Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 04/05/2012, 4 maggio 2012
ORTI DI ROMA ANTICA
Prima ancora dei colori è il profumo ad annunciare le fioriture. Salendo per il viottolo che sul Palatino si snoda verso agli Orti farnesiani, già si percepisce l’ odore intenso dei fiori d’ arancio e delle rose. Arriva dai giardini, ricreati in mezzo agli antichi palazzi imperiali, dalla studiosa di botanica Annamaria Ciarallo, dall’ architetto Giuseppe Morganti e dall’ archeologa Maia Antonietta Tomei in occasione della mostra «Orti e giardini. Il cuore di Roma antica», che si inaugura domani e resterà aperta per tutta l’ estate. La passeggiata alla scoperta dei fasti del passato, da Augusto ai Farnese, comincia dal criptoportico neroniano, dove sono presentati alcuni pannelli con citazioni di autori classici che parlano dei giardini dell’ antica Roma. Più avanti, nella Casina Farnese ancora in restauro ma riaperta al pubblico per questa occasione, sono esposte invece le stampe che raccontano la nascita e la trasformazione nel tempo degli Orti farnesiani. Fu il cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, a volerli. Li fece progettare, tra il 1542 e il 1560, sopra i resti della Domus Tiberiana e della Domus Flavia, che nel Medioevo erano già scomparse sotto vigne e giardini. Il cardinale cercava uno spazio dove mettere a dimora soprattutto le nuove piante importate dalle Americhe. Ciarallo, nel vivaio allestito a fianco degli orti, ne ripropone una scelta fatta tra le specie esotiche illustrate da Tobia Aldini, Giovan Battista Ferrari e Francisco Hernandez a metà del Seicento. Si scopre così che agavi e yucche, ibiscus e fichidindia, patate e tabacco, pomodori e peperoni, mais e girasoli, che oggi fanno parte del paesaggio mediterraneo, in realtà cominciarono ad essere coltivate e moltiplicate cinque secoli fa proprio sul Palatino. Alessandro Farnese creò anche il raffinato giardino rinascimentale, spartito da siepi geometriche e circondato da rampe e viali, fontane e ninfei, vasche con pesci e filari di cipressi. Giardino che scomparve con l’ estinzione della famiglia, quando Elisabetta andò sposa a Filippo V di Borbone. Gli Orti furono dati in affitto e trasformati in azienda agricola. Cipressi, allori e lecci furono sostituiti da vigne e carciofaie, da pollai e abitazioni per i contadini. L’ impianto attuale, che ricalca quello del giardino all’ italiana suddiviso da siepi di bosso, si deve a Giacomo Boni, che a fine Ottocento ricostruì la flora classica e il suo vivaio. In mezzo alle siepi, dove un ceppo ricorda che là sotto è sepolto il Boni, spiccano ora cespugli di rose rigorosamente ottocentesche, accanto a fiori arrivati in Europa a partire dalla fine del Settecento, come peonie e gerbere, glicini e bouganville. Di tutt’ altro genere la ricostruzione in vivo, nel peristilio della Casa di Augusto, della struttura del giardino di Livia, raffigurato nel celebre affresco ritrovato nella villa della moglie dell’ imperatore sulla Flaminia e conservato a Palazzo Massimo. Qui sono stati ricostruiti i due grillage concentrici che delimitano il piccolo spazio ricolmo di melograni e oleandri, rose e cotogni, e anche di cipressi, abeti, pini. Ma i curatori della mostra hanno tolto ogni freno alla fantasia nel tentativo di ricreare l’ effetto delle antiche fontane, i cui resti si vedono nei peristili della Domus Augustana (che non ha niente a vedere con Augusto, ma era l’ abitazione privata di Domiziano all’ interno del suo palazzo). Essendo impossibile far scorrere di nuovo l’ acqua all’ interno di quel che resta delle vasche, si è cercato di ottenerne l’ effetto riempiendole con frammenti di vetro azzurro e piante la cui fioritura varia dal celeste al viola, come plumbago e pervinche, petunie e verbene. Da lontano, la visione è abbastanza suggestiva.
Lauretta Colonnelli