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 2012  maggio 10 Giovedì calendario

Intervista a Attilio Befera– Gli italiani sono un po’ evasori per natura ma ora li educhiamo– Attilio Befera, 66 anni, è direttore dell’Agenzia delle Entrate e presidente di Equitalia, la società pubblica che riscuote i tributi e che da molti mesi è bersagliata da insulti, minacce e attentati

Intervista a Attilio Befera– Gli italiani sono un po’ evasori per natura ma ora li educhiamo– Attilio Befera, 66 anni, è direttore dell’Agenzia delle Entrate e presidente di Equitalia, la società pubblica che riscuote i tributi e che da molti mesi è bersagliata da insulti, minacce e attentati. La settimana scorsa un uomo è entrato col fucile in una sede dell’Agenzia delle Entrate del Bergamasco, ha preso un ostaggio e ha minacciato il suicidio. Nell’immaginario collettivo dell’italiano tartassato in tempi di crisi, lo sportello delle imposte, purtroppo, è diventato il luogo simbolo dove lo Stato spreme i sudditi. E Befera è visto un po’ come lo sceriffo di Nottingham. Quello del cartoon Disney che bussa alla porta del più barcollante dei contribuenti e gli spilla anche l’ultima moneta: un vampiro, il perfido esattore di balzelli, il fustigatore sadico degli evasori. Mister tasse vive sotto scorta. Il suo leitmotiv è: «La legge non ci consente di distinguere tra evasori truffaldini e contribuenti morosi. Le tasse vanno pagate e basta». Incontro Befera nel suo ufficio romano, zona Eur. Sono i giorni della rivolta dei sindaci contro l’Imu, delle proteste contro i soldi pubblici regalati ai partiti spreconi in odor di corruzione e dell’invettiva leghista contro Equitalia. Sulla parete di fronte alla sua scrivania, c’è una lettera del 1875, incorniciata: “Signor Esattore, mi trovo nell’impossibilità di pagare le imposte. Firmato: Giuseppe Garibaldi”. Bretelle blu a pallini bianchi, gemelli ai polsi, Befera fuma un sigaro toscano dietro l’altro e con cadenza un po’ romanesca dice più volte che quello delle tasse è un problema culturale. Appena mi lamento del fatto che sul sito di Equitalia non si riesce ad accedere alle informazioni sulle proprie cartelle esattoriali, accende il computer. Clicca. Riclicca: «Io faccio un controllo on line almeno una volta al mese. Vede? Funziona». Prende una cartellina da un cassetto: «Queste sono le ricevute per la mia dichiarazione dei redditi». Ne approfitto per rispolverare una vecchia polemica sul suo doppio stipendio. I maligni parlano di cifre astronomiche. Befera replica: «Sono pagato come direttore dell’Agenzia delle Entrate nei limiti previsti dalla legge. E mi sono ridotto l’emolumento come presidente di Equitalia, dove ho deleghe operative, di oltre il 60%». Ci aggiriamo intorno ai quattrocentomila euro l’anno. Quando gli cito la frase di Beppe Grillo sullo Stato che strozza gli imprenditori più di quanto non faccia la mafia, mi guarda inorridito. Come dire: c’è bisogno di un commento? Gli faccio notare che persino il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha detto che «Equitalia ha esagerato». Scuote la testa. Da Pisapia non se l’aspettava? «No. Lo devo chiamare. Non è mio compito rispondere ai politici, ma da quel che sento in questo periodo è come se Equitalia non fosse parte dello Stato. Ed è come se la riscossione delle tasse non fosse l’azione che permette allo Stato di funzionare». Il problema, forse, sono le modalità di riscossione. «Ora ne parliamo. Ma prima le dico che cosa è emerso da un sondaggio che ho fatto predisporre: gli italiani pensano che Equitalia sia una società privata che recupera crediti e lucra sulle altrui sventure. In realtà Equitalia è lo Stato e fa quello che le leggi dello Stato gli impongono di fare: la riscossione coattiva delle imposte». Ai cittadini che ritardano nei pagamenti arrivano cartelle esattoriali con multe spropositate. «A Equitalia va solo un aggio del 9% delle somme che incassa. Ci si coprono i costi». E il resto? Spesso le multe raggiungono il triplo dell’imposta evasa. «Il resto va alle amministrazioni e agli enti che richiedono l’imposta». Bisognerebbe prendersela con loro? «No. Ma sono loro che applicano gli interessi e le sanzioni». Arrivano salassi dovuti a interessi fenomenali sulle stesse sanzioni. «Quegli interessi erano assurdi. E non ci sono più. In ogni caso, noi siamo solo i riscossori, ma tutti pensano che quelle cifre finiscano nelle casse di Equitalia. Qualche giorno fa un giornale di Napoli ha titolato: “Equitalia si sveglia dopo 25 anni per riscuotere una multa”. Invece si è trattato di un lunghissimo contenzioso tributario, in cui Equitalia non c’entra nulla». A Napoli, dopo il suicidio di un imprenditore, l’avvocato Gennaro De Falco ha deciso di non difendere più Equitalia. «Così passa l’idea che Equitalia sia il male assoluto. Invece è anche grazie alle imposte che riscuotiamo che l’Italia non farà la fine della Grecia». Quando un contribuente non riesce a pagare gli bloccate l’impresa, pignorate le macchine, sequestrate i magazzini. I tartassati protestano: “Come facciamo a pagare lo Stato, se lo Stato ci blocca l’attività?”. «Le sanzioni sono un deterrente. Cerchiamo di non bloccare l’attività, ma su dieci milioni di cartelle, diecimila errori ci possono essere stati. E ci dispiace. Ma non si può sempre seguire la legge dei piccoli numeri e insinuare che un’eccezione sia la regola». Uno Stato è un buono Stato se tutela proprio quei diecimila disgraziati. «Certo, ma guardi che Equitalia negli ultimi tempi ha migliorato il proprio rapporto con i contribuenti». Non sembra. «Ora si può rateizzare il pagamento di una multa e gli interessi sono diminuiti. Abbiamo creato anche uno sportello amico per i casi più difficili. Resta il fatto che le tasse vanno comunque pagate». Durezza. Possibile che non si riesca a distinguere tra chi evade per arricchirsi e chi è moroso perché ha difficoltà economiche? C’è la crisi... «La legge non lo prevede. Si dovrebbe istituire un ente che, prima di applicare una sanzione, studi caso per caso e faccia indagini sulla vita dei cittadini, così da evitare scelte arbitrarie. Stabilire che un cittadino non debba pagare le imposte perché è in difficoltà, però, sconvolge il sistema fiscale creando disuguaglianza. Il problema piuttosto è che in tempi di crisi molto spesso le banche, anche approfittando delle nostre azioni, chiudono le linee di credito agli imprenditori. E allora sì che i guai si fanno seri». In tutta Italia i Comuni si ribellano. I leghisti sono scatenati. I sindaci gridano: “Fuori Equitalia dalle nostre città”. «Sembrano non sapere che esiste una legge che stabilisce che dal 1° gennaio 2013 Equitalia cesserà l’attività di riscossione per i Comuni». Come, scusi? E allora tutta le rivolte dei giorni scorsi? È solo propaganda elettorale? «No comment». Magari i Comuni saranno più “umani”. «In altri Paesi, invece di ipotecarti un bene, ti prelevano direttamente i soldi dal conto. O ti mettono in galera. Sono appena stato intervistato da giornalisti francesi e americani: trovano inconcepibile che in Italia si invochi la rivolta fiscale». In Irlanda la resistenza al fisco è in pieno corso. «Lì la situazione è un po’ diversa. Le tasse sono servite a salvare il sistema bancario». Angelino Alfano ha annunciato la presentazione di un disegno di legge “per consentire agli imprenditori che sono debitori dello Stato e col fisco, e al tempo stesso sono creditori dello Stato, di compensare”. «Quella legge c’è già dal 2010. Venne approvata durante il governo Berlusconi. Ma non è stata attuata, credo per problemi di gettito». Molti esponenti del centrodestra nei mesi scorsi hanno criticato i vostri blitz a Cortina, a Roma, in Versilia... Un coro: “Fisco spettacolo!”. «Con quegli interventi siamo andati a colpo sicuro. Sapevamo da prima chi erano gli imprenditori che avevano le mani nella marmellata. Quello che conta è l’effetto deterrenza». I critici dicono: “Così deprimete i mercati, soprattutto quello del lusso”. «Sia chiaro, l’Agenzia è favorevole alla ricchezza. Ma se la paura di un accertamento porta un cittadino a ridurre spese e consumi, è solo perché quel cittadino non ha pagato le tasse e non si vuole far scovare. Le aggressioni anche politiche, comunque, mi colpiscono molto: perché attaccano chi lavora al servizio dello Stato. Così si crea un danno culturale, come con cinquant’anni di condoni». Il condono danneggia la lotta all’evasione? «Certo, sempre. Ma questi sono problemi politici». L’italiano è evasore di natura? «Un po’ sì. Ma stiamo cercando di educarlo. Andiamo in tutte le scuole d’Italia per far capire ai ragazzi che le tasse servono per finanziare i servizi pubblici. Certo, quando poi vediamo fioccare on line i siti che ti aiutano a sfuggire al redditometro...». Per lottare contro l’evasione, c’è chi propone la riduzione massiccia dell’uso dei contanti. «No comment. In linea di principio sono contrario ai divieti e favorevole a incentivare la monetica, per esempio riducendo il costo dell’utilizzo delle carte di credito». Lei è favorevole alla delazione fiscale? Alla denuncia del vicino di casa evasore? «Delazione è un termine che non amo. Ma esiste un numero della Guardia di Finanza proprio per denunciare gli evasori». È una buca delle lettere del rancore sociale? «Noi controlliamo solo le denunce circostanziate e non anonime. Da quando c’è più attenzione sulle imposte le segnalazioni sono aumentate». Lei ha mai avuto problemi col fisco? «No». Da quando si occupa di balzelli e tasse? «Nel 1996 Vincenzo Visco mi chiamò alla Direzione centrale per la riscossione delle imposte». Visco, ex ministro delle Finanze, soprannominato il Vampiro. «Mi sta chiedendo se andando col vampiro si impara a succhiar sangue?». Che studi ha fatto? «Ragioneria. Vengo da una famiglia per metà romana e per metà abruzzese». Il suo primo lavoro? «A 18 anni sono entrato in banca. Alla Efi. Contemporaneamente frequentavo Economia all’Università La Sapienza». Era ventiduenne nel ’68. «Lavoravo 12 ore al giorno. Quante ne lavoro oggi. Sono restato nella stessa banca per trent’anni». A cena col nemico? «Diego Armando Maradona». Un grande evasore. «Be’, c’è una sentenza definitiva. Deve al fisco molti soldi e gli interessi galoppano da anni. Non può pretendere di avere sconti. È venuto in Italia un paio di volte. Gli abbiamo sequestrato un paio di orecchini e un Rolex… Un atto dovuto». Il fisco con i vipponi è più magnanimo. Valentino Rossi, Luciano Pavarotti & Co hanno patteggiato e pagato meno di quel che dovevano. «Non è vero. Con loro c’è stato un accertamento con adesione. Una procedura ferrea a cui possono accedere tutti. Le garantisco che si paga tutto il dovuto». Lei ha un clan di amici? «Ne ho di storici: Renato, Mario e Luciano fanno il cardiologo, il pensionato, l’assicuratore». L’errore più grande che ha fatto? «Aver reagito troppo tardi a quel che stava succedendo nel mondo di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate: dovevo far capire a tutti che è più importante il cambiamento culturale della semplice azione repressiva». Nella vostra campagna tv anti-evasione c’è un ragazzo che interpreta il “parassita”. Barba incolta, sguardo truce… «C’è chi mi ha scritto: “Dovevate rappresentare l’evasore come un benestante in Ferrari”. Ho risposto che sarebbe stato un errore: non si deve invidiare un evasore». Lei che cosa guarda in tv? «I film e le partite». La canzone preferita? «Posso rispondere “tutte quelle di Dalla”?». Il libro? «Sto rileggendo i Promessi sposi. Riletti a sessantasei anni sono una grande esperienza». Ha citato lo stesso titolo di Claudio Lotito. Lo ha fatto perché anche lei è laziale? «No. Ma lo sa che Lotito paga puntualmente tutti i debiti pregressi della Lazio?». Il film? «Mi piacciono i western e gli italiani. Tra gli ultimi Caos calmo, con Isabella Ferrari e Nanni Moretti. Sono un collezionista di dvd». Si dice che sia anche un cultore di battute tv e cinematografiche. Il top degli ultimi anni sulle tasse? «Su YouTube c’è un video di Fiorello in cui dice di essere stato rapito dagli 007 di Equitalia che lo hanno frustato con un 740. L’ho chiamato per ringraziarlo. Mi ha detto che è figlio di un finanziere. E poi è eccezionale la scena di Qualunquemente sulla ricevuta fiscale...». ...un cliente chiede la ricevuta nel ristorante di Cetto Laqualunque. Tanto è lo stupore che si ferma tutta la spiaggia. «Vorrei contattare Albanese per chiedergli di poterla usare per una nostra campagna». Quanto costa un litro di benzina? «Un euro e novanta». L’articolo 3 della Costituzione? «È quello sull’uguaglianza. Per me fa coppia con il 53 che parla del sistema tributario». I confini dell’Afghanistan? «L’Iraq?». No. «La Cina… Il Pakistan…». Che cos’è Twitter? «Un sistema di comunicazione veloce. Ma io non cinguetto». www.vittoriozincone.it © RIPRODUZIONE RISERVATA