionali, per progetti di infrastrutture ad alto impiego di manodopera, che nel breve termine creino più posti di lavoro, più reddito, crescita e maggiori entrate fiscali, ma col tempo anche una produttività superiore dell’economia».
Può fare qualche esempio?
«La più importante sarebbe l’infrastruttura a banda larga, frenata finora in Europa da una regolamentazione arretrata, che non permette alle società di telecomunicazioni come Deutsche Telekom, France Telecom, Telefonica e Telecom Italia di fare nuovi investimenti high-tech, che spronerebbero anche il progresso tecnologico europeo e la produttività nel settore del servizi. Poi ci sono le infrastrutture "intelligenti", come i treni ad alta velocità, ma anche quelle tradizionali, strade, binari e anche tutto il sistema di canalizzazioni europeo, costruito dopo la guerra e obsoleto. Un programma enorme, di cui c’è un bisogno infinito. Perché nella Ue abbiamo un arretrato di investimenti, per esempio nella banda larga, pari a 300 miliardi, rispetto alla Corea. Due terzi della crescita nel mondo industriale viene dall’It e dal settore delle comunicazioni, e ciò significa che la nostra industria può crescere dell’1% annuo in più».
Perché è tanto vivo il dibattito sull’inflazione tedesca?
«L’economia tedesca va bene come non mai, tuttavia col tempo potrebbe aumentare l’inflazione. E questo perché la Bce deve fare una politica di "denaro facile", meno caro; abbiamo troppo capitale in arrivo dall’estero (perfino dall’Italia 150 miliardi nel sistema di pagamenti di Target 2); e abbiamo un deficit di lavoratori specializzati. E’ populistico da parte dei politici dire che i salari devono salire (come ha detto il ministro finanziario Wolfgang Schäuble, ndr) perché l’inflazione è il modo più facile per ridurre il debito. Però con un carovita maggiore in Germania si riducono i disequilibri delle bilance commerciali nel resto d’Europa».
Ma finora l’inflazione è al 2,1%, in Europa al 2,7%.
«Aspetti che i salari aumentino. Dato che la capacità produttiva funziona a pieno ritmo, l’inflazione in Germania, secondo alcuni, può raggiungere il 5% o 6% in due o tre anni».
Ma c’è la Bce che comunque fa attenzione...
«Anche per la Bce non è facile, se Italia e Spagna hanno bisogno di tassi bassi e la Germania elevati: non possiamo avere un tasso di interesse diverso nell’Eurozona. Per questo è così importante, anche per la Germania, che i paesi periferici si riprendano il più presto possibile, recuperando competitività. E questo significa anche una deflazione interna per questi paesi».
Ma con pericolo di disordini sociali...
«Per questo si devono fare grandi investimenti infrastrutturali con denaro privato, con i quali si può controsterzare anche in Italia, senza aumentare i debiti statali».
E per l’Italia?
«Sono un grande sostenitore del programma del governo Monti, anche se ho la sensazione che il "senso dell’urgenza" in Italia si sia un pò attenuato. E che gli italiani si siano accorti che la maggior parte dei risanamenti sono finanziati con le imposte piuttosto che con tagli della spesa. Ora con il commissario Bondi si aumentano le opportunità di tagliare la spesa. Ma ci sono anche altre possibilità di risparmiare. O di proseguire nelle privatizzazioni, in tutta Europa. In Francia l’acqua è privata, anche le autostrade. Ma in Germania quest’idea è demonizzata. Invece potremmo mobilitare abbastanza denaro privato e spronare l’economia, mentre i governi ripagano i debiti».
Marika de Feo