GIANLUCA PAOLUCCI, La Stampa 11/5/2012, 11 maggio 2012
Inchieste, debiti e veleni Lo sgomento della Siena che conta - Siena di tre cose è piena, dice un vecchio detto toscano
Inchieste, debiti e veleni Lo sgomento della Siena che conta - Siena di tre cose è piena, dice un vecchio detto toscano. Solo che agli elementi originari (torri, campane e figli di), si sono aggiunti molti altri elementi. I debiti innanzitutto. Quelli della Fondazione, ad esempio, che dopo aver distribuito 1,9 miliardi di euro in quindici anni a praticamente ogni attività - dai musei alle bocciofile - si trova con le casse vuote. Poi, collegati, ci sono quelli del Comune, che per colpa dei guai della Fondazione non approva il bilancio. Poi, a cascata, quelli dell’Università, i guai del Siena calcio e quelli del basket della Mens Sana, fino ai piccoli enti locali della provincia a rischio dissesto per i progetti avviati grazie alle ricche erogazioni della Fondazione Mps. Altra cosa della quale Siena è piena, in questi giorni, sono i veleni. Lungo lo struscio è tutto un vociferare di indagini e indagati, vittime e colpevoli, malefatte di questa e di questa parte, disegni più o meno oscuri per danneggiare la città e i suoi abitanti. È piena anche di inchieste, finanzieri e magistrati, la Siena di questi giorni. Una, la più clamorosa, è quella emersa mercoledì con 147 finanzieri sparpagliati dal primo mattino in mezza Italia a cercare documenti per tutta una giornata. Da Rocca Salimbeni, sede di Mps, sono entrati all’alba e usciti a notte fonda, dopo aver fatto il pieno di documenti e file. L’ipotesi, almeno per ora, è aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza. Il primo reato difficilissimo da dimostrare in un dibattimento, il secondo risalente a quattro anni fa e a rischio decadenza. Quell’almeno per ora fa la differenza. Poi, più, in piccolo, c’è l’indagine sul dissesto dell’Università e quella sull’aeroporto di Ampugnano, che avrebbe dovuto diventare il terzo scalo commerciale in meno di cento chilometri della regione. Entrambe sarebbero prossime alla chiusura ma intanto entrambe hanno già prodotto la loro dose di veleni. Poi ci sono i massoni. «Sembrerò Alice nel paese delle meraviglie», dice Alessandro Profumo spiegando che di questa presenza così forte delle logge non ha avuto, almeno per il momento, contezza. Stefano Bisi, giornalista e massone dichiarato finito nel tritacarne di Report, è visibilmente contrariato del clamore, minaccia ricorsi all’ordine dei giornalisti e viene salutato da battute divertite: «Ecco l’uomo più potente della città». Ma i massoni ci sono o no, a Siena? «Certo che ci sono. Alcuni contano nella vita della città altri no. Troppo facile dire massoni. Diciamo che c’è massone e massone, via», dice un profondo conoscitore delle cose senesi. Che ricorda un episodio di alcuni anni fa, quando un giornale locale pubblicò gli elenchi dei fratelli locali. Putiferio. Per giorni e giorni non si parlò d’altro. Anche perché c’erano davvero tutti in quegli elenchi, dami dirigenti del Monte su su fino al vescovo. Troppi. Al punto che la vicenda è stata archiviata nella memoria collettiva della città alla voce patacche. A tenere insieme tutto c’è il Monte e i suoi guai. Da lì tutto discende anche perché il Monte è Siena e Siena è il Monte. Le varie fazioni dentro le mura si rimpallano la responsabilità del disastro in corso con la stessa veemenza alla quale i senesi sono abituati per due settimane all’anno in prossimità del Palio. Lo scontro più duro è quello tra Ds e Margherita del Pd locale. Iniziato, ovviamente, dal pasticcio brutto della Fondazione, passato un duro scontro per la costituzione delle liste per il rinnovo del Cda del Monte e culminato con la mancata approvazione del bilancio comunale. Mancano soldi, dicono gli ex Margherita, per i quali il pareggio si raggiunge solo con le erogazioni che la Fondazione difficilmente sarà in grado di dare. Falso, ribattono dal lato del sindaco Ceccuzzi - primodalla fine degli anni ’80 a non venire direttamente dalle file di Mps ma “dominus” dei Ds a livellolocale per molti anni - il bilancio è a posto e tutto nasce dal fatto che, in nome del rinnovamento, lo stesso Ceccuzzi abbia imposto l’uscita del margheritino Alfredo Monaci dal Cda di Mps, dove ambiva alla vicepresidenza. L’accusa peggiore, fatta proprio da tutti, è quella di lavorare «per far portar via il Monte». Dalla politica romana o dalla finanza milanese, a seconda delle convenienze. Anche se i responsabili sono tutti ancora dentro le mura della città.