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 2012  maggio 11 Venerdì calendario

Al Monte Paschi la cura Profumo «I pm non freneranno il mio lavoro» - «I clienti possono dormire son­ni tranquilli »

Al Monte Paschi la cura Profumo «I pm non freneranno il mio lavoro» - «I clienti possono dormire son­ni tranquilli ». Il giorno dopo il blitz della Finanza nella sede di Monte dei Paschi a Siena per far luce sul­l’acquisto di Antonveneta, i vertici della banca tosca­na hanno evitato drammatizzazio­ni. E così il presi­dente Alessandro Profumo e l’ammi­nistratore delega­to Fabrizio Viola hanno cercato di rassicurare investi­tori e soprattutto correntisti nel cor­so della loro prima conferenza stam­pa. «Io sono da tem­po cliente del Mon­te », ha sottolinea­to Profumo solo da poche settimane al vertice dell’isti­tuto. Non è una nota a margine: con quelle parole il supermanager, che ha trasformato il vecchio Credi­to Italiano in una banca globale, ha voluto mettere la propria credibili­tà dinanzi al nome stesso dell’isti­tuto senese. E non poteva essere al­trimenti perché Profumo - con un passato da grande elettore di Ro­mano Prodi e più volte indicato co­me «Papa straniero» dei democrat - è stato chiamato dai vertici del Pd (Bersani e Bindi) per sottrarre il Monte alla politica locale. Un po’ come faceva Berlinguer con le se­greterie regionali eterodosse del vecchio Pci, nominando un com­missario politico. Nessuna polemica con i magi­strati, che comunque «non rallen­teranno il nostro lavoro». L’ex nu­mero di Unicredit ha rimarcato co­me le perquisizioni siano avvenu­te con «grande rispetto del merca­to » giacché la Procura di Siena mer­coledì scorso ha emesso un comu­nicato per informare la Borsa. «Ga­rantisco massima collaborazione, cooperazione e trasparenza» sul­l’indagine, ha aggiunto il presiden­te sottolineando che «la nostra massima preoccupazione in que­sto momento è per le 31mila perso­ne che lavorano al Monte». Profumo è entrato solo marginal­mente nel merito dell’inchiesta. «Non ritengo avvieremo alcuna in­dagine interna» in cda sull’acqui­sto di Banca Antonveneta, ha preci­sato confermando la precisa inten­zione di voltar pagina. Una battu­ta, però, se l’è concessa tradendo una concezione un po’ retro del gio­co del calcio. «Ho fatto tantissime acquisizioni, alcune anche care, ma se gioco la schedina il lunedì faccio sempre 13». La metafora del vecchio Totocalcio serve a spiega­re che ex post è facile giudicare sba­gliata un’operazione. Tanto più che nel 2007 la crisi ancora non era esplosa e quei 10 miliardi poteva anche essere giustificabili. «Biso­gna tenere conto che il mondo è cambiato in modo radicale», ha ag­giunto rimarcan­do che il controllo dei conti «Tipica­mente con le socie­tà quotate (come era stato l’istituto padovano) non si fa la due diligence, se c’è un singolo venditore si fa, ma conosco poco quel­la transazione». Ecco perché l’in­dagine su Antonve­neta (che pure se­gna un distacco della magistratura rispetto al mi­lieu senese) non è dirimente. Il compito di Alessandro Profumo è un po’ quello di Mister Wolf in Pulp Fiction : risolvere problemi. Anche con decisioni spiacevoli. «Noi do­vremo cambiare parecchio - ha ri­marcato- ed è meglio essere veloci nel cambiamento che grandi e grossi»perché«esistono spazi con­sistenti per riportare la banca a esprimere tutta la sua forza». Infil­trazioni massoniche a Siena? «Non ne faccio parte,non me l’han­no mai chiesto, sarò forse Alice nel paese delle meraviglie». Sulle modalità del cambiamen­to ha fornito qualche indicazione Fabrizio Viola che ha esordito uffi­cialmente in veste di ad. Dopo un 2011 chiuso con 4,7 miliardi di per­dite ( a causa della svalutazione del­l’avviamento di Antonveneta), è ora di «riprendere un percorso di redditività per azionisti e clienti». Ed è anche ora di rispondere alle ri­chi­este della vigilanza europea del­l’Eba che chiedeva un aumento di capitale da 3,2 miliardi di euro, ma che si spera di evitare con una ces­sione di asset (l’indiziata numero uno è la finanziaria Consum.it). Sempre il mese prossimo, sarà pronto anche il nuovo piano indu­striale. La Borsa ha dato credito ai due manager e ieri Mps ha recupe­rato il 4 per cento. Gian Maria De Francesco *** Le mosse della Procura senese e della Gdf di Roma - Una banca troppo ambiziosa. Convin­ta di poter scalare l’olimpo del credi­to italiano, ingoiando un boccone troppo grande: Antonveneta. Pensava in grande il Monte dei Paschi nel 2007 e pensava in grande la città che da sempre gli fa cornice, nell’incanto delle torri medioevali. Ora però si scopre che il Monte andò trop­po in là, s’indebitò e cercò con una serie di manovre spericolate di assorbire l’enorme spesa sostenuta, oltre nove miliardi di eu­ro, per portare casa l’ambitissima preda.Se­condo la procura, una parte dell’aumento di capitale (il bond «Fresh» da un miliardo di euro), che accompa­gnò l’acquisizione, è in realtà un prestito che doveva essere rimbor­sato, fino all’ultimo centesimo e con tanto di interessi. Non solo: sempre a sentire i pub­blici ministeri, la dirigenza del­l’epoca del Monte dei Paschi non comunicò agli organi competen­ti, ovvero alla Banca d’Italia e alla Consob, quel che stava accaden­do dietro le quinte. Si potrebbe di­re che il varo, sontuoso, della ter­za potenza bancaria italiana si svolse senza la necessaria traspa­renza, anche se la città, allora amministra­ta da Maurizio Cenni, batteva le mani e so­gnava una grandeur in salsa toscana. E an­cora, proprio l’eccessivo indebitamento, una sorta di peccato originale, sarebbe sta­to all’origine della strana guerra sul valore delle azioni del Monte, andata in scena fino a poche settimane fa. Per ora quattro persone sono state iscrit­te­nel registro degli indagati e tutte per osta­colo all’autorità di vigilanza; si tratta dell’ex direttore generale del Mps Antonio Vigni e dei tre componenti del collegio sindacale dell’epoca: Tommaso Di Tanno, Leonardo Pizzichi e Pietro Fabretti. Il secondo filone, per aggiotaggio, è invece al momento con­tro ignoti. Tutto comincia dunque con l’acquistodi Antonveneta pagata, e anche questo non si capisce bene perché, uno sproposito. Il Banco Santander incassa 9,3miliardi di eu­ro. La banca e la Fondazione, che ne è un po’ la cabina di regia, trovano otto miliardi. Manca l’ultimo e qui viene chiamata in cau­sa Jp Morgan, con un aumento di capitale. In realtà, sempre secondo gli investigatori che l’altro ieri e ieri hanno effettuato decine di perquisizioni a Siena e in altre cinque cit­tà, l’aumento di capitale non c’è (almeno per una tranche da 490 milioni su cui sono in corso le verifiche) e al suo posto c’è un prestito alla Fondazione. Jp Morgan, per la procura, si appoggia ad altri tre istituti di credito: Leonardo, Credit Suisse, Medio­banca che sottoscrivono obbligazioni con­vertibili in azioni di diritto lussemburghe­se. Si tratterebbe, a detta dei magistrati, so­lo di uno schermo, perché, spulciando le carte, salta fuori che in realtà le tre banche avrebbero siglato accordi diretti con la Fon­dazione Monte dei Paschi di Siena: questi accordi, secondo l’interpretazione delle Fiamme gialle, sarebbero stati imperniati su degli swap, ovvero su sofisticati derivati di tipo asiatico. E dalla lettura dei contratti si intuisce che alla fine la Fondazione sene­se rimborserà al terzetto i 490 milioni, più gli interessi. Insomma, l’aumento (o alme­no metà di esso) sarebbe fittizio. E il Monte ha eliminato, nelle comunicazioni alla Ban­ca d’Italia a e alla Consob, il capitolo swap . Silenzio. Successivamente irrompe la cri­si e l’Eba, l’autorità bancaria euro­pea, chiede alle banche di rafforza­re il proprio patrimonio. Impresa difficilissima per Siena che si tra­scina sempre dietro il peccato ori­ginale per cui si è svenata. Ecco al­lora l’idea di un prestito da 600 mi­lioni di euro, varato da un pool di istituti di credito. La Fondazione ha già raschiato il fondo del barile e,per seguire l’aumento,può solo offrire in pegno le azioni della ban­ca. Siamo all’ultima anomalia di una storia anomala. Vengono pre­viste ulteriori clausole finanziarie fra il pool dei creditori e il debitore. Nel caso in cui il valore delle azioni del Monte scivoli sotto una certa soglia, Siena pagherà altro cash . Ci sono giornate di borsa davvero strane in cui sembra si sia combattuta una guerra. Il titolo schizza in alto, poi cade a precipizio. Ma è un’ipotesi tutta da verificare. Stefano Zurlo *** E nel Pd scoppia la faida: su Mps scambio di accuse tra ex Margherita e Ds - «All’origine di tutto», sussurra il dirigente ex democristiano del Pd,«c’è quella frase detta al telefo­no da Fassino, ma avrebbe potuto dirla uno qualunque dei Ds: abbia­mo una banca. Blindata e solo no­stra. Un antico sogno che si stava realizzando». Dietro le quinte della bufera giu­diziaria che investe il Monte dei Paschi di Siena c’è anche una san­guinosa faida politica, tutta inter­na all’attuale Pd. Una faida che ha visto, nelle scorse settimane, la «blindatura» della banca da parte dell’ala post-piccista, e la dura rappresaglia dei post-democri­stiani sul sindaco (ovviamente diessino) di Siena Franco Ceccuz­zi, che è stato mandato in mino­ranza sul bilancio comunale. Dopo decenni di pacifica e con­soci­ativa convivenza tra le due ani­me del Pd (convivenza che risali­va alla Prima repubblica e agli ac­cordi spartitori tra Dc andreottia­na e Pci berlingueriano), l’incan­to senese si è rotto. E la rottura rim­balza fino a Roma, nel Transatlan­tico di Montecitorio, riaprendo la faglia mai del tutto rimarginata che separa gli attuali conviventi nel partito guidato da Pier Luigi Bersani. Gli ex Ppi del Pd spiegano inviperiti: «Non solo i Ds hanno portato al Monte Alessandro Pro­fumo, ma i due vice presidenti che lui ha scelto sono dalemiani doc: il commercialista Marco Turchi e Turiddo Campaini, uno che per quarant’anni ha fatto il capo di Unicoop a Firenze: il cuore del cuore del potere rosso». E se gli si obietta che a caldeggiare la nomi­na di Profumo si dice sia stata an­che Rosy Bindi, nata nel senese, se la ridono, e con classica perfidia democristiana tagliano corto: «Il suo ruolo è quello del Partito dei contadini polacchi: un partito fan­toccio al servizio dei comunisti. Lei si è fatta forte dell’amicizia con Sabina Ratti per rivendicare di aver avuto un ruolo nella nomi­na ». Sabina Ratti è la moglie di Pro­fumo, e nel 2007 si candidò alle pri­marie Pd in lista proprio con la Bin­di. La mission di Profumo e dei suoi vice, secondo le letture (ov­viamente interessate) dei cattoli­ci del Pd è quella di «blindare la banca e allontanarla dall’orbita senese per portarla sotto il control­lo diretto di Roma». Intendendo per Roma il Nazareno, e il tandem (ora di maggioranza, un domani anche di governo)Bersani-D’Ale­ma, con la benedizione del presi­dente della regione Toscana Enri­co Rossi. La ragione per cui gli ex Ppi so­no inferociti sulla questione Mon­tepaschi è che l’operazione di ri­strutturazione della banca, nel­l’era post- Mussari e con le avvisa­glie della tempesta giudiziaria in arrivo su quei miliardi di sovrap­prezzo pagati per Antonveneta, sia avvenuta sulla loro pelle. «Pri­ma a Siena un po’ di pluralismo eravamo riusciti ad imporli. Ora la linea dei post-Ds è: la banca è so­lo nostra ». Per pluralismo si inten­de spartizione del potere e (un tempo) delle ricchezze che il Mon­te riversava sulla città, sugli enti lo­cali, sull’Università (regno per lu­stri del cugino di Enrico Berlin­guer, Luigi), sull’ospedale. Come spiegava ieri un informato artico­lo del Sole 24 ore , il sindaco Cec­cuzzi, da azionista di riferimento della banca che ha portato Profu­mo ai vertici, ha fatto fuori dal cda gli ex Margherita che ne facevano parte. Tra loro Alfredo Monaci, fra­tello di Alberto, ex esponente Dc e presidente del Consiglio regiona­le toscano nonchè leader della lo­cale ex Margherita. Tanto che il presidente della Fondazione Mps Gabriello Mancini (anche lui in quota Margherita) ha votato con­tro la lista per il cda. La rappresaglia è stata imme­diata: otto consiglieri comunali di Siena (sei ex Ppi) hanno votato contro il bilancio consuntivo pre­sentato dal sindaco, pesantemen­te influenzato dal taglio dei contri­buti versati dalla Fondazione al Comune. Il 15 maggio si rivota, e il Comune rischia il commissaria­mento. Commissariamento che ieri è stato chiesto a gran voce an­che per la Banca dall’Italia dei Va­lori, subito fiondatasi nella crisi in­terna al Pd: con una interrogazio­ne a Monti, i deputati dipietristi chiedono la destituzione di Profu­mo e l’intervento del governo. Per strappare la banca al controllo del partito di Bersani. Laura Cesaretti