Enrico Marro, Corriere della Sera 13/5/2012, 13 maggio 2012
ROMA —
Da raro esempio di efficienza della Pubblica amministrazione a bersaglio della protesta contro il fisco oppressore. La percezione di Equitalia è cambiata con l’aggravarsi della crisi economica. Contro la società creata nel 2005 dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è montato negli ultimi due anni un risentimento che dalla strada è salito al Palazzo. Molti lo hanno dimenticato ma giusto un anno fa, alla Camera, una risoluzione presentata dal Pdl che impegnava il governo ad allentare le cosiddette ganasce fiscali, fu approvata anche con i voti del Pd mentre la Lega già da mesi agitava le piazze contro gli esattori «colpevoli» di pretendere il pagamento delle multe sulle quote latte.
Eppure fino a un paio d’anni fa era difficile parlar male di Equitalia. Se non altro perché era fresco il ricordo del disastro che c’era prima. Fino al 2005 la delicata attività di riscossione dei tributi e contributi evasi — parliamo, è bene non dimenticarlo, di almeno 120 miliardi di euro all’anno — era affidata in concessione a una quarantina di enti, operanti su base provinciale, di proprietà di banche e società private. Un sistema che faceva acqua da tutte le parti: incassava pochissimo (meno di un miliardo l’anno nel triennio 2000-2002), nonostante impiegasse 10 mila persone. E non si contavano gli episodi di corruzione e gli scandali, per non parlare degli intrecci con la criminalità organizzata (il caso più famoso, quello dei cugini Salvo in Sicilia).
A Tremonti venne allora l’idea di nazionalizzare il sistema, acquistando le concessionarie per dar vita a un’unica società pubblica (51% dell’Agenzia delle entrate e 49% dell’Inps), prima chiamata Riscossione spa (dall’ottobre 2006 a marzo 2007) e poi Equitalia. I risultati furono clamorosi. A guidare la nuova creatura Tremonti mise Attilio Befera come presidente e Antonio Mastrapasqua come vice. I due strinsero un ottimo rapporto di collaborazione e incrociarono con profitto le banche dati delle loro strutture di provenienza, l’Agenzia delle entrate e l’Inps. Infine, il ricorso a misure coattive di riscossione (pignoramenti, fermi amministrativi), messe a disposizione dalla legge, fece il resto. E gli incassi schizzarono. Dai 3,8 miliardi del 2005 agli 8,9 miliardi del 2010, ha certificato la Corte dei Conti.
Certo l’aggio che Equitalia trattiene per sé è molto alto: il 9%. Colpa anche del fatto che la nuova società prese in carico il personale e i costi eccessivi della vecchie concessionarie. Oggi Equitalia ha circa 8 mila dipendenti. Nel 2011, secondo il consuntivo dell’Agenzia delle entrate, gli incassi totali da lotta all’evasione sono arrivati a 12,7 miliardi. Per il 2012 l’obiettivo è fare di più. Giovedì l’Agenzia e il suo braccio operativo, Equitalia appunto, riceveranno la visita del presidente del Consiglio, Mario Monti. Che riaffermerà il pieno sostegno del governo all’azione svolta da Befera e dai suoi uomini, oggetto di 270 atti di intimidazione nell’ultimo anno.
Come se non bastassero i tanti fronti aperti, nelle ultime settimane se n’è aggiunto uno con i sindaci e la loro associazione, l’Anci. La polemica riguarda la riscossione dei ruoli degli stessi Enti locali: multe, tasse sui rifiuti, Ici e altri tributi locali evasi. I Comuni accusano Equitalia di trascurare questo settore perché poco redditizio rispetto al recupero dell’evasione sulle imposte nazionali e sui contributi previdenziali. Tanto vale, aggiungono, disdire i contratti con la stessa Equitalia e farsi una propria società di riscossione, meno costosa, cioè con un aggio inferiore, e più comprensiva verso le famiglie e le imprese in difficoltà.
Equitalia replica che fin dal 1997 i Comuni possono organizzarsi autonomamente (infatti ce ne sono centinaia che lo fanno) e che anzi dal 2013, come prevede la legge, saranno obbligati a farlo. A dire il vero il divorzio doveva scattare da quest’anno, ma sono stati i sindaci a chiedere la proroga di un anno. Equitalia non vede l’ora di disfarsi delle cartelle dei Comuni, perché zeppe di errori (classico l’esempio della multa già pagata) e fanno infuriare i cittadini. I sindaci sono terrorizzati dal fatto che Equitalia restituirà loro «tra gli 8 e i 10 miliardi di euro di ruoli ancora da riscuotere», stima l’Anci, di cui un miliardo vicino alla prescrizione che potrebbe presto trasformarsi in perdite nei bilanci. Quanto all’essere comprensivi verso chi ha difficoltà a pagare, il decreto salva Italia e successivi provvedimenti hanno stabilito che si può ottenere, con una semplice richiesta motivata, la rateizzazione dei debiti fino a 20 mila euro (prima il tetto era di 5 mila) mentre per quelli superiori una rateizzazione fino a 6 anni se si dimostra il peggioramento della propria situazione economica. Inoltre, si può chiedere un piano di ammortamento a rate crescenti, in modo da pagare meno all’inizio. Il pagamento a rate, a differenza di prima, blocca le ipoteche (che in ogni caso non verranno più messe sugli importi fino a 20 mila euro) e consente alle imprese di partecipare alle gare d’appalto. Un’altra mano tesa potrà arrivare con la possibilità di compensare i crediti verso la Pubblica amministrazione con i ruoli esattoriali. Ma tutto questo non basterà mai a chi ha evaso e non vuole pagare.
Enrico Marro