Emanuele Macaluso, ItaliaOggi 11/5/2012, 11 maggio 2012
Una sentenza inquietante per la libertà di stampa – Il 20 gennaio scorso il tribunale di Roma, nella persona della dottoressa Emanuela Attura, ha condannato Peppino Caldarola e Antonio Polito collaboratore del Riformista, il primo, e direttore del quotidiano, il secondo, a risarcire i «danni» subiti dal Senesi Vauro, vignettista del Manifesto, per un articolo diffamatorio scritto da Caldarola
Una sentenza inquietante per la libertà di stampa – Il 20 gennaio scorso il tribunale di Roma, nella persona della dottoressa Emanuela Attura, ha condannato Peppino Caldarola e Antonio Polito collaboratore del Riformista, il primo, e direttore del quotidiano, il secondo, a risarcire i «danni» subiti dal Senesi Vauro, vignettista del Manifesto, per un articolo diffamatorio scritto da Caldarola. Danno risarcitorio 25 mila euro. Il pubblico ministero aveva, invece, chiesto l’assoluzione dei due giornalisti. Su questa sentenza, quando era ancora in vita il giornale arancione, da me diretto, avevo scritto criticamente. E l’ho scritto non per un’antica amicizia con Caldarola e Polito, con i quali ho avuto anche delle polemiche. Sono i fatti che mi inducono ancora una volta a scrivere perché ritengo che le motivazioni di quella sentenza, rese note il 18 aprile scorso, dovrebbero allarmare chi ha a cuore la libertà di stampa, e non solo. Ricapitoliamo i fatti. Nel marzo del 2008, Vauro pubblicò una vignetta in cui disegnava Fiamma Nirenstein, ebrea, giornalista di sinistra, approdata a destra, parlamentare Pdl, con il naso adunco (tipica deformazione usata nella pubblicistica antisemita), con il fascio, il simbolo del partito e la stella di Davide (cucita come facevano i nazisti) sul petto. Peppino Caldarola, sul Riformista, nella sua rubrica, ironicamente collocava la vignetta in una immaginaria trasmissione di “Annozero” (a cui partecipa Vauro) per prendere in giro gli ospiti fissi di quel talk-show, concludendo che il vignettista, con quel disegno, aveva scritto di Fiamma «sporca ebrea», locuzione con cui sintetizzava il suo pensiero su quella vignetta e perciò messa tra virgolette. L’opinione di Caldarola è rispettabile quanto quella di Vauro? O no? Quel disegno aveva provocato la protesta di tutta la comunita ebraica, come ha testimoniato al processo Riccardo Pacifici, presidente della comunità romana. La questione che con questa lettera voglio sollevare è, a mio avviso, molto grave, perché purtroppo c’è un giudice che nel giudicare i fatti fa prevalere i suoi legittimi convincimenti politici nelle sentenze come si evince, per esempio, leggendo le motivazioni di cui parlo. Vauro, dice che mette sul petto della Nirenstein il fascio perché Alessandra Mussolini e Giuseppe Ciarrapico sono, come lei, parlamentari del Pdl. Ma queste presenze fanno del Pdl un partito fascista, al punto da mettere un distintivo del fascio a una delle sue parlamentari che ha una radicale avversione al fascismo? Il mio giudizio su Silvio Berlusconi e il suo partito è noto per averlo scritto mille volte (non esagero) ma, qualificare come fascista il suo partito, perchè nel gruppo parlamentare ci sono Ciarrapico e la Mussolini può essere oggetto di una discutibile critica di Vauro, ma non può essere avallato da una sentenza di un tribunale della Repubblica. Leggo nelle motivazioni del giudice Emanuela Attura: «Ebbene, a parere della scrivente, a prescindere dalla considerazione che appare chiara l’assenza di contenuto antisemita nella vignetta pubblicata sul quotidiano il Manifesto nel marzo 2008 e che, anzi, come spiegato dallo stesso autore, se mai ve ne fosse bisogno, la vignetta voleva evidentemente evocare la mostruosità nascente dall’accostamento di simboli tanto distanti quali il fascio littorio, la stella di Davide e il simbolo del Popolo della libertà_». Quindi la Nirenstein, come tutti i parlamentari e gli iscritti al Pdl ha adottato, con sentenza del tribunale, la “mostruosità” dei tre simboli messi insieme. Anche il simbolo del fascio! Infatti, la Nirenstein come ebrea viene disegnata nel modo in cui abbiamo detto. E il giudice dice, citando Vauro, che questo disegno voleva stimolare un dibattito sulla contraddizione che provoca la candidatura di Fiamma Nirenstein. Un dibattito che ha provocato l’indignata protesta di tutte le comunità ebraiche in Italia, per il giudice è indifferente. Infine, c’è un giornalista che alle esagerazioni caricaturali di Vauro replica con un corsivo ironico, e usa espressioni forti e ritorsive, e ora deve pagare 25.000 euro al vignettista. Ma in che paese siamo?