Benedetta Tobagi, la Repubblica 13/5/2012, 13 maggio 2012
L´azione terroristica è per sua natura l´opposto del metodo democratico, l´abbiamo già scritto
L´azione terroristica è per sua natura l´opposto del metodo democratico, l´abbiamo già scritto. Ma sorprende scoprire fino a che punto il volantino di rivendicazione diffuso dal Fai renda esplicito questo punto. e grondi disprezzo per le forme di protesta e dissenso che non violano il codice penale, definite, sprezzantemente "cittadinismo". In apertura, ripercorrendo la carriera dell´ingegner Adinolfi, scrivono: "Prima che il nucleare cadesse in disgrazia". Così, quasi con fastidio, alludono alla vittoria dei sì nel referendum popolare contro il nucleare del giugno 2011, quello sì efficace nel bloccare la costruzione di centrali nucleari in Italia, ben più degli attentati dimostrativi, quasi gli avesse rotto le uova nel paniere. Gronda disprezzo per "la coltivazione di un orticello di democratico dissenso", per i "cittadini indignati", che non considerano un referente. Un modo arrogante di volersi elevare al di sopra del gregge che ricorda molto da vicino la retorica elitista dell´estrema destra, con il suo disprezzo per il bubbone pestifero della democrazia e la sua fascinazione per le armi e l´azione violenta. Non ci sono punti di contatto con il brigatismo storico. Rispetto alle rivendicazioni del terrorismo di sinistra, l´unico tratto comune è la sezione biografica dedicata all´obiettivo, che vuole giustificarne la scelta. Visto che il programma nucleare italiano è bloccato, al capro espiatorio Adinolfi viene imputata la responsabilità dell´esistenza di centrali nucleari oltre confine. Il linguaggio della Fai è semplice, post-ideologico, a tratti sgrammaticato ("la tua fisica c´è lo insegna"). I riferimenti alla retorica veteromarxista sono appena orecchiati (la marxiana "critica delle armi" contro "l´arma della critica"). Nulla a che vedere con il linguaggio delle vecchie BR. I volantini delle BR erano prolissi, interminabili, si proponevano come brevi saggi di marxismo-leninismo rivoluzionario, articolati in paragrafi, talvolta dotati di un sommario. Si appoggiavano su un´ossatura teorica (per quanto scollata dalla realtà storico-sociale), abbondavano di speculazioni sui soggetti che immaginavano trovarsi in campo, come il fantomatico Stato Imperialista delle Multinazionali e gli "agenti della controguerriglia" dei vari organi dello Stato, si lanciavano in analisi macchinose del ruolo e della politica del PCI e della DC (basti pensare ai comunicati del sequestro Moro): ricordiamo che miravano a un riconoscimento politico, un´aspirazione che non pare nell´orizzonte della FAI. Abbondavano di un´ampollosa pedagogia. Un breve assaggio? "Occorre farsi carico da parte del Partito Comunista Combattente, per ogni segmento di classe e approfondendo l´analisi delle lotte rivista alla luce della necessita´ di elaborare i programmi immediati , della capacita´ immediata di ciascuna componente di lottare per i propri bisogni" (da un documento della direzione strategica del 1980, citazione che bene illustra anche la tendenza all´astrazione, il lessico altisonante e la sintassi contorta cara ai vecchi terroristi). I volantini brigatisti impressionavano per la freddezza burocratica e il tono gelidamente impersonale, mentre la FAI si esprime in modo assai più emotivo e colloquiale, esprime un forte sentimento di rivalsa. L´impressione più forte è che occorra interpellare psicanalisti e criminologi piuttosto che i brigatologi. Ad esempio, per intendere il significato dell´insistenza sul godimento fisico dell´azione violenta (che degli anni Settanta ricorda il brivido al calarsi il passamontagna di negriana memoria). Esiste un punto di contatto esistenziale e antropologico, anziché politico-ideologico, con la stagione del terrorismo diffuso a cavallo tra la fine degli anni Settanta e l´inizio degli anni Ottanta. Stajano parlò di nichilismo per esprimere l´essenza di Prima Linea. Mio padre, Walter Tobagi, scrisse il 26 gennaio 1980, dopo l´ennesimo agguato brigatista: "vogliono i morti per sembrare vivi". Fortunatamente finora c´è stato solo un ferimento, ma è scioccante trovare esplicitata l´ebbrezza di uscire dall´"alienazione" (doveroso porre il termine tra virgolette, in quanto i nuovi anarchici lo utilizzano in un´accezione che non ha a che vedere con il concetto di alienazione marxiano propriamente detto), non "crepare lentamente" senza aver mai impugnato un´arma o colpito un oppressore. Non cercano consenso, vogliono affermare se stessi contro gli altri. Hanno bisogno di esistere e sentirsi vivi attraverso la violenza contro un nemico prescelto, mostrando a se stessi e al resto del mondo anarchico di saper superare la paura di impugnare una pistola, la loro "prova di coraggio", come in una sfida tra bande rivali. Da questo ricavano un godimento, oltre al senso: "Nessuno, neppure voi, potrà toglierci il piacere che oggi proviamo ad aver realizzato pienamente e vissuto qui e oggi la nostra rivoluzione". Quale rivoluzione? Si tratta, evidentemente, di una rivoluzione tutta individuale. Nel mondo fuori c´è solo un uomo ferito. Il fine principale, più che il ritorno a un´immaginaria "età dell´oro" in cui l´umanità viva (come non si sa) senza la scienza e la tecnologia maligne, pare l´evadere dalla frustrazione e dall´impotenza. Anche se - lo scrivono loro - si sanno già sconfitti. Il gesto violento vale in sé. Oltre al nichilismo, dal volantino trapela un narcisismo patologico, il male tipico della società consumista di cui gli attentatori si proclamano avversari. Quanto compiacimento, nell´immaginarsi oggetto di ipotetici saggi che ricostruiranno le loro gesta, la loro sconfitta! Criticano "la spettacolarizzazione dello scontro con le relative manipolazioni mediatiche". E qui ci soccorre il saggio sulla negazione di Freud. "Non c´è retorica né spettacolo" nell´azione, scrivono. Davvero? Nella teatralità di un´azione che ha conquistato i riflettori mettendo scena una replica delle gambizzazioni brigatiste in un luogo denso di rimandi storici e simbolici come l´Ansaldo di Genova? Nel modo in cui costruiscono la suspence facendo attendere i media famelici ben cinque giorni prima di diffondere il volantino di rivendicazione (il testo non giustifica una gestazione così lunga), preannunciando sette nuovi colpi? No: questa rabbia appare ben consapevole dei meccanismi della società dello spettacolo.