Fabio Tonacci, la Repubblica 12/5/2012, 12 maggio 2012
Non ti puoi chiamare Maradona. E nemmeno Cavour, Giotto, Berlinguer, Geronimo. I cognomi famosi o illustri sono vietati
Non ti puoi chiamare Maradona. E nemmeno Cavour, Giotto, Berlinguer, Geronimo. I cognomi famosi o illustri sono vietati. Ma per il resto chi decide di cambiare ha la massima discrezionalità. Può modificare il proprio cognome se fa ridere, può aggiungere quello materno o quello di un amico, può italianizzarlo se straniero, può sceglierne uno d´arte. Basta avere un motivo ragionevole per farlo e nessuno che si opponga nei trenta giorni in cui l´avviso sarà affisso sull´albo pretorio. E le seimila richieste di modifica arrivate negli ultimi due anni hanno convinto il ministero dell´Interno a snellire la procedura lasciandola tutta in mano ai prefetti. Dal nove luglio servirà poco più di un mese per sbrigare la pratica se considerata meritevole, a fronte degli attuali 12-15 di media. Scartabellando tra le 2765 istanze presentate nel 2011 si scopre che non sono solo i vari Mastronzo, Pulcinella, Strozzacapra, Chiappa, Tontodimamma, Sederino, Rutto, Contacessi, cioè i tanti portatori sani di cognomi buffi, a volere disperatamente il cambio per dimenticare decenni di ironie. Casi del genere ci sono, ma meno di quanto si pensi. Il vero boom attuale (le domande sono cresciute del 30 per cento dal 2009) riguarda chi vuole vedere sulla carta d´identità dei propri figli il cognome materno. In tre pratiche su dieci si chiedeva di aggiungerlo a quello del padre, un altro 20 per cento erano domande in cui entrambi i genitori si sono dichiarati d´accordo a sostituire quello paterno con quello materno. «L´assunzione del cognome del padre al momento della nascita - spiega l´avvocato civilista Licia D´Amico dello studio romano Galassi - in realtà non è prevista da nessuna norma del codice civile. È una prassi consolidata nei secoli. Ora c´è l´esigenza sempre più sentita di avere anche quello della madre e l´unico modo per farlo è questo. All´anagrafe non lo fanno mettere». Anche per questo il ministero dell´Interno, favorevole alla concessione in suddetti casi, ha accorciato la procedura, che oggi e per due mesi ancora prevede un passaggio faticoso di carte tra prefetture e uffici centrali. Altra fattispecie diffusa riguarda il ripristino del cognome d´origine da parte dei nuovi cittadini italiani. È il caso degli immigrati di seconda generazione che nonostante l´italianizzazione voluta dai genitori, rivogliono quello originario. Il resto è una prateria di casi, con le motivazioni più fantasiose. Che per essere accolte alla fine devono avere comunque carattere del tutto eccezionale. «Uno stimatissimo notaio venne da me disperato - racconta ad esempio l´avvocato Nino Marazzita - perché si chiamava Porco e questo rovinava la sua attività professionale. Ha cambiato il suo cognome con quello della madre, il meno "impegnativo" Isidori». C´è chi brama per averne uno d´arte sui documenti, Morgan, Felix o qualsiasi nome il senso artistico suggerisca. Viene concesso solo se è anche l´appellativo con cui si è riconosciuti socialmente. Oppure c´è chi ne ha troppi e ne vorrebbe meno. «Una signora con cinque cognomi - ricorda l´avvocato D´Amico - si era stufata di fare firme chilometriche e ottenne di ridurli a due». Dunque alla base del cambio del cognome o anche del nome (171 domande nel 2011, la maggior parte è italianizzazione di nomi cinesi), ci dev´essere sempre una ragione giudicata dall´autorità amministrativa meritevole. Il semplice vezzo estetico non basta. Così si spiegano i 223 dinieghi nell´ultimo anno. Insussistenza di motivo valido. Il decreto presidenziale 396 del 2000, indica tre ragioni per chiedere il cambio: cognome ridicolo, vergognoso (perché ad esempio è lo stesso di un criminale) o svelante l´origine naturale, come quelli che in passato venivano assegnati d´ufficio ai neonati abbandonati, ad esempio Proietti, Esposito, Degli Innocenti. Ma nei fatti la casistica è più ampia. A Genova ad esempio una signora, dopo un ricorso al Tar, è riuscita ad ottenere di aggiungere al suo il cognome del suo psicologo, molto più anziano di lei, solo perché «si era occupato - si legge nella sentenza - della sua istruzione nonché della sua crescita umana e professionale, ospitandola in casa». Semplici ragioni affettive.