Sergio Rizzo Corriere della Sera 13/5/2012, 13 maggio 2012
Gli scandali. I veleni. Le inchieste della magistratura. Il bilancio in profondo rosso. Perfino un aereo Sukhoi, frutto di una joint venture con i russi, caduto in Indonesia
Gli scandali. I veleni. Le inchieste della magistratura. Il bilancio in profondo rosso. Perfino un aereo Sukhoi, frutto di una joint venture con i russi, caduto in Indonesia. Ma la cosa più terribile è la vicenda di quel dirigente dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi, gambizzato come ai tempi tragici del terrorismo. Condita di minacce inquietanti. Non ricordo una rivendicazione simile, nemmeno nei momenti più bui: è la Finmeccanica a essere nei mirino. Sa darsi una spiegazione, ingegner Orsi? «Ai duemila dirigenti incontrati ieri ho chiesto di continuare come prima a fare il proprio lavoro per il rilancio del gruppo. Finmeccanica è una grande risorsa per il nostro Paese. E non saranno le minacce a farci desistere dal contribuire con la nostra tecnologia allo sviluppo dell’Italia». Lo sciagurato episodio c’entra qualcosa con le tensioni che si stanno creando a Genova per il vostro annunciato disimpegno dell’Ansaldo? «Mi auguro di no. Spero che non si ritorni a un tragico passato. Ma vede, quando si presenta la Finmeccanica come il regno del male… Nulla a che vedere con quel fatto, sia chiaro. Forse però l’azienda avrebbe bisogno di essere citata anche per quello che fa. È una realtà di altissimo profilo». Anche un po’ acciaccata: cominciamo dall’Alenia? «In Alenia c’erano dei problemi per effetto di valutazioni ottimistiche, in Turchia si erano venduti prodotti con costi di produzione superiori ai prezzi di vendita». Per non parlare di quel problemino con le commesse Boeing che vi è costato quasi 800 milioni. «Vero. Aggiungo che c’era una struttura industriale con costi non sostenibili. È stato necessario convertire la produzione da programmi prevalentemente militari a civili. Per esempio, stiamo pensando a un nuovo Atr». E i russi? «Se si riferisce alla Sukhoi, quell’aereo da 100 posti ha un senso, ma non abbiamo ancora deciso se partecipare allo sviluppo di un velivolo più grande». Passato Silvio Berlusconi è svanito anche il feeling con Vladimir Putin? «Diciamo che la nostra strategia negli aeroplani guarda più a Francia e Stati Uniti». Adesso la guarda da Venegono Superiore: il paese del Varesotto dove ha trasferito la sede legale da Pomigliano d’Arco. Un favore alla Lega Nord che l’ha aiutato a diventare amministratore delegato? «Lo escludo. Avevamo l’esigenza di creare un polo militare e uno civile. A Torino abbiamo messo il militare, a Napoli il civile, a Venegono Superiore la sede legale. Lì c’è l’Aermacchi, c’è la storia e la tradizione dell’aviazione italiana. Tutto qua». Non mi ha convinto. «Se avessi voluto fare un favore alla Lega, avrei portato a Venegono non la sede legale, ma il polo militare e la funzione corporate». Ricorda i ministeri a Monza? «Non mi sembra un paragone calzante». Ci spieghi allora com’è arrivato fin qui. «Certo. Per i risultati ottenuti alla guida di Agusta, l’azienda migliore di Finmeccanica. Guarguaglini aveva preparato per la successione una rosa di tre nomi, tra cui il capo di Ansaldo Energia Giuseppe Zampini e il sottoscritto. So che lui puntava su Zampini, ritenendo che garantisse continuità». Non aveva fatto i conti con Tremonti e la Lega. «La Lega c’entra, ma solo per questioni di territorio». Già. Roberto Maroni ha detto che lei è più vicino all’Udc. Ma nemmeno una telefonata? «Lavoro da quarant’anni in questo territorio. Con le istituzioni abbiamo creato il distretto aeronautico. Trovo naturale che, se gli amministratori locali hanno speso una telefonata, l’abbiano fatta per me. È noto che a Genova hanno sostenuto Zampini». Magari ha telefonato il presidente leghista della Provincia di Varese, Dario Galli. Che è pure consigliere di amministrazione della Finmeccanica: a proposito, trova normale una cosa del genere? «Galli è un ingegnere, ha lavorato all’Aermacchi. La sua competenza è indiscutibile». Non ne dubito. Ma bastasse quella… Ha qualche idea del perché un gruppo internazionale prestigioso come Finmeccanica si sia dovuto rivolgere all’editore dell’Avanti Valter Lavitola per far comprare a Panama sei elicotteri della sua Agusta? «Non le so rispondere. Non ho mai conosciuto Lavitola. L’operazione con Panama è stata gestita all’epoca direttamente da Finmeccanica, che ha dato istruzioni ad Agusta e ad altre aziende del gruppo su quali contatti locali avvalersi». E non è stato neppure l’unico. Possibile che un’azienda di questo calibro si sia servita di simili personaggi? «Confesso di essere rimasto sorpreso. Non mi era noto. Posso solo dire che in Agusta non abbiamo mai avuto relazioni con personaggi non professionisti o attività non chiare». Conosce Guido Ralph Haschke, quel signore svizzero che avrebbe gestito compensi di mediazione per decine di milioni di euro in una vendita di elicotteri all’India? «Ha lavorato per Agusta, presentatoci da Finmeccanica come esperto d’affari internazionali. I rapporti con Haschke sono stati oggetto di rigorosa valutazione da parte degli organismi di controllo interni. Ogni movimento finanziario con lui è regolarmente registrato nella contabilità aziendale. Posso escludere, inoltre, che Agusta Westland abbia mai pagato ad Haschke compensi di intermediazione relativi alla gara per gli elicotteri in India». Si è parlato di 41 milioni che sono poi diventati 51. «Vi sono indagini in corso. Per rispetto del lavoro della magistratura, mi permetta di non aggiungere altro». Allora mettiamola così: c’è una prassi internazionale in base a cui si pagano compensi del genere? «Per le forniture militari esistono regole specifiche: in alcuni Paesi i compensi di intermediazione sono legittimi, in altri no. Non c’è nulla di misterioso». E quelle regole non possono essere state aggirate, come forse sospettano i giudici, magari durante la precedente gestione? «Mi auguro non sia mai accaduto. Sia chiaro: se per qualche persona che si è comportata scorrettamente si vuol far passare l’idea che quello della Finmeccanica fosse un sistema di malaffare, non ci sto». Ho letto che qui dentro qualcuno preparava dossier contro di lei. «L’ho letto anch’io e non è normale. Come non lo è che un alto dirigente dichiari di essersi fatto dare qualche milione dai fornitori dell’azienda, soldi poi regolarizzati con lo scudo fiscale, e lo dichiari in televisione». Allude al braccio destro di Guarguaglini, Lorenzo Borgogni. Possibile che in un gruppo così grande e articolato decidessero tutto loro? «Con il mio arrivo sono uscite 45 persone che occupavano ruoli di primaria responsabilità. La verità è che la gestione di Finmeccanica era molto verticistica, anche se nel gruppo c’erano aziende assai indipendenti, come l’Agusta». Borgogni ipotizza una stecca di 10 milioni per la Lega dalla commessa indiana. «È assurdo, oltre che assolutamente falso». Assurda pure la storia delle sei Maserati per la commessa della Fiat? «Quella, poi... Esiste un regolare contratto firmato con il gruppo Fiat. Gli abbiamo venduto elicotteri e contestualmente abbiamo comprato le Maserati. Uno scambio normalissimo di made in Italy». Scusi, ma che ci fate con sei Maserati? «Sono per uso di rappresentanza aziendale». Le risulta che i guai di Finmeccanica siano legati ai 4 miliardi di euro spesi per comprare l’americana Drs? Un prezzo folle: il 32% più delle quotazioni di Borsa. Tremonti era contrarissimo. «Fosse dipeso da me, avrei preferito comprare una società di elicotteri, per diventare così il più grande produttore mondiale. Difficile giudicare ora se il prezzo era giusto, anche se abbiamo dovuto svalutare la partecipazione di 700 milioni. Certo Finmeccanica aveva la necessità di entrare nel mercato americano». Comprando un’azienda nella quale per ragioni di sicurezza gli italiani non possono mettere il becco? «Considero un valore il fatto che Drs sia gestita da amministratori graditi al governo americano. Noi non possiamo dare ordini, è vero. Ma sediamo in un board parallelo in cui esaminiamo tutta la parte economica e di programma. Possiamo far presenti gli interessi di Finmeccanica, che però non devono essere contrapposti a quelli del cliente americano. D’altra parte vorrei ricordare che per avere le commesse del Pentagono la britannica Bae si è dovuta trasformare in un’azienda statunitense». Sa che la crisi taglierà le commesse militari? «Finmeccanica si sta spostando verso il civile nell’aeronautica, negli elicotteri, in tutte le applicazioni che derivano dagli sviluppi militari. Vogliamo cambiare l’equazione Finmeccanica uguale azienda militare in Finmeccanica uguale azienda ad alta tecnologia». Intanto però sta abbandonando energia e ferroviario: il civile per eccellenza. «Siamo una conglomerata vastissima. Nessuno dei concorrenti opera in tutti i nostri campi». Si dice da vent’anni. «Vent’anni fa il mondo non era così competitivo. Quindi dobbiamo avere prodotti eccellenti e competitivi. Ma non siamo in grado di sostenere la ricerca e gli investimenti in tutti i settori in cui oggi operiamo. Nell’energia, per esempio, non abbiamo le dimensioni critiche per sviluppare una nuova turbina. Ecco perché stiamo valutando diverse opzioni, sia con soci industriali che finanziari». Per Zampini vendere è un grosso errore. «Bisogna essere molto realisti. Abbiamo fatto un piano di ristrutturazione del settore ferroviario, ma Ansaldo Breda non ha dimensioni di scala né di mercato accettabili. A tutti ho spiegato che non vogliamo lasciare il ferroviario perché non ci piace, ma perché non ce lo possiamo più permettere. L’alternativa è la chiusura. L’uscita da questi settori è per noi strategica. Posso dire che nei colloqui stiamo privilegiando chi garantisce il mantenimento delle strutture produttive e l’occupazione in Italia». È vera la voce secondo cui anziché vendere Finmeccanica pensava addirittura di acquistare un’azienda ferroviaria privata, la Firema? «Quando sono arrivato c’era in effetti sul tavolo quel progetto, che ho subito accantonato». Posso chiedere perché un gruppo che si deve rinnovare profondamente ha nominato presidente di una delle sue aziende di punta, l’Alenia, un signore di 81 anni? «La inviterei a bere un caffè con Amedeo Caporaletti. Avrebbe qualche sorpresa, a proposito dei suoi 81 anni». Sergio Rizzo