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 2012  maggio 12 Sabato calendario

2 articoli – LA STRATEGIA DEL NUOVO TERRORISMO - Inutile discettare sulle prospettive della lotta armata in Italia, sul passato che ritorna e un futuro rivoluzionario destinato a esaurirsi in qualche illusoria velleità

2 articoli – LA STRATEGIA DEL NUOVO TERRORISMO - Inutile discettare sulle prospettive della lotta armata in Italia, sul passato che ritorna e un futuro rivoluzionario destinato a esaurirsi in qualche illusoria velleità. Non ci sono aspettative fondate di una nuova stagione di piombo, lo sanno anche loro, ma non rinunciano a sparare. «Se fossimo stati realisti non avremmo armato le nostre mani. Se fossimo stati realisti non affronteremmo tanti rischi, vivremmo le nostre esistenze producendo e consumando, magari indignandoci». È inutile discettare sulle prospettive concrete della lotta armata in Italia negli anni Duemila inoltrati, sul passato che ritorna e un futuro rivoluzionario che — realisticamente, per l’appunto — è destinato a esaurirsi in qualche illusoria velleità. Non ci sono aspettative fondate di una nuova stagione di piombo, lo sanno anche loro, ma non per questo rinunciano a sparare. Anzi. «Impugnando una stupida pistola abbiamo solo fatto un passo in più per uscire dall’alienazione del "non è ancora il momento... i tempi non sono maturi...". Vincere la paura è stato più semplice di quello che ci eravamo immaginato». Magari è stato un salto nel buio, ma non importa. Meglio che rimanere fermi in attesa che maturi un clima insurrezionale che potrebbe non arrivare mai. Teoria e prassi È un manifesto denso di indicazioni e spunti per intuire quel che si muove nell’ombra della costola anarchica più determinata del movimento antagonista, che ora ha deciso di armarsi, il volantino di rivendicazione dell’attentato di Genova al dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi; sempre che sia autentico, ovviamente, ma non ci sono investigatori o analisti che dubitino della sua genuinità. Un documento da analizzare mettendo da parte i tradizionali schemi coi quali s’interpretavano i documenti brigatisti o parabrigatisti. Lì c’era molta elaborazione dottrinaria, qui è il pragmatismo che diventa teoria. Con un linguaggio chiaro e persino semplice, che parla all’esterno, ma anche all’interno della galassia ribelle più ideologicamente orientata. La prima parte è dedicata al bersaglio colpito, poi ci si dilunga in polemiche e contrasti con l’opposizione sociale che s’è manifestata finora. Sia quella che scende semplicemente in piazza, sia la componente che si definisce dura, ma al tempo stesso consapevole delle «condizioni politiche date», come si diceva un tempo. Qui siamo su tutt’altra lunghezza d’onda: «Non consideriamo un referente i cittadini indignati per qualche malfunzionamento di un sistema di cui vogliono continuare a essere parte. Scambiare rabbia e indignazione per un processo di rivolta allo status quo è segno di una pericolosa miopia rivoluzionaria», eccetera. Azione diretta distruttiva Come si vede, i cosiddetti Indignati sono trattati al pari dei governanti che intendono contestare. Semmai gli sparatori della «Fai/Fri Nucleo Olga» sono dalla parte di chi, al corteo del 14 dicembre scorso, alimentò le violenze che fecero naufragare il corteo prendendosi la scena con le auto incendiate e i blindati assaltati. Del resto nell’altro documento circolato per posta elettronica nell’agosto scorso in cui si suggeriva il simbolo utilizzato ieri, si teorizzava che «l’azione diretta distruttiva» è il primo punto chiave: «Azione che può andare dal lancio di una molotov all’assassinio, senza alcuna gerarchia d’importanza, ogni gruppo o individuo deciderà come meglio vorrà». Chi ha ferito il dirigente dell’Ansaldo ha aderito a quella proposta scegliendo la via intermedia dell’«azzoppamento» (termine, questo sì, mutuato dal volantini Br anni Settanta), senza preoccuparsi delle prevedibili dichiarazioni di sdegno e dissociazione che sarebbero arrivate anche dalle opposizioni sociali più radicali. «Non siamo alla ricerca di "consenso"», scrivono i militanti di questa nuova Cellula, che invitano a liberarsi dalla «maledizione di quella mal interpretata ricerca del consenso sociale che lega le mani di quanti sono consapevoli dell’urgenza di agire qui e ora». Si definiscono seguaci della «rivolta anarchica e nichilista» e non si curano delle critiche provenienti dal loro stesso ambiente: «A voi anarchici che ci accusate di essere velleitari, avventuristi, suicidi, provocatori, martiri, diciamo che con le vostre lotte "sociali", con il vostro cittadinismo, lavorate al rafforzamento della democrazia». Salto di qualità Loro no. Si chiamano fuori dal sistema e quasi arrivano a esaltare l’azione per l’azione, con accenni che sembrano celebrare una sorta di estetica dello sparo: «Pur non amando la retorica violentista, con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore. Impugnare la pistola, scegliere e seguire l’obiettivo, coordinare mente e mano sono stati un passaggio obbligato, la logica conseguenza di un’idea di giustizia, il rischio di una scelta e nello stesso tempo un confluire di sensazioni piacevoli». È come se volessero dar conto del travaglio che ha accompagnato la decisione di affrontare direttamente l’obiettivo, cosa diversa dal lancio di una molotov o dalla spedizione di un pacco bomba. Per dire che tutti possono farlo, basta convincersi che è la cosa giusta. Attraverso uno schema semplice: «Individuare l’obiettivo, "colpire dove più nuoce", saper riconoscere il nemico anche quando veste i panni dell’agnello»; riassunto in uno slogan che pare un altro cedimento al linguaggio vetero-brigatista: «Far lavorare di pari passo le armi della critica e la critica delle armi». Gli attentatori di Adinolfi non sono marziani venuti da chissà dove, ma militanti dell’antagonismo estremo che dopo aver avuto altre esperienze hanno deciso di aderire all’invito per il tormentato «salto di qualità». Anche per questo hanno elaborato un testo inusualmente lungo per l’universo anarchico di cui sono parte. Al quale spiegano che lo loro vite, come quelle di tanti, «non sono così tanto lontane dall’alienazione di chi consuma, produce e crepa». E denunciano: «Tutta la nostra tensione rivoluzionaria si sfoga in articoli infuocati per i nostri giornali e siti, in testi infuocati per le nostre canzoni e qualche sporadico scontro di piazza, tanto per mettere a tacere la propria coscienza». Stanchi di una simile routine reiterata «senza aver mai impugnata un’arma o colpito un oppressore», hanno deciso di cambiare strada. Consapevoli e per nulla intimoriti di essere additati come i nuovi terroristi. Con i quali in Italia e non solo, forse, si dovrà imparare a fare i conti. Giovanni Bianconi QUEI TERRORISTI CON I NOMI DI DISNEY. LA «FEDERAZIONE» E 9 ANNI DI ATTENTATI - Alla riunione di condominio della Federazione anarchica informale i più arrabbiati erano i nipoti di Paperino. Qui, che rappresentava la celebre Cooperativa Artigiana fuochi e affini, di area bolognese, ce l’aveva con tutti perché «ormai siamo al palo». Quo, espressione della Brigata 20 luglio, sigla usata per gli attentati genovesi, faceva la voce grossa, anche perché era il padrone di casa. «Io parlo per il nostro gruppo: abbiamo deciso di procurarci le pistole ed iniziare ad usarle». Qua e gli altri paperi annuirono, nient’altro da dichiarare. Il 2 febbraio 2007 alla redazione di Radio Black Out di Torino, un riferimento per l’area anarchica, arriva un documento prodotto dalla Fai, dal titolo «Quattro anni», e datato «Dicembre 2006». La prima parte è un elenco delle azioni compiute fino a quel momento, la seconda, più interessante, è la trascrizione integrale di un incontro tra i rappresentanti dei gruppi fondatori della Fai, avvenuto secondo i carabinieri del Ros all’Immensa, un centro sociale nel quartiere di Bolzaneto, poi chiuso nel 2010, dove i presenti al dibattito si erano dati nomi di fantasia ispirati ai personaggi di Walt Disney. Ci sono corsi e ricorsi tutti genovesi, nella breve storia della Fai, anche per questo le indagini su tutti gli attentati firmati dall’organizzazione sono confluiti in una inchiesta della procura del capoluogo ligure, che conta oltre venti indagati per associazione a delinquere con finalità eversive. La prima volta che apparve questa sigla era scritta a piccoli caratteri, quasi una nota a piè di pagina nel documento di rivendicazione dell’attentato alla questura di Genova, due bombe destinate a uccidere, le più potenti del lungo stillicidio di attentati. Era il dicembre 2002, e gli occhi di tutti caddero sulla scritta più grande, Brigata 20 luglio, chiaro riferimento al giorno della morte di Carlo Giuliani. Ma in quel momento la Federazione non esiste ancora, o almeno non ha una importanza tale da sovrastare le sigle originarie. Il 21 dicembre 2003, a Bologna in Strada Maggiore, esplodono due ordigni davanti alla casa di Romano Prodi, allora presidente dell’Unione europea. Due giorni dopo, il documento, inviato alla redazione locale de La Repubblica, dove gli estensori comunicano di aver dato inizio «alla prima campagna di lotta della Federazione anarchica informale», sancisce la nascita ufficiale della nuova struttura, che raggruppa la Brigata 20 luglio, Solidarietà internazionale, Cellule contro il Capitale, il Carcere, i suoi Carcerieri e le sue Celle e la Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare), le sigle che nei due anni precedenti avevano talvolta anteposto la dicitura «F.A.I.» alla loro. Il 29 marzo 2004 la Fai ricompare a Genova firmando la bomba che scuote il commissariato di Sturla, anche se gli inquirenti sono convinti che si tratti di un apocrifo, data una rivendicazione confusa e delirante in alcuni passaggi. Il vero debutto della Federazione avviene il primo marzo 2005, con l’avvio di quella che a tutti gli effetti è la prima vera campagna sotto le insegne Fai, dopo l’enunciato del dicembre 2003. L’esplosione di due bombe in altrettanti cassonetti davanti alle caserme dei carabinieri di Voltri e Pra’ avviene in contemporanea con l’attentato alla caserma Montebello di Milano. Due fogli inviati alla redazione de Il Secolo XIX di Genova descrivono nel dettaglio la composizione degli ordigni, e fanno riferimento a un ordigno «scatola elettrica più dinamite», del quale non si trovò mai traccia, collocato all’interno del teatro Ariston di Sanremo, dove si stava svolgendo il Festival. L’operazione, denominata «Viva Villa», con riferimento all’eroe della rivoluzione messicana e al reuccio della canzone italiana, era dedicata a Marcello Lonzi, un ragazzo morto nel 2003 in carcere a Livorno, e citava una lunga serie di detenuti anarchici, italiani, spagnoli e greci. Doveva essere «un monito al sistema del privilegio e del dominio», è ancora adesso un mistero. Sanremo venne setacciata in lungo e in largo, senza trovare nulla, e ancora oggi non si capisce se quel mancato attentato, dato come avvenuto nella rivendicazione, sia frutto di una rinuncia improvvisa o di una strategia volta a tenere sulla corda uno degli eventi più seguiti dagli italiani. Ma il documento «sanremese» contiene anche un secondo foglio, un allegato, chiamiamolo così, intitolato «Chi siamo», dove si rielaborano le linee guide dell’organizzazione, che si definisce «parcellizzata e priva di strutture». «Preferiamo adattarci a una forma federativa priva di centro decisionale — continua il testo — dove si diviene militanti solo nel momento specifico dell’azione e della sua preparazione». Nel novembre 2005 la vicenda del plico esplosivo destinato all’allora sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ha un prologo curioso. Il giorno prima dell’arrivo della lettera, spedita da Milano, una telefonata anonima a Genova annuncia la presenza di un’autobomba sotto casa della fidanzata dell’ex segretario generale della Cgil. Magari è una coincidenza, magari la conferma del fatto che la breve vita e le opere della Fai si svolgono tra queste due città, con Milano a fare da terzo lato del triangolo. L’attentato del dicembre 2009 alla Bocconi è l’ultimo di un certo spessore a venire rivendicato con questa sigla. Poi, due anni abbondanti di silenzio e di basso profilo. Fino agli spari contro l’ingegner Roberto Adinolfi, il salto di qualità enunciato per la prima volta proprio a Genova, in quell’ormai lontana riunione della Fai. I nipoti di Paperino sono cresciuti, e adesso usano la pistola. Marco Imarisio