Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 13/5/2012, 13 maggio 2012
Modena Sylvie Guillem è la Ballerina Assoluta. Certi superlativi andrebbero usati con cautela, ma ce ne stiamo assumendo il rischio
Modena Sylvie Guillem è la Ballerina Assoluta. Certi superlativi andrebbero usati con cautela, ma ce ne stiamo assumendo il rischio. Superlativi si nasce e in parte si diventa. Il patrimonio naturale di Sylvie è un fisico elasticissimo e sottile. Poi vi ha lavorato sopra con un accanimento impressionante, conquistando estensioni e virtuosismi prima inconcepibili e sviluppando una duttilità di ruoli senza paragoni. Ma più di tutto ha carisma: quando danza è una luce, un imporsi agli sguardi, un´avvenente anomalia. Rudolf Nureyev, che l´ha lanciata, aveva lo stesso dono. Da giovane, quand´era in scena, vedevi solo lui. Gli altri ballerini potevano scatenarsi come dannati, massacrarsi di piroette, compiere acrobazie sensazionali. Ciò nonostante era Nureyev a calamitarti gli occhi. Bastava un gesto, un passo lento, un lembo del mantello lanciato su una spalla. Con Sylvie accade lo stesso. Ha una maniera inimitabile di "prendere" lo spazio. Quel suo corpo serpentino, dai lunghi arti flessuosi, è un tracciato di pure astrazioni. Ma è anche il corpo di una donna vivida e carnale, che dà nuova linfa alle eroine del passato. È una Giselle densa di chiaroscuri, un cigno da batticuore, una Giulietta immersa nelle profondità di Shakespeare, una Manon commovente. Ha saputo filtrare i personaggi del repertorio con sensibilità femminile attuale, modificando alle radici l´immagine della ballerina classica, che in lei riemerge prosciugata da retoriche leziose. Ne ha tenuto conto la Biennale di Venezia, che quest´anno (la notizia è di ieri) le attribuirà il Leone d´oro alla carriera per la danza (consegna il 20 giugno a Ca´ Giustinian). Oggi la Guillem ha quarantasei anni, età in cui è normale, nel balletto, essere considerati anziani. Alcune strepitose stelle russe, più giovani di lei, spiccano maggiormente sul versante tecnico. Ma non c´è nessuna che le tenga testa sul piano del magnetismo e dell´intelligenza scenica. Altro che pensionabile: Sylvie è l´unica vera diva del balletto europeo. Di star del suo calibro ne nascono una ogni mezzo secolo. L´invecchiamento, comunque, non sembra la sua croce: «È ormai per me un problema assimilato e superato», confessa durante un incontro esclusivo nel camerino del Teatro comunale di Modena, dove ha ballato nello spettacolo 6000 miles away, che sarà anche presentato al Malibran di Venezia il 22 giugno. È una serata costruita apposta per lei da tre grandi coreografi, William Forsythe, Jiri Kylian e Mats Ek, e prodotta dalla stessa Guillem col Sadler´s Wells Theatre di Londra. Il titolo si riferisce all´amatissimo Giappone: al debutto londinese ottantamila sterline d´incasso vennero date alla Croce Rossa come aiuto per le vittime dello tsunami che colpì il Paese nel 2011. «Da giovane il trascorrere del tempo mi metteva più ansia», continua la Guillem. «Mi affliggeva il pensiero di dover abbandonare il mio status di ragazza. Ora sono tranquilla e ho accettato il flusso della vita: siamo tutti sulla stessa barca». Racconta di essersi pacificata anche grazie al rapporto con la natura: «Sono un´animalista piuttosto battagliera, e sostengo molto l´organizzazione dei "Gardiens de la mer", che difendono le balene e la salute degli oceani. Ho abbandonato le metropoli dove ho vissuto a lungo, prima a Parigi e poi a Londra, e ora abito sulle montagne della Svizzera. Quando non sono in tournée vi passo periodi molto belli con i miei due cani pastori e il mio gatto, un randagio presentatosi un giorno alla mia porta per farsi adottare». Sylvie vive con il marito, il grande fotografo Gilles Tapie, che le sta accanto da molti anni, e sul quale, da accentratrice, non intende spendere una parola («Perché mi chiede di lui? È un´intervista su di me o su mio marito?»). È stato Tapie a insegnarle a fotografare. Qualche anno fa una serie di suoi autoritratti, immagini stupende che si scattò da sola allo specchio, completamente nuda, suscitò scalpore: «Avevo voglia di fotografare me stessa, e non sono stata a riflettere un istante sul vestito da indossare. Noi danzatori abbiamo un rapporto speciale con il corpo. Ce ne occupiamo in continuazione, spesso lo sentiamo dolorante, cerchiamo di curarlo e massaggiarlo, passiamo il tempo a spogliarci e a rivestirci. Siamo persone-corpo. Per questo mi sembrò logico essere nuda. Non mi sono mai detta: faccio dei nudi. Piuttosto scattai delle foto ed ero nuda». Ha doti rare Sylvie, con quella sua fisicità contorsionistica e sensuale che ne ha fatto il modello principale di danzatrice avveniristica e in grado di fare tutto, dalle punte classiche al moderno, dai video-sperimentalismi ai giochi teatrali di registi quali Bob Wilson e Robert Lepage, dal glamour dei balletti di Béjart (che inventò per lei gloriosi affreschi come Sissi, ritratto-fiume dell´imperatrice Elisabetta d´Austria) al contemporaneo di Akram Khan e di Russell Maliphant. Benché oggi ci appaia come una predestinata, il suo ingresso nel firmamento della danza fu casuale: «Ero una piccola ginnasta, figlia di un´insegnante di ginnastica e selezionata per la squadra olimpica francese. Da quell´équipe scelsero un giorno le tre ragazzine più brave per mandarle alla scuola di ballo dell´Opéra di Parigi, instaurando una specie di scambio. Loro dovevano insegnarci più femminilità, noi dovevamo trasmettere loro più vigore atletico. All´Opéra videro il mio potenziale e mi fu offerta una borsa di studio». Accettò senza sentire alcuna vocazione: «All´epoca detestavo il balletto. Il primo spettacolo al quale mi capitò di assistere fu una Coppelia ridicola e noiosa. Mi pareva una dimensione assurda con i suoi tutù, le sue coroncine, le sue trame fumose, le sue protagoniste edulcorate e sceme. Avrei impiegato anni per scoprire, per esempio, che Giselle, di cui nel ´98 ho anche firmato una versione coreografica per il Balletto nazionale finlandese, è la storia appassionante di una donna che regala tragicamente a un uomo la sua purezza e arriva a morire per lui. Bisogna far vibrare il personaggio, dare significato e timing a ogni azione, costruire un processo credibile dal punto di vista drammatico». Sylvie aveva sedici anni quando entrò a far parte della compagnia dell´Opéra e diciannove quando Rudolf Nureyev, che all´epoca dirigeva la compagnia parigina, la fece étoile eleggendola sul campo subito dopo un´esibizione memorabile nel Lago dei cigni. Con Nureyev ebbe una relazione artistica fortissima, ricca di conflitti e sintonie: «Eravamo entrambi impulsivi, violenti, generosi, egocentrici… Quando lasciò la Russia, Rudy era un ragazzo selvaggio e fuggiasco. Poi, quando in Occidente tutti presero a idolatrarlo, emersero in lui aspetti viziati e capricciosi. Ma aveva un istinto fantastico e a Parigi è stato un formidabile direttore di compagnia. Cambiò l´Opéra riempiendola di aria nuova. Vi portò coreografi come Forsythe e registi come Wilson, e lanciò i giovani migliori dell´ensemble infischiandosene delle convenzioni burocratiche sulle nomine. Nutrivo per lui un´ammirazione sconfinata». Eppure nell´88 lo piantò per emigrare a Londra, come guest-star del Royal Ballet. La sua partenza (definita da un titolo di Le Monde una «catastrofe nazionale») fu vissuta in Francia come un vero e proprio caso, il cui punto culminante venne raggiunto quando il ministro della Cultura Jacques Lang dovette rispondere della fuga di Sylvie in un´interrogazione parlamentare. Nureyev se la prese a morte, reagendo all´abbandono con la rabbia di una belva ferita. «Da direttore della compagnia era naturale che si arrabbiasse», commenta lei. «Ma come artista mi capiva, ne sono certa. Sapeva che io sentivo il bisogno di cambiare spazio e che ero in cerca di esperienze nuove». Il lungo ciclo di lavoro al Royal Ballet alimentò la sua fama di dea altezzosa, ribattezzata dalla stampa inglese "Mademoiselle Non". A Londra non concedeva interviste, non posava per le foto, litigava con i costumisti perché voleva adattarsi i costumi da sola o indossarne di propri e a volte modificava addirittura i passi delle coreografie. Ma per la genialità delle interpretazioni le si perdonava tutto. E quando, nel ´90, tornò all´Opéra di Parigi per tre recite della Manon di Kenneth MacMillan, l´atmosfera, in teatro, era quella elettrizzata di un concerto pop. Oggi Sylvie Guillem è un´artista che vola libera, ed è lei il motore dei propri progetti, spesso artisticamente avventurosi. Sceglie di danzare con i coreografi più innovativi, ed è ballerina ospite in alcune tra le massime compagnie internazionali, come il Tokyo Ballet, con cui da tempo porta in giro per il mondo un festeggiato programma di coreografie siglate Maurice Béjart, «uno degli autori che mi ha insegnato di più, insieme a Mats Ek e a William Forsythe». Fuori di scena ha un volto dai lineamenti delicati, senza un filo di trucco, e conversa con un tratto che è al contempo timido e aggressivo. Diventa sprezzante quando parla della «contraffazione inseguita dalle donne odierne, fissate con i rifacimenti e con i lifting. Cose che non comprendo. La bellezza non è assenza di rughe. È lo sguardo sugli altri, è l´intensità del sentire, è la capacità di continuare a stupirsi».