Monica Guerzoni, Corriere della Sera 13/5/2012, 13 maggio 2012
MILANO — A
quante non è mai capitato di spedire il partner sul divano, telecomando in mano, pur di non vederlo ciondolare inutilmente mentre voi vi districate tra lavastoviglie e sacchi della differenziata dopo una cena con gli amici? E quante, piuttosto che spiegare per filo e per segno come preparare la minestrina per il nonno, riempire lo zaino per la bambina, caricare la lavatrice dei colori misti (senza ritrovarsi dopo con una bella collezione Arlecchino), non hanno preferito rubare il tempo e fare tutto da sole, acrobate e scontente, ma almeno i vestiti nuovi sono salvi?
Partire da qui è importante. Perché se ieri il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha ribadito che «la conciliazione non è solo un tema femminile, ma anche maschile: gli uomini dovranno fare di più in famiglia», e se oggi il 71,3 per cento del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne (dati Istat dal «Rapporto sulla coesione sociale 2011»), qualche domanda dobbiamo farcela anche noi. E in particolare riflettere su quanto dice il sociologo Enrico Finzi: «Non diamo la colpa soltanto agli uomini se c’è ancora un problema gravissimo legato alla distribuzione della cura della casa e di chi ci abita. Esiste una millenaria resistenza femminile a delegare ai maschi. C’è una componente di vischiosità storica in cui spesso sono gli schiavi a essere contrari al cambiamento. Molte donne dicono: "Fatti più in là, sono più brava di te"».
I maschi, soprattutto i giovani padri o i neopensionati (costretti dalle mogli a darsi da fare, e poche storie!), in realtà ce la stanno mettendo tutta. Spiega Finzi: «Gli uomini si stanno impegnando di più, ma nelle funzioni più divertenti: far giocare i bambini, portarli a scuola o alla partita. Ma la gestione della malattia o pulire sederini rosa è ancora appannaggio della madre». E, guarda caso, è di appena il 6,9 per cento la quota di padri che in Italia si prende un congedo parentale di almeno un mese. Mentre negli Stati Uniti — notava l’altro ieri il Wall Street Journal — il 32 per cento dei papà con mogli lavoratrici si occupa dei figli sotto i quindici anni con tale zelo che il titolo dell’articolo era rivelatorio: «Sono i papà le nuove mamme?».
Il punto è che adesso la crisi richiede uno sforzo supplementare anche nel tinello. Il ministro Fornero insiste sulla conciliazione «maschile» non (sol)tanto spinta dalla solidarietà femminile. La sua analisi è molto concreta. Dice: «Oggi tutto il compito di cura di genitori anziani e figli è sulle spalle delle donne. Bisogna alleggerire questo peso e servono servizi per i disabili e per gli anziani. Il problema è che poco può essere fatto tramite il sistema pubblico perché occorre contenere la spesa». Dunque non ci possiamo più permettere un marito pigro, perché il suo tempo libero (di sicuro lavora un’ora e 3 minuti in meno di una donna, un’ora e 15 se ci sono figli) diventa indispensabile a contenere i costi di tutti. Anche sociali.
«L’uomo che aiuta in casa è l’uomo che aiuta nella vita: accetta, non abusa della sua compagna, non teme di rivisitare la propria identità», mette in evidenza la psicoterapeuta Vera Slepoj. Purché l’aiuto vada oltre il portare giù la spazzatura (lo fa sempre il 25,8 per cento dei maschi), apparecchiare e sparecchiare (qui è un trionfo: secondo l’Eurispes se ne occupa «frequentemente» il 53 per cento), fare il bucato (19,4 per cento) o le pulizie (ha dell’incredibile che il 32,4 per cento non rifaccia mai il letto).
«Da quando è nata Lucia, tre anni fa, ho imparato a cambiare i pannolini, a trasportare mia figlia in macchina dall’altra parte della città per permettere alla mamma di allattarla, a svegliarmi di notte per accudirla. Certo, mai tante volte quanto sua madre», interviene lo scrittore Antonio Scurati. Il tema della conciliazione lo sente molto, perché tante sue amiche, compresa la moglie, con la combinazione maternità-crisi hanno dovuto smettere di lavorare. «Apprezzo il richiamo del ministro alla responsabilità maschile. La buona volontà del singolo, però, non basta di fronte al deficit di asili nido o all’impossibilità di cambiare i pannolini sui treni».
Elvira Serra