Federico Fubini, Corriere della Sera 13/5/2012, 13 maggio 2012
Quando la Bce a inizio mese ha spostato i suoi ventitré governatori a Barcellona, c’è stato un fuori programma diverso dal solito
Quando la Bce a inizio mese ha spostato i suoi ventitré governatori a Barcellona, c’è stato un fuori programma diverso dal solito. D’abitudine, quando si ritrovano fuori sede, le donne e gli uomini dell’Eurotower si concedono una serata da turisti. Stavolta però il ministero dell’Interno di Madrid ha consigliato loro di evitare uscite che potessero creare problemi, in una città che è stata culla degli «indignados». L’inizio estate dell’euro si presenta troppo delicato. Senza renderlo noto, il consiglio dei governatori ha preferito una serata in società di tipo diverso. Il terzo giorno ha ricevuto per cena un ospite d’eccezione: il nuovo premier spagnolo, il conservatore Mariano Rajoy. Con lui il presidente Mario Draghi e i suoi colleghi della Bce hanno parlato del futuro delle banche iberiche, e se già questo venerdì il governo di Madrid si è affrettato a presentare il suo piano per risanarle non dev’essere del tutto un caso. In questo scorcio di inizio estate la successione degli eventi si fa sempre più serrata in Europa. Quell’incontro a cena con Rajoy è stato il colpo d’avvio alle settimane che possono decidere molto dell’assetto futuro della moneta unica. Da adesso a fine giugno il calendario di tutto ciò che può andare per il verso giusto — o meno — è così fitto che questa fase sarà comunque uno spartiacque. La credibilità dell’ultimo programma per creare fiducia sulle banche spagnole è solo uno dei test da ora a fine giugno. Non è neppure il più difficile, malgrado lo scetticismo che circonda le mosse di Rajoy. Più delicato è quanto accadrà in Grecia. Dopo le politiche di una settimana fa, sono falliti i tentativi di formare un governo che accetti le condizioni per il prestito internazionale da 174 miliardi di euro. Se dovesse continuare così, com’è probabile, si apre la strada per un nuovo voto in Grecia già il mese prossimo. E le prospettive restano fragili: oggi Syriza, il cartello della sinistra radicale uscito secondo dal voto, sarebbe primo con il 23%. Il suo leader, il 37enne Alexis Tsipras, dice di voler rinunciare al salvataggio, nazionalizzare le banche e congelare i rimborsi sul debito. Per la Grecia, in questo caso, si aprirebbe subito la strada del default e dell’uscita dall’euro. Molti ormai, a partire dal presidente della Commissione José Manuel Barroso, in pubblico prendono sul serio questo scenario. Ma per ora è solo un modo per mettere pressione sui greci. Da Barroso a Draghi, tutti capiscono che se l’unione monetaria perdesse un pezzo lo choc potrebbe essere più violento di quello dei tempi di Lehman. «Un euro in una banca spagnola o italiana non sarebbe più visto come uguale a un euro in una banca tedesca», osserva uno degli uomini più coinvolti nella gestione della crisi. Non che la Grecia o la Spagna esauriscano da sole il calendario di giugno. In Francia a metà mese si vota per le politiche e tutti sperano che il neopresidente François Hollande abbia una maggioranza che gli permetta di gestire i problemi in vista. Poiché il deficit è fuori rotta, la pressione su Parigi sta già salendo. La Francia è sotto osservazione da parte di Moody’s: molti fra i negoziatori europei prevedono che l’agenzia di rating americana toglierà a Parigi la «tripla A» sul debito. È in queste condizioni che Hollande cercherà di entrare nel dialogo, avviato da mesi, fra Germania e Italia. Da tempo il ministro degli Affari europei Enzo Moavero Milanesi lavora con Nikolaus Meyer-Landrut, consigliere di Angela Merkel, su un piano per la crescita. I risultati più chiari si dovrebbero vedere per il vertice europeo di fine giugno, ma anche su questo non mancano le incognite. La prima è immediata: oggi si vota in Nord Renania-Vestfalia, il Land più grande della Germania; per la coalizione di Merkel è annunciata una sconfitta e molti aspettano di capire che impatto avrà sulla sua capacità di manovra in Europa. Ma è l’altra chiamata alle urne di questa fase quella più rischiosa, perché stavolta tocca agli irlandesi. Dopo aver bocciato due volte per referendum i Trattati europei negli ultimi dieci anni, ora dovranno pronunciarsi sulle norme di bilancio del «fiscal compact». Anche questo voto, come in Grecia, è un voto sui sacrifici già fatti e quelli da fare. Comunque vada a finire, è probabile che anche questo passaggio sia stato segnato sul calendario della Bce fin dalla sua uscita di Barcellona. Quei ventitré governatori in missione, dopotutto, sono i soli in Europa che possono aprire una rete di sicurezza. Specie se giugno si rivelerà un mese troppo intenso. Federico Fubini