Franco Bechis, Libero 11/5/2012, 11 maggio 2012
SE GLI PARLI DI CASTA, FINI PERDE LA TESTA
Per cinquanta e più minuti e decine di domande Gianfranco Fini ieri ha resistito glaciale e calmo come faceva sul ring il re degli incassatori, Cassius Clay (o Mohamed Alì, che al Fini attuale sicuramente piace di più come nome). È stato solo allora che il presidente della Camera ha perso le staffe. Per piccola cosa, a dire il vero. Fini stava spiegando come da qualche tempo i deputati debbano essere presenti non solo in aula, ma anche in commissione, altrimenti rischiano di perdere per ogni giorno di assenza una quota della diaria che rimborsa le spese di soggiorno a Roma. Il meccanismo in effetti prevede quello. Ma conoscendo un po’ l’andazzo del palazzo, fra missioni vere e quelle talvolta inventate, fra giustificazioni che i capogruppo possono dare per motivi eccezionali, è assai difficile che i parlamentari subiscano quella pena economica. «Scusi, presidente, ma perché non viene reso pubblico l’elenco delle punizioni?». «Ci sono profili di privacy...». «Sui nomi, capisco, ma basterebbe trasparenza mensile sul numero dei deputati puniti e sugli importi complessivamente non erogati...». «La trasparenza c’è già», ha replicato secco Fini. «No, presidente. Questo dato non è mai stato fornito... ».
Ed è qui che ha perso le staffe: «Guardi, io non voglio litigare con lei. Non per queste cose, certo. Abbiamo ben altre vicende da regolare». Quasi minaccioso, non proprio elegantissimo. E un po’ oscuro per gli altri componenti della delegazione composta di autorevoli commentatori e professori universitari – che naturalmente nulla sapevano delle vicende che Fini voleva «regolare» con il giornalista di Libero. Il “regolamento” si riferiva ad articoli scritti, evidentemente non graditi alla terza carica dello Stato.
Era dall’una circa che il presidente della Camera stava ricevendo la delegazione guidata da Aldo Forbice, conduttore di Zapping (Radio Uno Rai), lì per consegnargli una petizione sulla riduzione dei costi della politica sottoscritta da 530 mila ascoltatori. Forbice mi aveva gentilmente inserito nel gruppetto, e pur immaginando di non essere particolarmente simpatico a Fini (più volte in questi anni ho incrociato la penna sulla sua strada), non ho risparmiato domande su cosa sia stato fatto e soprattutto cosa realisticamente sia possibile ancora fare per ridurre i costi della politica.
Il presidente della Camera si è presentato all’incontro con qualche minuto di ritardo. Con la coda dell’occhio ho visto sgaiattolare dalla sua stanza Italo Bocchino e Benedetto della Vedova, colonnelli di Fli. Doveva esserci appena stata una riunione politica sulle conseguenze dello schiaffo di Pierferdinando Casini, e si può ben capire come il presidente della Camera non fosse di buon umore. Tanto da avere subito rimbeccato Forbice mentre illustrava le richieste di tagli avanzate dai sottoscrittori, fra le quali quelle allo status previdenziale dei deputati: «I vitalizi non ci sono più», ha spiegato Fini con tono piccato. Ma non ci si riferiva a quelli, e una volta capito l’equivoco il presidente della Camera ha pazientemente ascoltato e spiegato. Offrendo anche qualche notizia. La prima è che la Camera ha deciso finalmente di abbandonare la propria funzione di centro-appalti, rivolgendosi per tutte le forniture alla Consip (centrale acquisti del ministero del Tesoro), che dovrebbe consentire qualche risparmio. Seconda notizia: la trentina di parlamentari (quasi tutti ex) che hanno fatto ricorso contro l’abrogazione del vitalizio, hanno perso il primo grado di giudizio.
Faranno appello, ma a questo punto è possibile che restino a bocca asciutta. Se così sarà, Fini ieri ha annunciato «una sorpresa» sull’utilizzo delle somme che erano state accantonate in caso di perdita della vertenza prelevando dalla indennità parlamentare di ciascuno circa 1.300 euro al mese da gennaio.
Quanto ai temi principali sui costi della politica, il presidente della Camera riconosce che i costi delle tre principali istituzioni siano elevati rispetto agli altri paesi: «Ma è perché hanno troppi dipendenti. Che non si può pensare di ridurre se non gradualmente, in 20 anni, visto che anche per loro è stata applicata la riforma previdenziale che innalza l’età pensionabile. Non è che potevamo mandare in pensione la gente a 50 anni solo perché così riducevamo prima il numero dei dipendenti. Ci avrebbero criticato tutti».
Sarà più facile ridurre i dipendenti se verrà ridotto il numero dei parlamentari, «e sono sicuro che la legge verrà approvata».
Fini ha spiegato le modifiche fatte ai rimborsi spesa dei deputati, ma non crede che l’indennità parlamentare possa essere ridotta più di quel che è già avvenuto: «Altrimenti nessun professionista farebbe più politica, perché ci rimetterebbe troppo».
Franco Bechis