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 2012  maggio 11 Venerdì calendario

QUELL’INTRECCIO TRA SPORTELLI E POLITICA. LE CARTE CHE SCUOTONO IL MONTE —

Se la procura di Siena, poco più di 60 mila abitanti, manda 150 finanzieri a perquisire uffici e banche in cinque città italiane e a casa degli uomini più potenti della città come l’ex presidente dell’istituto, Giuseppe Mussari, e il numero uno della Fondazione, Gabriello Mancini, forse gli intrecci e le reti che reggevano i destini della terra del Palio sono davvero saltati. L’indagine per ostacolo alla Vigilanza e aggiotaggio legata all’acquisizione di Antonveneta sembra essere solo un punto di partenza. Ad essa la Banca d’Italia guarda con attenzione, avendo riguardo alla stabilità dell’istituto. E anche se non si sa dove porterà dal punto di vista giudiziario e se avrà esiti paragonabili al clamore dell’avvio dell’inchiesta, certamente rischia di segnare il punto di non ritorno nel sistema-Siena. Almeno nelle forme nelle quali è stato conosciuto negli ultimi 15 anni.
In città parla ormai al passato della triade Mps-Fondazione-città. A dire il vero ha cominciato a vacillare da almeno due anni, da quando a causa dei minori dividendi staccati dall’istituto la Fondazione ha dovuto drasticamente tagliare le erogazioni a Comune, Provincia, enti, associazioni, che ogni anno proponevano progetti di tutti i generi. Basta milioni di euro a pioggia, 133 in media ogni anno.
Le parole invocate dal sindaco Franco Ceccuzzi — uomo forte del Partito democratico a Siena e con appoggi diretti ai vertici del partito, da Massimo D’Alema a Pierluigi Bersani — di necessaria discontinuità, di rinnovamento, non sono più solo linee politiche generali, ma atti concreti. Da un lato, c’è stato l’arrivo alla guida della banca di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, entrambi non senesi; dall’altro ci sarà la firma, entro il 15 maggio, dell’accordo tra la Fondazione Mps e le banche creditrici per evitare che queste ultime si impossessino delle azioni della banca in mano all’ente presieduto da Gabriello Mancini.
Da dicembre Palazzo Sansedoni sta trattando per sistemare la partita dei debiti: oltre 1 miliardo, in gran parte contratti nel 2011 per il secondo aumento di capitale richiesto da Mps, da 2,1 miliardi, dopo quello da 6 miliardi del 2008. Tutti capitali serviti a ripagare l’enorme esborso per Antonveneta, 9 miliardi in contanti e senza verifica preliminare sui conti. Che forse sarebbe stato meglio fare: all’ultima assemblea di bilancio l’ex sindaco della banca Tommaso Di Tanno ha detto che «il valore patrimoniale (di Antonveneta, ndr) era di 2,3 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi. Non entro nel merito se il prezzo di 9 miliardi era appropriato», aggiungendo che la due diligence «non fu fatta», tuttavia i dati «risultarono veritieri». Proprio su questo la magistratura sta indagando. E dalla mole di carte recuperate, potrebbero venire fuori molte sorprese.
Per pagare i debiti, la Fondazione ha dovuto vendere tutto ciò che possedeva oltre al Monte e in più il 12% della stessa banca, recuperando così 670 milioni pretesi dagli istituti creditori. Adesso restano altri 350 milioni di esposizione, garantiti dal 36% di Rocca Salimbeni. Ma per la Fondazione non sarà più la stessa cosa. In più a Siena si stanno ricomponendo gli equilibri interni al partito democratico, con Ceccuzzi che si sta scontrando con l’ala ex Margherita rappresentata da Mancini e da Alberto Monaci, presidente del consiglio regionale, e dal fratello Alfredo, non confermato nel consiglio d’amministrazione della banca. E il prossimo anno scade proprio la poltrona di Mancini. Da Siena si è allontanato a gennaio Francesco Gaetano Caltagirone, per quasi dieci anni primo socio privato della banca e sponda romana di Mussari, il quale si mostra sempre più lontano dalle vicende senesi.
Quanto cambierà il rapporto tra la politica e la banca si vedrà col tempo, se conterà di meno o conteranno solo diversi poteri. Certo, fino a poche settimane fa la fondazione era rimasta l’unica istituzione nata con la legge Amato-Ciampi a controllare strettamente una banca. E attraverso l’ente è sempre stata la politica a dettare legge, in particolare il Pds-Ds-Pd, con la Margherita a fianco, dopo la fase della spartizione della fine degli anni 70 tra la Dc (in banca) e il Pci (negli enti locali). Clamoroso fu, nel 2000, il tentativo dell’allora sindaco Pierluigi Piccini di farsi eleggere alla presidenza della Fondazione: mossa bloccata dall’allora ministro del Tesoro, Vincenzo Visco, anch’egli diessino ma non senese. E altrettanto clamoroso, nel 2005, fu lo scontro tra i Ds locali (con in testa l’allora senatore Franco Bassanini) e nazionali, con i primi contrari a un’integrazione con la Bnl, sponsorizzata invece dai vertici romani. Nel 2007 poi la scelta solitaria di Mussari — condivisa poi da tutti poteri cittadini — di puntare su Padova. Ma da lì, complice anche la crisi economica, l’avvitamento. Fino ai sequestri di mercoledì.
Fabrizio Massaro