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 2012  maggio 12 Sabato calendario

Provenzano tenta il suicidio, salvato - Il mistero, la rabbia, i dubbi. Un tentativo di suicidio in carcere che viene considerato decisamente anomalo sia dai responsabili della sicurezza che dai difensori del boss

Provenzano tenta il suicidio, salvato - Il mistero, la rabbia, i dubbi. Un tentativo di suicidio in carcere che viene considerato decisamente anomalo sia dai responsabili della sicurezza che dai difensori del boss. Perché il protagonista è un capo dei capi di Cosa nostra: Bernardo Provenzano, a mezzanotte e mezza, nella notte tra mercoledì e ieri, si sarebbe infilato un sacchetto in testa e avrebbe tentato di uccidersi, nel carcere di Parma in cui è detenuto. Gli agenti che lo sorvegliano 24 ore su 24 se ne sono accorti e lo hanno salvato. Il condizionale è però d’obbligo. Dietro la vicenda montano infatti tanti dubbi. In un senso e nell’altro. Da un lato i detenuti come Provenzano, 79 anni, non possono tenere sacchetti, né cinture, né lacci di scarpe e hanno anche lenzuola speciali, per evitare tentativi di autostrangolamento in cella. "Binu" avrebbe così usato un sacchetto di cellophane per alimenti, molto piccolo, forse non adatto a uccidere un uomo. Quando è stato scoperto, poi, avrebbe cercato di nascondere quel che stava facendo: «Dove dobbiamo andare?», avrebbe detto agli uomini del Gom, il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria, i suoi angeli custodi. Mentre al Dap ipotizzano dunque anche una possibile messinscena, i legali, gli avvocati Franco Marasà e Rosalba Di Gregorio, ribattono per le rime, dicendo di non credere alla versione ufficiale: «Non è un tentativo di suicidio, forse hanno cercato di eliminarlo». Parole pesanti come macigni: «È vero, un detenuto al 41 bis non può tenere sacchetti in cella, e allora chi glielo ha dato? E tanto per chiarire - aggiungono i difensori - la notizia noi difensori e i familiari l’abbiamo appresa dai giornalisti». Da tempo la famiglia del superboss cerca di porre l’attenzione sulle condizioni di salute di Provenzano, ma finora tutte le perizie hanno stabilito che il capo corleonese è in condizioni compatibili col regime carcerario e che è anche capace di intendere e di volere. «Forse hanno visitato un altro?», ironizza la Di Gregorio. Le polemiche erano state acuite dalle parole di uno dei due figli di Provenzano, Angelo, che, intervistato da Servizio pubblico, in marzo, aveva parlato di «pena di morte ad personam» per il padre. Cosa che potrebbe essere legata alla volontà di tappare la bocca al boss, nel momento in cui vengono fuori i particolari della trattativa Stato-mafia nel periodo delle stragi del ’92-’93. Tentativo reale di suicidio o messinscena, per acuire ancora di più le tensioni e per far risaltare le condizioni di salute del boss? Provenzano, che è controllato in video e in audio 24 ore su 24, nel totale isolamento in cui vive dal giorno dell’arresto (11 aprile 2006), di notte è illuminato da una luce di cortesia, bluastra, che lo rende visibile. Attraverso i monitor gli uomini del Gom si sono accorti che qualcosa non andava. Dice Roberto Piscitello, direttore generale dell’ufficio detenuti del Dap: «Il sistema di controllo e sicurezza ha funzionato». All’altro figlio di Provenzano, Francesco Paolo, che ieri sera ha chiamato il carcere di Parma, gli agenti hanno detto che le notizie erano «esagerate». Il tentativo di Provenzano viene letto come un «avvio di collaborazione» dal pentito Francesco Marino Mannoia: «Io me ne intendo - dice dal suo rifugio segreto - e se il signor Provenzano si decide a collaborare non dovrà dire le solite fesserie, ma tutto ciò di cui è a conoscenza. Se non lo farà, lo sfido a un confronto davanti a una commissione antimafia».