Paola Casella Corriere della Sera 14/5/12, 14 maggio 2012
E AMLETO LEGITTIMÒ IL DUBBIO
Figura attuale non solo per il dilemma esistenziale ma anche per la (ri)definizione del ruolo maschile
«Che cosa è mai un uomo?», chiede Amleto, a se stesso e al pubblico. Non c’è domanda più attuale, in entrambi i suoi significati: che cosa rende tale un essere umano, «simile agli angeli per intelligenza» e allo stesso tempo «quintessenza di polvere», ma anche qual è la vera essenza del maschile. Con l’Amleto William Shakespeare delinea il ritratto dell’uomo moderno che si interroga costantemente su se stesso, dilaniato da quel dubbio che verrà appunto definito «amletico». La sua difficoltà nel passare dalle parole (o dai pensieri) ai fatti costituisce il motore drammaturgico della narrazione, poiché l’azione non è più veicolata dagli avvenimenti esterni, ma resta chiusa nei tormenti che agitano interiormente il principe danese. «Io ho dentro di me qualcosa che supera le possibilità di essere espresso», dice Amleto, dando voce all’incapacità di molti uomini nel trovare «le parole per dirlo».
Ciò che rende il dolce principe di Danimarca così drammaturgicamente interessante, ovvero la sua capacità di ragionare all’infinito sulla propria natura e il proprio ruolo, nonché sul senso generale della vita, è anche il suo tallone d’Achille, perché gli impedisce di buttarsi a capofitto nella vita. Il celebre monologo di Amleto, che comincia proprio con «Essere o non essere», descrive con grande accuratezza poetica il dilemma di chi non sa se e in che modo partecipare pienamente della propria esistenza, e dunque si limita a costeggiarla, o è tentato di rinunciarvi: Amleto gioca con l’idea del suicidio, ma non lo commetterà, poiché ogni suo pensiero «spaccato in quattro, serba soltanto una parte di saggezza e ben tre di vigliaccheria».
La sua autoindagine è anche specificamente maschile, ed è questa la componente più rilevante per la contemporaneità, giacché la figura virile, soprattutto nel mondo occidentale, è oggi soggetta a ridefinizione, e la scomparsa di modelli maschili convincenti rende gli uomini disorientati, continuamente costretti a reinventarsi. Amleto misura la propria virilità per contrasto, paragonandosi ad un padre scomparso che si chiama come lui e che il figlio idealizza, e confrontando il modello paterno allo zio indegno, Claudio, che si è impossessato del trono sposando Gertrude, degli usurpati rispettivamente sposa e madre.
La psicoanalisi direbbe che Claudio, uccidendo re Amleto, abbia privato il principe della possibilità di compiere quel parricidio simbolico che è passaggio necessario perché un giovane uomo entri in possesso del proprio ruolo di maschio adulto, e che, sposando Gertrude, Claudio abbia sottratto ad Amleto anche la possibilità, sempre simbolica, di sostituirsi al padre nel letto materno. Di fatto, Amleto resta privo di un esempio maschile positivo, brutalmente rimpiazzato da uno negativo: laddove il vecchio re era saggio, amorevole e leale, suo fratello Claudio è vile, lascivo e corrotto.
Eppure Amleto non riesce a passare all’azione e a impossessarsi del ruolo di «maschio alfa» nel proprio regno (o branco). Il cinema, che più e più volte ci ha riproposto la tragedia shakespeariana, l’ha fatto nel 1994 nel modo più inatteso e più efficace: attraverso un cartone animato, Il Re Leone, che raccontava il sovrano della giungla ucciso dal fratello, vigliacco e sleale, che ne usurpava il trono, ambientando proprio nel regno animale quella dinamica di potere ferina che Shakespeare inscenava nella «civile» Danimarca.
Ma anche in Danimarca (come in ogni centro di potere) «c’è del marcio», e uno Stato «evoluto» può rivelarsi una giungla popolata di traditori, spie, corrotti e corruttori, nonché di «bestie adultere e incestuose», come Amleto chiama lo zio e la madre.
«Essere onesto, in un mondo come quello in cui viviamo, significa esser qualcuno scelto in mezzo a diecimila», dice il principe, fornendo un’altra verità poetica ai contemporanei.
Il principe non spodesta l’usurpatore perché è tormentato dal proprio senso di inadeguatezza rispetto all’archetipo maschile paterno. «Non andar sempre ricercando con le palpebre abbassate il tuo nobile padre nella polvere», lo ammonisce sua madre, e Claudio definisce «non virile» il dolore di Amleto per la perdita paterna. Il principe stesso si autodescrive come pavido e debole, «stupida canaglia impastata di fango», a paragone di colui che «era un uomo, a prenderlo tutto intero». In realtà Amleto saprà agire quando avrà in mano un pugnale o una spada, ma la sua percezione di sé rimarrà sempre incerta, e il suo obiettivo sempre casuale, così come casuali saranno le morti dei suoi più odiati avversari.
La tragedia di Amleto si svolge come un’enigmatica partita di scacchi: da questa intuizione ha tratto spunto, fra gli altri, John Le Carré per il suo capolavoro La talpa (in inglese, Tinker, Taylor, Soldier, Spy, i soprannomi dei sospettati abbinati ad altrettanti pezzi della scacchiera) in cui si dubita di tutti, compreso il protagonista, e l’azione è prevalentemente elucubrazione mentale. Gli stessi personaggi dell’Amleto sembrano figure del gioco: il re, la regina, gli alfieri. Ma il gioco è manovrato dal caso e imprevedibile sarà l’esito della partita, anche per Amleto: perché, come scriveva Shakespeare nel Macbeth, «la vita è un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato». E poiché Amleto non sa se gli spetta il ruolo del re o del pedone, si chiama fuori dal gioco e assume temporaneamente il ruolo del matto, di cui è impossibile prevedere le mosse.
La difficoltà di Amleto nel definire il suo posto nel mondo e la sua identità maschile si scontra infine, e inevitabilmente, con l’altra metà del cielo: le donne. E la sua «misoginia» è un altro elemento di impressionante attualità, giacché la frustrazione del principe, che deriva in gran parte dal tradimento della madre, si riversa su una figura femminile innocente, la virginale Ofelia.
Nel suo furore Amleto fa di tutta l’erba un fascio e applica alle donne le categorie di giudizio più severe, riempiendo ogni sua frase rivolta indifferentemente a Gertrude o a Ofelia di pesanti sottintesi sessuali. Dietro al suo sciovinismo c’è quella stessa insicurezza nella propria virilità che sta alla base del suo tormento interiore, ma della quale è una donna reale a fare le spese.