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 2012  maggio 11 Venerdì calendario

IL COMICO DELLE CINQUE STELLE CHE RICORDA L’«UOMO QUALUNQUE»

«Abbasso tutti!». Così era scritto a carboncino sotto la testata de L’Uomo Qualunque, nata il 27 dicembre 1944. Ma davvero i grillini sottoscriverebbero quell’invettiva di Guglielmo Giannini? Ha senso accusare il Movimento Cinque Stelle, come tuonano tante voci in questi giorni, d’essere un’orda di qualunquisti?
D’accordo, Beppe Grillo dice le parolacce. Il giorno che fece la sua audizione in Senato, narrano le cronache, prese per i fondelli un po’ di eccellentissimi rinfacciando loro che «su 20 che siete qua in 18 state leggendo il giornale» e arringò contro il premier («lo psiconano») e quel «Parlamento di nominati in cui sono stati scelti amici, avvocati e qualche zoccola». Al che Renato Schifani lo bacchettò: «Non si manca di rispetto al Parlamento!» Giusto. Ma, al di là del fatto che gli stessi grillini hanno ragione a dire che anche il Parlamento in quel caso ha mancato di rispetto verso i 350 mila cittadini che avevano firmato le tre leggi di iniziativa popolare non esaminandole mai (mai) a dispetto dell’articolo 71 della Costituzione, quante parolacce abbiamo sentito, in questi anni, in bocca a leader di partito e parlamentari e ministri, senza che i gelosi custodi della sacralità del Parlamento levassero vibranti proteste? Vogliamo fare l’elenco di quanti hanno alzato il dito medio e fatto le pernacchie e insultato i colleghi urlando «troia!», «checca!», «cesso!», «merda!», «culattone!», «coglione!», «truffatore!», «Giuda!», «Verme!»... Lo vogliamo fare?
Certo, Grillo è un istrione che nelle sue torrenziali sfuriate titilla qua e là anche dei sentimenti qualunquisti e anti-partitici. Ed è impossibile condividere certe sue sortite avventurose come quella di Palermo sulla mafia. Dice che l’hanno capito male? Peggio per lui: su certi temi ci pensi settanta volte sette. Ma chi come Gianni Alemanno lo accusa di essere «l’ennesimo pagliaccio che spara a zero senza fare proposte serie, credibili e concrete» e lo paragona a Giannini, sbaglia clamorosamente mira.
Perché le sfuriate sono solo un pezzo di Grillo e più ancora dei grillini. I cui programmi traboccano di proposte: dalla gestione dei rifiuti al rifiuto della vecchia ricetta del cemento, dalla trasparenza di ogni atto pubblico a un uso di Internet all’altezza di un Paese occidentale. Si può non essere d’accordo, ovviamente. E ogni proposta può essere smentita e combattuta. Anche aspramente. Ma lo stesso rigetto di certe metastasi del sistema politico è politico, non antipolitico.
Cosa c’entra l’Uomo Qualunque? Nella breve autobiografia sul primo numero della rivista che sarebbe arrivata a vendere 850 mila copie, Guglielmo Giannini concludeva: «Io sono quello che non crede più a niente e a nessuno». Perso in guerra un figlio che adorava («una meravigliosa creatura d’amore (…) che cessò di vivere all’età di ventuno anni, undici mesi, ventisette giorni, nel pieno della salute e della bellezza») il fondatore dei qualunquisti scriveva di rappresentare un popolino di reduci esausto dalla guerra, dal fascismo, dalla retorica della resistenza, della politica tutta e insomma il popolino «stufo di tutti, il cui solo ardente desiderio è che nessuno gli rompa più le scatole». Con il «comico-à-penser» genovese, ovvio, qualche punto di contatto lo puoi trovare. Come il piacere di inventare nomignoli corrosivi. Giannini se la godeva come un matto, a chiamare il Cln «Comitato Lavativo Nequitoso», il Pci «Partito Concimista Italiano» e i democratici cristiani «demofradici cristiani». Per non dire di come irrideva a «Fessuccio Parri» o «Pietro Caccamandrei».
E certo, quando tuonava indignato contro «l’ignobile spettacolo d’un arrivismo spudorato» e «l’assalto di una minoranza di vociatori, servitori, sfruttatori, iettatori» diceva cose si sarebbero risentite anche in questi anni, in questi mesi, in queste settimane. Ma diceva anche: «Non abbiamo bisogno di fare politica e non vogliamo farne». E qui anche il più accanito avversario dei grillini accusati di essere «troppo giovani, troppo ingenui, troppo combattivi, troppo inesperti», se lo deve chiedere: direbbero mai, loro, una scemenza simile? Direbbero mai come l’inventore dell’Uomo Qualunque di non avere alcun «bisogno che d’essere amministrati: e quindi ci occorrono degli amministratori, non dei politici... Per questo basta un buon ragioniere»?
Rischia grosso, come spiegano i sondaggi, chi sottovaluta il peso che potrebbe avere l’irruzione nei Comuni e nelle Regioni e poi in Parlamento di un’onda di ragazzi entusiasti, molto spesso più svegli, freschi e culturalmente attrezzati dei (rari) galletti e dei (tanti) capponi allevati nei vecchi partiti con la raccomandazione «ragazzo, mettiti in coda». E rischia grosso chi liquida tutto come «qualunquismo». Capiamoci: fa orrore, il qualunquismo. Ma senza azzardare paragoni forzati era qualunquista Matilde Serao quando, indignata per la gestione di Napoli, diceva che a quel punto non le importava tanto il colore di chi avrebbe vinto purché non ci fossero «al Comune né affaristi, né compari di affaristi, né rappresentanti di affaristi, né amici degli amici degli affaristi»? Lo era Luigi Einaudi quando, schifato di come tanti confondessero i soldi pubblici e privati scriveva che «a Roma spadroneggia un piccolo gruppo di padreterni, i quali si sono persuasi, insieme con qualche ministro di avere la sapienza infusa nel vasto cervello»? Difficile da sostenere... E poi chi le solleva, le ondate di protesta? Chi denuncia gli scandali, magari con qualche villania, o chi dà scandalo agli occhi dei cittadini? Rileggiamo cosa scriveva nel 1898, Luigi Bertelli, più noto come creatore, con lo pseudonimo di Vamba, di Giamburrasca: «L’on. Qualunquo Qualunqui rappresenta al Parlamento italiano il secondo Collegio di Dovunque. Dalla 15ª legislatura fino agli ultimi tempi ha fedelmente combattuto nel partito dei Purchessisti, propugnando il programma Qualsivoglia e appoggiando il gabinetto Qualsiasi». Era un volgare qualunquista o aveva solo inquadrato ironicamente un prototipo che un secolo dopo abbiamo visto e rivisto?
E Corrado Tedeschi, l’avete mai visto in quello strepitoso cinegiornale del 1953 dell’Istituto Luce? Proclamava che il suo Partito della Bistecca, che aveva come slogan «La vita è una vitella» e «Viva la pacchia!», prometteva le seguenti cose: «Svaghi, divertimenti, poco lavoro e molto guadagno per tutti. Tre mesi di villeggiatura assicurati a ogni cittadino italiano. Abolizione di tutte le tasse. Grammi 450 di bistecca a testa assicurata giornalmente al popolo. Frutta, dolce e caffè. Con un programma come questo chi sarà più felice del popolo italiano?». Coro: ammappete!
Ma la domanda è: faceva sul serio o prendeva in giro i demagoghi veri, i qualunquisti veri, i populisti veri, che con parole magari più sobrie, prima e dopo di lui hanno promesso di tutto?
Gian Antonio Stella