Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 22/04/2012, 22 aprile 2012
OMAR GALLIANI, OMAGGIO A ROMA
Dopo le grandi mostre agli Uffizi di Firenze e al Poldi Pezzoli di Milano, dopo i riconoscimenti avuti in tutto il mondo, Omar Galliani avvertiva «l’ urgenza di ringraziare Roma». E lo ha fatto con un’ opera che lui stesso definisce esagerata: una tavola di pioppo di oltre tre metri per quattro, sulla quale ha disegnato una giovane donna vista di spalle che dall’ alto del Pincio ammira e quasi si perde in una notte romana piena di luci e bagliori, con un Colosseo spaccato a metà; un cielo frantumato che lascia cadere stelle, ossari e fiori; un pastorale a forma di spada che trafigge un cuore; un teschio; una lupa con Romolo e Remo tatuati con matita sanguigna sul collo della ragazza. Anzi, delle ragazze. Perché le figure femminili sono due, come nel ciclo del «Disegno siamese», ben documentato in mostra. Ma le due parti della tavola, che a un primo sguardo appaiono esattamente speculari, in realtà sono diverse. Guardando con attenzione l’ addensamento delle stelle nel cielo a sinistra, si vede la luna nella costellazione della Bilancia, come tramanda la leggenda della fondazione di Roma. Nella parte destra invece, la mappa celeste è quella dei nostri giorni. L’ opera, il cui titolo gioca sull’ acrostico «Omar Roma Amor», è al centro di una mostra che il museo Bilotti (Aranciera di Villa Borghese) dedica all’ artista nato cinquantotto anni fa a Montecchio Emilia, il paesino dove vive e lavora. Aperta fino al 6 maggio e curata da Gabriele Simongini, l’ esposizione raccoglie intorno alla grande tavola venticinque disegni preparatori dell’ opera, una selezione di disegni del ciclo «Notturno», una decina di opere di grandi dimensioni che Galliani ha riunito facendole arrivare dalle città sedi di sue mostre recenti, da Seul a Buenos Aires, da Shanghai a Il Cairo, da Mosca a New Delhi. Infine i quaderni in cui l’ artista ha appuntato spunti iconografici ed emozioni nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo. Insomma la rassegna al Museo Bilotti si presenta come un’ occasione per conoscere a fondo un artista che si è innamorato di Roma trent’ anni fa, la notte che doveva incontrare Michelangelo Antonioni dalle parti di piazza di Spagna, ma l’ appuntamento sfumò per un contrattempo di un minuto di attesa in ascensore. «Più volte ho pensato come legare questa città a quel minuto e ai millenni che l’ hanno attraversata facendovi esplodere dentro le architetture, i mosaici, gli ori, il piombo, il sangue e il miele». Di Antonioni l’ aveva incantato «Zabriskie Point»: «Il film che ho amato di più da ragazzo e che ha cambiato il mio modo guardare, di sentire». La scena finale del film, con l’ esplosione al rallentatore della villa nel deserto e la polvere nebbiosa in cui fluttuano mobili e frigoriferi, librerie e vestiti, si ritrova nelle fluttuazioni dei quadri di Galliani, in cui volano gli oggetti più disparati, vertebre umane e corni di rinoceronte, coltelli e lische di pesce, fiori e scarpette da ballo, teschi e costellazioni. Il suo modo di rappresentare la disintegrazione del tempo. Si ritrovano anche, in queste opere, le nebbie della sua Val Padana, l’ attrazione per il pulviscolo di luce di Vermeer e per le atmosfere sfumate di Leonardo. Che Galliani ottiene con una tecnica quasi ossessiva, disegnando con la grafite, «nera come il buio ma in realtà capace di riflettere la luce», sulla tavola bianca del pioppo «il legno dei miei fiumi, come se fosse una pagina».
Lauretta Colonnelli